STORIE DELL'ALTROBASKET - Viaggio al centro del playground
Playground è condivisione (di Dario Ferretti, fondatore di Pick-Roll.com)
“Eventualmente tu saresti disponibile a scrivermi qualche riga, sulla storia del playground in Italia?”
Credevo Claudio fosse pazzo quando mi fece questa richiesta.
D’altro canto, a parte qualche tiro strampalato o qualche passaggio sbagliato al campetto sotto casa avrei poco da raccontare. Ma se una cosa mi ha insegnato la pallacanestro, è la condivisione.
Due anni fa, quando iniziai questa folle avventura che si chiama Pick-Roll.com, capii che una passione può unire qualsiasi persona, per quanto ognuno di noi possa essere unico a modo proprio, da nord a sud. Per questo non c’è migliore modo per raccontare cos’è l’Italia dei playground, dalle storie che ci sono dietro alla passione di ragazzi che si sbattono mesi per organizzare un torneo di soli due giorni.
“Lu sole, lu mare e lu ientu”, la Puglia. Una delle regioni più solari e divertenti di tutto lo stivale, la meta estiva per eccellenza se si vuole avere tutto a portata di mano… scusate, mi sono lasciato trasportare!
Anche perché uno degli eventi principali è l’Apulian Basketball Tournament. Una vera e propria lega che si svolge su più città, con tappa finale e spedire per direttissima la squadra vincitrice alle Finals di Riccione: 73 squadre per un totale di 242 partecipanti che si sfidano sui pavimenti roventi per essere gli dei della Puglia. Non avevo mai visto tanta passione e tanta voglia di pallacanestro come nell’ABT prima, grazie anche allo staff che pretende sempre il meglio dalle proprie capacità e ogni anno migliorano sempre di più. Anche questo serve per aumentare il livello dello street basket in Italia e regalare sogni ai ragazzi del campetto.
Una passione che troviamo in maniera così viscerale anche a Perugia, e il loro DAT.
Due giorni di vera e propria festa, dove ci si sente a casa anche se sei un forestiero come me. Il tutto condito da un ottimo livello di street basket, non a caso la squadra vincitrice del DAT 2015 è stata finalista alle finali FISB dello stesso anno. Ciò che rende così speciale questo evento è che nasce con l’obiettivo di ricordare Daniel Anton Taylor, uno dei loro amici, scomparso nel 2009 in un incidente stradale. Un ragazzo sempre solare con tanta voglia di vivere, per questo vogliono ricordarlo e celebrarlo così.
Non conoscevo l’ambiente piacentino. Eppure nonostante i suoi 15.351 abitanti, Fiorenzuola d’Arda regala ogni anno uno degli eventi più “ignoranti” a livello cestistico di tutto lo stivale: il DKB. Sessantasei squadre, 250 partecipanti, fiumi di birra e salamelle. C’è altro da aggiungere?
Ah si! Ennio?52enne, fiorenzuolano doc, conosciuto davvero da tutti quanti nel piacentino-parmense per essere stato tifoso di calcio e basket in diverse squadre. Si tratta di un personaggio cosi pubblico che alle elezioni comunali, costantemente, almeno 10-15 voti vanno a lui che pure non è in nessuna lista, ma solo per la sua popolarità. Una vera e propria leggenda del DKB, parola mia. E’ stato un vero onore poter essere ospite di questo evento e fare il giudice della gara delle schiacciate, anche se io l’unica cosa che riesco a schiacciare sono i brufoli.
Per non parlare del We Got Game di Torino, del Robi Telli di Cremona o del DownTown nel Lazio.
Ogni evento ha una storia da raccontare e da vivere, io mi ritengo più che fortunato ed onorato ad aver conosciuto alcune di queste realtà. Niente ti arricchisce di più della condivisione di una stessa passione.
E ora che vado ogni sabato nel mio campetto, i tiri strampalati sono gli stessi se non peggiori, i passaggi ne sbaglio ancor di più. Ma non sono più quella persona di tre anni fa.
Una sola parola alla pallacanestro e a chi ha la stessa passione di tutti noi. Grazie.
The City Game
Sono mesi che cerco questo maledetto libro di Pete Axthelm. Sembra che nessuna libreria in Italia ne abbia qualche copia. Nemmeno in inglese. Su internet, poi, anche Amazon & co. sembrano non potermi aiutare.
Ci sarebbe solo una persona che potrebbe dirmi dove e come trovarlo. Si chiama Federico Buffa e, da qualche tempo, gira l’Italia (e il mondo) raccontando storie di sport e di vita. E quando lo becco uno così?
