Il terzo Kawhi che è nato stanotte
Cosa hai ancora da precisare se due stagioni fa hai vinto il titolo di MVP delle Finals appena vinte dalla tua squadra? Forse nulla, forse tutto. La carriera di Kawhi Leonard è sempre stata così, perché le poche parole pronunciate portano tutti a dimenticarsene, a dimenticarlo. Menomale, allora, che non si vive di sole parole, ma anche di prestazioni, di punti, di vittorie. Bellissime come quelle di stanotte, che un valore specifico non hanno, ma di specifico hanno il peso.
Kawhi Leonard, da Riverside, 25 anni e una vita da campione alle spalle…
Cosa?
Si, avete letto bene, perché se a questa età hai in bacheca già un titolo di MVP delle Finals, un anello e una serie svariata di riconoscimenti, devi per forza aver vissuto due vite: una pre-Duncan ed una post-Duncan, cominciata proprio questa notte.
KAWHI IL PRECOCE. La prima uscita senza il compagno di sempre, colui che Leonard ha visto per primo nella palestra degli Spurs al primo giorno di allenamento. In quella estate del 2011, la sagoma di Duncan fu il primo assaggio in neroargento e non vederlo ora in spogliatoio fa effettivamente un po’ strano. Eppure, aver passato un quinquennio al suo fianco, deve aver insegnato molto a Kawhi, uno che, partendo dalla 15a scelta del Draft di quell’anno, ne ha già fatta di strada.
Dei 14 che l’hanno preceduto a quel giro di scelte, solo in tre hanno vinto un anello: Kyrie Irving e Tristan Thompson lo scorso anno, Klay Thompson due anni fa. Tutti dopo di lui. Perché Leonard è così, un precoce in ogni cosa che fa: il primo a capire che sarebbe diventato un giocatore di basket professionista, il primo a vedere la morte del papà, il primo ad allenarsi in palestra ogni giorno. Tutti i giorni.
Il primo anche a fermare gli altri. Perché due sole cose sono riuscite a fermare LeBron James negli ultimi anni: LeBron James stesso e Kawhi Leonard.
IL TERZO KAWHI. Ha sempre lavorato sul suo attacco, perché tanto “la difesa è un concetto che parte dal cuore. Chi ha cuore, può difendere”, aveva detto così in una delle poche esposizioni mediatiche. Si, perché se fosse per gente come Kawhi, il Media Day di inizio anno potrebbe anche non esistere. Da qui si vede l’influenza Duncan. Però il campo parla per lui, e come se parla: cifre sempre più convincenti, perché Popovich gli ha spiegato che se la difesa passa dal cuore l’attacco parte dalla testa. E la testa di Leonard non è affatto male. Parla poco, ma vede il gioco prima degli altri, lascia che a parlare siano i palleggi, i passaggi, i tiri; anno dopo anno aggiunge al suo essere giocatore un nuovo mattoncino, abile alla costruzione dell’essere umano e del giocatore che è. Si è fatto conoscere come superbo difensore, poi come nuovo uomo squadra, da stanotte, probabilmente, è partita la terza fase della sua vita NBA.
35 punti tutti insieme non li aveva mai messi, ma il suo career high non è una sorpresa: con quella testa lì e quel talento che si ritrova, non è difficile immaginarlo a capo della nuova combriccola Spurs prima del previsto.
Duncan non c’è, ma il testimone dovrà prenderlo da Parker e Ginobili, due che l’hanno visto crescere e che hanno detto a Pop: “Si, è lui l’uomo giusto. Nonostante le treccine”. Quelle che loro non avrebbero mai potuto permettersi. E che Kawhi porta fiero, come Superman il suo mantello. Chissà se le scioglierà mai.