Top&Flop Cleveland-Detroit: i Big Three da urlo, Jackson sottotono
Uno sweep atteso ma non scontato, scritto ma non semplice, raggiunto ma non regalato. I Detroit Pistons, ottava forza della Eastern Conference, cadono sotto i colpi inflitti da una macchina troppo più avanzata, prima della classe. Un 4-0 che racconta poco di quello che effettivamente è successo ma che inquadra perfettamente la tanta differenza che c’è tra i due roster e le due organizzazioni. Lue era alla sua prima in un contesto di PO da capo allenatore, mentre Van Gundy all’ottava apparizione. Il problema dell’esperienza, però, riguarda maggiormente i giocatori in campo. I Pistons avevano pochi eletti esperti della post season, mentre Cleveland poteva disporre sicuramente di giocatori con un background diverso. Alla fine della serie, però, arriva la perfetta fotografia scattata e raccontata da Van Gundy che descrive perfettamente la volontà di una squadra consapevole di essere inferiore ma che non ha mai voluto arrendersi, se non al 48′ di gara 4. Anche quando lo scarto è stato significativo, Detroit non ha mai alzato bandiera bianca. Cleveland, invece, è proprio dove voleva essere: quattro partite giocate (in terza) e un mini periodo di riposo per ricaricare le pile, aspettando la vincente tra Atlanta Hawks e Boston Celtics che arriverà tra almeno 2 gare.
TOP
Kyrie Irving: 37.7 minuti di media giocati ad un’intensità alta per gli standard di un primo round. Ha tirato con il 47.1% dal campo (41/87), mantenendo la stessa percentuale (16/34) allungando il range di tiro fino ai 7.25m (e anche di più). Dalla linea del tiro libero uno strano 12/16 (75%), abituato a ben altre cifre. Più di 2 rimbalzi, quasi 5 assist a sera, giocando una miriade di palloni e perdendone in media solo 1.5. E poi c’è la difesa, il punto debole secondo alcuni: 1.2 palle recuperate, marcando Reggie Jackson, uno dei penetratori più pericolosi della NBA dati alla mano. Per chiudere il tutto ci sono i 27.5 punti ad allacciata di scarpe, con il career high in un contesto di PO di 31 punti. Ha dominato in lungo e in largo la serie, non permettendo mai alla difesa di compiere scelte definitive su di lui. La sua variazione continua di conclusione a canestro è stata l’arma che più ha infastidito i Pistons, finendo un’azione in sottomano, l’altra in un secondo tempo con floater e l’altra ancora con un jumper che ha messo con una regolarità spaventosa. L’alchimia di squadra, specie in un ambiente del genere, è ancora lontana in casa Cavaliers ma avere un giocatore come Uncle Drew che realizza così e mette spesso in ritmo i compagni è un lusso che in pochi possono permettersi. Al di là dei numeri e dell’influenza che il suo gioco ha sui suoi compagni di squadra, Kyrie Irving ha realizzato anche i due canestri da 3 punti che, in pratica, hanno deciso la serie: il primo a 40 secondi dalla fine di gara 3, il secondo a 40 secondi dalla fine di gara 4. Quel “bye-bye” dedicato ai tifosi di Detroit è il segno della consapevolezza di una maturità raggiunta.
Marcus Morris: per l’impatto avuto sulla serie, c’era da aspettarsi un LeBron James o un Kevin Love ma abbiamo scelto di premiare il migliore in casa Pistons, per tenacia, pericolosità e determinazione. Insieme a Kentavious Caldwell-Pope, Marcus Morris è stato il punto fermo di un attacco che ha fatto terribilmente fatica a creare pericoli costanti se non col tiro dalla lunga distanza. 17.8 punti di media, tirando con il 47% dal campo e il 39% da 3 contro una difesa che, quando ha voluto, non ha concesso praticamente nulla. Van Gundy lo ha utilizzato, insieme ad Harris, per punire i cambi sistematici dei Cavaliers e puntualmente l’ex Suns creava scompiglio nei matchup a lui favorevoli. Una grande serie macchiata solo dai falli commessi prematuramente in gara 4.
FLOP
Reggie Jackson: pericoloso per tutta la stagione e alla pausa del’ASG tra le prime 5 PG della lega per efficienza. Efficienza che ha mantenuto in questa serie (14.3 punti e 9.3 assist a sera) ma non la stessa pericolosità, non la stessa cattiveria agonistica. Spesso nervoso, nei finali di gara poco lucido e, lasciatecelo dire, troppo star nell’ultimo possesso della serie. La ricerca spasmodica di quel contatto non compete ad un giocatore come lui, anche perchè ha perso occasione di poter realizzare il tiro partita. Quasi sempre in disaccordo con gli arbitri, tanto da accusare anche piuttosto duramente le terne arbitrale della serie. Fatti, episodi che rendono meno importanti e visibili cifre comunque di ottimo livello. Ha condiviso bene la palla, facendola girare con ritmo e mettendo in condizione i tiratori di essere pronti a realizzare. Anche coach Van Gundy se lo aspettava più determinante e gli errori nelle stretch run (sottolineate anche dal coach) sono una pecca non troppo trascurabile in un contesto come questo.
Tristan Thompson: la bocciatura nei confronti di TT non è totale. Lo inseriamo tra i flop della serie perchè, purtroppo per noi e per fortuna sua, i suoi numeri e il suo impatto va paragonato volente o nolente a quegli 80 milioni di dollari scritti in fondo al suo contratto. 3.8 punti 5.5 rimbalzi non fanno di lui una star (se non economicamente) e la difesa su Drummond è stato spesso altalenante. Aveva un avversario degno e dobbiamo ammettere che Andre ha fatto più o meno quello che ha voluto. Se la difesa di Thompson fosse stata più competente (eccetto qualche sequenza), coach Lue non avrebbe fatto ricorso al hack-a-Drummond. Dunque, la nostra bocciatura si riferisce all’incidenza della sua difesa, marchio di fabbrica che ha mostrato in maniera eccellente nelle scorse Finals.