Poi, come per una sorta di disegno divino (io che alle divinità, tranne quelle sportive, non ho mai creduto), quasi per caso leggo in giro per la rete che il 22 settembre Federico sarebbe stato a Napoli, nella mia città, per presenziare all’inaugurazione del primo di 17 playground che, di qui a poco, dovrebbero restituire ai napoletani l’amore per il Gioco. Da troppi anni, infatti, rivedibili avventurieri travestiti da imprenditori hanno lasciato a Partenope la ben poco invidiabile eredità del record di sei fallimenti in otto anni della squadra locale. Quella che, per intenderci, fu di Lynn Greer.
Federico Buffa a Napoli, dicevamo. Un’occasione che non posso perdere: magari riesco a strappargli un’intervista e poi, chissà, magari riesco a farmi dire come fare con quel libro che mi sta facendo perdere il sonno.
Grazie a Giovanni Marino e Marco Caiazzo, giornalisti di Repubblica, riesco a ottenere un contatto: è quello di Giancarlo Garraffa, presidente e fondatore della Charlatans Basket Napoli. E’ lui il promotore dell’iniziativa ‘Un canestro per amico’.
Lo chiamo il giorno dopo. Al telefono la voce è quella dell’eterno ragazzo che non ha mai smesso di sognare qualcosa di diverso e di migliore per sé e per gli altri. Mi racconta la sua storia e quella della sua associazione, di come sia nato tutto quasi per caso e del perché sarebbe così importante che tutti i bambini di questa città possano avere un altro spazio di aggregazione in cui esprimersi liberamente. Perché il basket di strada è soprattutto questo: libertà di essere ciò che si vuole.
Lo ascolto e ripenso agli anni in cui passavo i miei pomeriggio sui disastrati campetti di Via Ruoppolo, Piazza Medaglie d’Oro, Piazza Quattro Giornate: posti dove rischiavi di farti male sul serio ad ogni minima caduta, lasciati marcire sotto il degrado e l’incuria di vandali e amministrazioni comunali indifferenti, abbandonati a loro stessi nell’attesa di una rinascita che non sarebbe avvenuta mai. E questo nel cuore della Napoli bene: non ho mai osato immaginare quel che poteva essere nelle periferie.
Quasi mi vergogno, quindi, quando chiedo a Giancarlo se c’è la possibilità di intervistare lui e Federico a margine dell’evento del giorno dopo, in programma alla scuola Sarrìa-Monti di San Giovanni a Teduccio: so perfettamente che è egoistico anteporre il mio personale interesse di giornalista a un fine così nobile, ma Buffa è Buffa e chissà se mai avrò un’altra occasione per parlargli, stringergli la mano, chiedergli una foto. Giancarlo non fa una piega: “Nessun problema, anzi facciamo così: ci vediamo il giorno dopo a colazione. Tu e Federico sarete miei ospiti”. Ah già, quasi dimenticavo: tra le sue tante qualità, Giancarlo è anche un buon amico di Fede. Probabilmente perché le persone migliori tendono ad accompagnarsi l’una con l’altra.
Il 22 mattina, però, vado comunque all’inaugurazione. Per salutare Giancarlo, Fede & co., certo, ma anche per la curiosità di vedere ciò che sono stati in grado di realizzare con forza di volontà, impegno e tanti tanti soldi, senza guadagnarci null’altro che la gratitudine di chi ha di nuovo un posto in cui giocare, in cui essere se stesso. Il resto, giudicatelo voi:
La cosa bella di far parte di uno sport (relativamente) di nicchia è quella di conoscersi più o meno tutti. Anche se solo di vista o per sentito dire. E sembra quasi che, in questa strana mattina di inizio autunno ci sia tutta la Napoli che cestisticamente conta. Oltre ai due ospiti d’onore che riesco a salutare di sfuggita, strappando l’ulteriore conferma del nostro incontro del giorno dopo.
Ma non può mancare il cadeau che Federico lascia a me a ai tanti bambini venuti ad accoglierlo: “Proteggete il vostro territorio, proteggete questo campo così come ve l’hanno consegnato oggi. Perché è anche così che dimostrerete il vostro amore per il Gioco”.
Nemmeno 24 ore dopo, l’autore di quest’insegnamento di vita, Giancarlo, Gennaro (che mi aiuta con le riprese) e il sottoscritto sono seduti al tavolino di un bar di Via Nazario Sauro.
Proprio come vecchi amici che si ritrovano a parlare del più e del meno. Dovrebbe essere un’intervista e, invece, si trasforma da subito in una chiacchierata su sport, cultura, musica e tutto quel che si può dire (e non dire) su un mondo che cambia sotto i nostri occhi. Senza che, peraltro, riusciamo a rendercene conto.
Limitarsi a trascrivere domande e risposte sarebbe, perciò, riduttivo. Spazio a Giancarlo, a Federico e a tutto ciò che hanno da dire:
p.s. Alla fine mi sono anche dimenticato di chiedergli del libro. Ma, in fondo, era poi così importante?