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Wall Star

Di storie incredibili nella NBA ce ne sono diverse, tutte con una particolarità che le differenzia dalle altre, tutte con quel dettaglio che alla lunga tende a fare la differenza. La nostra inizia sostanzialmente sulle sponde del White Lake, non troppo lontane da Lumberton, nella zona meridionale del North Carolina. John Carroll e Jonathan Hildred Jr. sono nella classica casa a lago, come da tradizione. I due John sono legati da un vincolo sanguigno ma non si conoscono affatto. Per tutti sarebbe difficile conoscere il proprio padre se a dividerti, da sempre, c’è un vetro spesso e sei costretto a sentire la sua voce attraverso un telefono. Sono stati sempre divisi, fisicamente ma soprattutto emotivamente, da una lastra di vetro, senza mai toccarsi, senza mai abbracciarsi. La legge ha sancito queste condizioni e quando un giudice esprime la propria condanna ci sono pochi modi per ovviare a questa scomoda situazione. Pochissimo tempo dopo la nascita del secondogenito, papà John viene arrestato per reati quali furto di armi, rapina a mano armata e concorso in omicidio. Il carcere duro è la conseguenza della giustizia. Gli occhi dell’altro John, dietro quel vetro, quando prova a sibilare qualche parola raccontano di quanto sia difficile vivere un’intera adolescenza solo con mamma Frances. Dobbiamo ritornarne sulle rive del White Lake e il primo pensiero va ad una famiglia che si ritrova dopo tanta sofferenza, dopo interi weekend passati al Lanesboro Correctional Facility di Polkton, NC. La sceneggiatura non è così felice. L’occasione per ritrovarsi non è legata al rilascio di papà John per buona condotta o per aver saldato il suo debito con la società.  Nella primavera del 1998 gli viene diagnosticato un cancro al fegato e la prognosi medica non supera l’anno di vita. Con estrema clemenza e delicatezza, le autorità gli consentono di trascorrere gli ultimi attimi di vita  insieme alla famiglia che, quindi, si raduna intorno al lago. Per la prima volta John, di appena 9 anni, può toccare suo padre, può sentire la sia voce, può avere un contatto libero con lui. Quegli occhi non sono cambiati, sono sempre lì che fissano le labbra di papà, posando su un viso stanco, corroso dalla sofferenza fisica dovuta alla malattia ma anche dal pensiero che gli errori commessi gli hanno portato via la famiglia, l’unica cosa per cui vale la pena vivere. Sono entrambi seduti su delle sdraio, aspettando che uno dei due si muova per prima. La chiacchierata, mai dimenticate dal piccolo, è una di quelle che non scompare dalla tua mente, si tatua indelebilmente nella tua mente. Tuo padre che ti parla, ti guarda e ti tiene le mani. In 9 anni di vita John non ha mai potuto fare nessuna di queste cose. Le parole di papà riguardano il percorso della vita, gli ostacoli che la stessa ti pone davanti e soprattutto i modi per rendere un uomo migliore, quelli che sostanzialmente lui ha deciso di ignorare finendo per percorrere strade che non portano da nessuna parte se non dietro le sbarre. L’accento viene messo sulla formazione, sull’importanza degli studi, magari quelli universitari, magari ad alto livello. Dopo quella giornata intensa al lago, il programma ideale della vita di Johnathan Hildred Wall Jr, più comunemente John Wall, è delineato. Il 24 agosto dell’anno successivo, come da previsioni, papà John si spegne tra i dolori lancinanti di una malattia che non gli lascia scampo. Quelle parole, però, segneranno per sempre la vita di un ragazzo che si è dovuto fare da solo, che ha percorso un tragitto che altri non possono conoscere, un uomo che ha seguito i consigli del padre e ora domina una delle scene sportive più importanti del mondo.

La nostra macchina del tempo ci costringe a ritornare ai giorni d’oggi, dove quello stesso bambino che guardava il padre con occhi diversi dai comuni coetanei che trascorrono una giornata al lago con la figura paterna, oggi è una star NBA a tutti gli effetti. Come spesso si usa dire in questi ultimi anni, le prime scelte al draft – allargando il discorso alle prime 10/15 picks – dimostrano il proprio valore dopo 4/5 stagioni NBA, quando hanno definitivamente assorbito ogni concetto di una Lega molto più complessa di quel che sembri. John Wall, scelta numero 1 al draft del 2010 (prima di Cousins, Hayward, George, Whitside, Bledsoe solo per fare alcuni nomi), sembra essere l’incarnazione perfetta di questo strano postulato cestistico. Wall non ha vissuto la nostra stessa esistenza e di conseguenza nemmeno i suoi primi anni in NBA rispecchiano una prassi che si va pian piano solidificando. Ha avuto le chiavi di una franchigia in mano sin da subito, chiamato a salvare una patria dalle non esaltati doti vincenti. Al di là di un passato glorioso con la maglia dei Wildcats (16.6 PPG, 4.3 RPG, 6.5 APG) durato un solo anno, John Wall si sta affermando in questa Lega dimostrando quanto di talentuoso e costruito ci sia in un ragazzo dalla sensibilità al di fuori del normale. Non sappiamo con certezza quale anno sia individuabile come quello della definitiva consacrazione di Wall ma i numeri possono aiutarci a capire qualcosa in più. Diventa All Star alla sua quarta stagione, dopo ave dominato per due anni l’evento del venerdì e dopo ave vinto una gara delle schiacciate, meritandosi in termini spettacolari la convocazione. I numeri con i suoi Wizards sono un crescendo continuo, un’evoluzione che al momento non conosce ostacoli, facendo della solidità mentale e fisica i punti di forza di un giocatore spesso underrated. La media assist in carriera è sempre stata altissima e il 9.2 nella casella delle assistenze di media in questi 7 anni la dicono lunga sul potenziale del giocatore. Nelle ultime 3 stagioni (includendo anche quella ancora in corso) ha una media che supera la doppia cifra, chiudendo la stagione 2014-15 a 10 assist tondi di media, finendo quella 2015-16 migliorandosi di 0.2 e cavalcando quella 2016-17 con quasi 11 di media (10.8). Pochissimi playmaker, o point guard se preferite, sono riusciti in questa impresa. La visione di gioco di Wall è sempre stata incentrata sul miglioramento dei compagni, sulla ricerca del tiro migliore. Tale processo è al centro dei dibattiti odierni, visto e considerato l’andamento eccellente che i suoi Wizards (39-24, secondi ad Est e settimo miglior record della Lega) stanno facendo vedere in questa stagione. Prima di scendere in analisi numeriche, vanno affrontati degli aspetti che esulano dal discorso statistico. 509dd8665c217059c32e5918bade2596Il capo della giostra dei Wizards è tale Scott Brooks, la cui carriera da coach inizia nel 2000, dopo essere stato playmaker dei 76ers, Timberwolves, dei magnifici Rockets del back-to-back, Mavericks, Knicks e Cavaliers. Come detto, è stato membro della Houston degli incredibili titoli 1994 e 1995, giocando come spalla di Kenny Smith. Ha giocato con Robert Horry, con Hakeem Olajuwon, con Clyde Drexler, con Otis Thorpe e tanti altri campioni, a dimostrazione del fatto che di pallacanestro ne ha vista parecchia. Era un playmaker ordinato, pulito tecnicamente, senza note stonate o sopra le righe. Insomma, un play vecchia maniera. Diventato allenatore, prova ad imporre la sua idea di gioco per la prima volta ai SuperSonics, targati ormai Thunder, dopo l’addio di Carlesimo e prosegue il suo lavoro per sette stagioni con KD e Westbrook, arrivando ad un passo dall’anello nel 2012. Le Finals sono l’apice e al tempo stesso l’inizio di un declino lento e per certi versi doloroso. Questa estate, dopo un anno di “libertà”, si rimette in pista e accetta l’offerta di un contesto molto particolare come quello di Washington, reduci dalla gestione di coach Wittman, grande mente per sviluppare talenti ma probabilmente poco affidabile per puntare davvero in alto. La svolta di questa stagione passa, come vedremo, per John Wall, per le condizioni di salute meno precarie di Bradley Beal, per il miglioramento notevole di Otto Porter, per la solidità costante di Gortat ma anche per la perfetta simbiosi che si è creata tra un gruppo che gioca insieme da qualche anno e che accolto con perfettamente la filosofia del nuovo coach.

Al netto della bravura di coach Brooks e della perfetta alchimia con i compagni di squadra, è innegabile l’apporto del franchise player John Wall. Le 39 partite vinte e il terzo posto in un’agguerrita lotta al primo posto con Boston e Cleveland fanno sì che l’uomo copertina sia proprio il prodotto dei Wildcats, l’uomo che sulle sponde del White Lake ha compreso il motivo per il quale è venuto al mondo. Il miglioramento di John Wall, e il conseguente upgrade dei compagni, è la base sulla quale si fondano dei Wizards che hanno intenzioni a dir poco bellicose. John Wall viaggia a 22.8 punti a sera (media più alta in carriera) in 36.7 minuti di utilizzo a gara, catturando 4.5 rimbalzi e distribuendo la bellezza di 10.8 assist a sera (secondo solo ad un James Harden da 11.3 assistenze a partita). Il numero dei suoi assist, però, non dice tutto dell’evoluzione di un giocatore decisamente speciale. Anche nelle precedenti stagioni Wall ha viaggiato in doppia cifra di media per quanto riguarda i passaggi vincenti: nel 2014-15 ha avuto una media di 10 assist, bissata nella regalar season successiva con 10.2 assistenze ad allacciata di scarpe. Il rapporto che Wall ha con la palla è speciale almeno quanto quello che ha avuto con papà John. Come ogni giocatore talentuoso e pieno di prospettive, è entrato in questa Lega da “innamorato del pallone”, così come dimostrano le sue cifre. Non appena si è liberato dell’idea che far canestro è l’unico modo per essere ricordato e notato in un campionato di veri fenomeni, la sua vita cestistica è letteralmente cambiata. Il front office, allo stesso tempo, ha svolto un magnifico lavoro negli anni, cercando di costruirgli attorno un supporting cast formato da giocatori funzionali alle sue caratteristiche e cercando sempre di essere quanto più completi possibile: Bradley Beal, Markieff Morris, lo stesso Porter, Ariza, Nene, tutti tasselli che hanno cercato di completare uno scacchiere spesso al centro delle critiche dei media. Nessuno, però, si è mai permesso di aprir bocca sul tipo di leadership che John Wall ha assunto dal primo giorno in cui ha messo piede in una Lega in continuo sviluppo. Ha vinto il premio di giocatore della settimana nel mese di marzo (10-17), venendo nominato player of the week per altre 4 volte nel corso di questi suoi primi 7 anni di NBA, arrivando a trascinare la squadra negli ultimi due mesi di dicembre, entrambi coronati con il premio di giocatore del mese. I numeri che accompagnano questi due riconoscimenti sono sinistramente simili: nella stagione 2015-16 ha vinto il premio insieme alla coppia KD-Russ (quando erano ancora amici, NdR) viaggiando a 22.6, PPG, 11.7 (!) APG e 2.3 SPG; nella stagione attuale ha vinto il premio della EC viaggiando a 24.5 PPG, 10.7 APG e 2.7 SPG, chiudendo tutto facendo registrare il suo career high da 52 punti nella sconfitta contro i Magic e diventando il primo Wizard a riuscirci dopo Michael Jordan. Un altro aspetto sul quale vale la pena mettere l’accento è quello difensivo. Sembra piuttosto evidente che quando si alza il ritmo del gioco, che quando Wall è ok dal punto di vista fisico, il numero delle palle recuperate schizza letteralmente alle stelle. In questa stagione ne ha 2 di media, piazzandosi al secondo posto dietro solo a Draymond Green (2.1). La difesa, dunque, è un altro aspetto del suo gioco in evoluzione. Se allarghiamo i nostri orizzonti numerici, un’altra componente che balza agli occhi è il numero di stoppate con il quale termina le stagioni. Wall è a tutti gli effetti un playmaker, una moderna point guard, e vedere la casella delle stoppate arrivare spesso oltre quota 50 è un risultato notevole. Nella classifica degli stoccatori è al 67esimo posto (0.8 BPG) ma è il primo nello spot di PG e quinto tra gli esterni con almeno 30 stoppate.

La fase offensiva, senza girarci troppo intorno, è il piatto forte. Wall non sono distribuisce assist (miglior media in carriera) ma segna 22.8 punti a sera, portando il suo livello realizzativo in una nuova dimensione. Al di là delle cifre, anche l’atteggiamento offensivo sembra essere cambiato. I numeri raccontano il giusto del nuovo tipo di approccio ma sicuramente l’idea d’attacco di coach Brooks la possiamo riscontrare sia nelle statistiche personali di Wall sia nelle sue mappe di tiro. Da sempre il punto di forza dell’ex Wildcats sono le penetrazioni e i pullman-up dumper dal mid-range, anche se sempre più rari all’interno di una Lega che si sta convertendo alla religione del tiro dalla lunga distanza. Come possiamo notare, gli angoli sono praticamente inutilizzati (solo 20 i tiri dagli angoli in 61 partite dagli angoli, praticamente un tiro dagli angoli ogni 4 partite), mentre il centro dell’area è la porzione di campo più sfruttata. Nonostante tutto, Wall ha tirato 1124 volte da tre punti in questa stagione, numeri che dipingono un calo rispetto alla scorsa stagione (al momento sono 225 tiri in meno). La correlazione tra il numero elevato di assist e le minori responsabilità dall’arco è legata ad un sistema di gioco che sa sfruttare i punti chiave dei giocatori chiamati in causa. Per comprendere meglio l’assunto, basti pensare che Otto Porter, miglior tiratore dei Wizards, lo scorso anno ha tirato 717 volte da 3 punti, mentre quest’anno, con un mese ancora da giocare, flirta già con 650 tentativi dalla lunga distanza.

 

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Più nello specifico, andando ad analizzare gli andamenti e le preferenze di tiro di Wall, notiamo che i pull-ups rappresentano quasi il 50% delle conclusioni del prodotto di Kentucky University (46.5%), così come la stragrande maggioranza delle situazioni di tiro (43.2%) è è presa da una distanza minore di 3 metri dal ferro. Anche il ritmo dell’attacco di Wall ci dice che il #2 dei Wizards ha decisamente cambiato passo, trasformandosi in una star a tutti gli effetti: il 35.2% dei tiri presi in stagione arrivano quando il cronometro dei 24 secondi è compreso nell’intervallo tra 15-7 secondi. Le situazioni predilette, però, restano quelle di contropiede, dove la percentuale di efficienza è altissima, e quelle in cui l’attacco prende scelte quasi immediate, comprese tra i primi 4-8 secondi dell’azione d’attacco. Un aspetto che Wall dovrebbe continuare a migliorare del suo gioco è la scelta dei tiri, spesso ancora troppo legata a situazioni di palleggio. Il proprio ritmo, stando a quanto raccontano i migliori tiratori del gioco, lo si può trovare in diversi modi ma abusare del palleggio può avere due conseguenze: fermare l’attacco e/o perdere secondi preziosi per la costruzione di un tiro migliore. Wall, però, sembra mettersi in ritmo grazie al palleggio: il 42% dei suoi tiri arriva dopo 7+ palleggi, con un’efficienza pari al 46.7%. La particolarità di questa voce statistica, da contestualizzare rispetto ai tentativi presi, è che riesce a far meglio quando utilizza un solo palleggio (50%), quando non palleggia (50.6%)o quando ne utilizza appena 2 (49.4%). L’evoluzione di Wall passa per numeri del genere, in continua evoluzione e progressione. Del resto stiamo pur sempre parlando di un (W)All Star!

 

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone