STORIE DELL'ALTRO BASKET - Lynn Greer, il Maradona dei canestri
“Napul tre cos ten bell: a pizz, o’ golfo e Maradona”. Inequivocabile, anche per i meno addentro al vernacolo partenopeo. L’unico dialetto in grado, tra l’altro, di descrivere al meglio la monodimensionalità dal punto di vista sportivo (che, poi, è quello che ci interessa) di una città unica nel suo genere. Del resto se si ha avuto l’onore e l’onere di ospitare il più grande di tutti i tempi per poco più di un lustro, che si vada avanti a pane e calcio, dai vicoli del centro storico alla collina di Posillipo, è quasi inevitabile.
Quasi, appunto. Perché c’è stato un tempo in cui all’ombra del Vesuvio dominava la nostra amata ‘spicchia’, mentre il cuoio annaspava, causa precedente fallimento, nei polverosi campi di periferia. Lo scudetto era sempre il sogno ricorrente sebbene, per una volta, non nei limiti dello sport nazionale. La Napoli che faceva sognare era la Carpisa del presidentissimo Mario Maione. E, anche stavolta, c’era un piccoletto ad accendere la platea: Lynn Greer da Philadelphia, il Maradona dei canestri. Vale a dire questo signore qui.
Non esiste, probabilmente, istantanea migliore per descrivere un atleta e quello che ha rappresentato per una squadra e una città. Anche se per poco. Pochissimo. Un anno appena: sufficiente, però, a mostrare la magia del basket anche a chi, del basket, non si era mai interessato fino a quel momento.
Vi starete chiedendo cosa c’entra con ciò che accade sui parquet d’oltreoceano. C’entra, eccome. perché Lynn Greer è una delle tante storie di quel sommerso Nba che, sulla scorta dell’abusatissimo ‘nemo propheta in patria’, hanno distillato altrove l’essenza del proprio talento. Sebbene l’uomo da Temple non abbia mai rinunciato ad entrare nel paradiso della lega bussando a tutte le porte, anche quelle secondarie.
Andiamo con ordine. Quando esce dall’università, Lynn Greer è uno di quelli che sembra destinato a sfondare, con un curriculum collegiale di tutto rispetto: 23,2 punti di media nel suo anno ‘senior‘ e la candidatura per il ‘Naismith Player of the Year’. Le leggende che si rincorrono tra i corridoi delle high school di Philadelphia narrano di non rari confronti sui playground liceali con Kobe Bryant. E, invece, la stagione 2002/2003 lo vede protagonista sui ben meno nobili parquet di Grecia: 14 partite in maglia Near East gli sono sufficienti per capire che, tutto sommato, i Greenville Groove e la NBDL non sono poi così male. Un’esperienza alla Southern California Summer Pro gli vale la chiamata dei Milwaukee Bucks ma, anche stavolta, ci si sveglia troppo presto dal sogno: tempo un mese ed è taglio con conseguente trasferimento in Polonia.
Con lo Slask Wroclaw, finalmente, la svolta. Un 2003/2004 disputato a livello spaziali (32 partite a 20,4 di media e, soprattutto, un Eurolega da 25 a sera in 14 gare) gli vale la chiamata della Dinamo Mosca. In Russia le medie si abbassano sensibilmente ma Lynn ha sempre e solo l’Nba in testa. Talmente tanto da tentare nuovamente la fortuna nella Summer League 2005 di Las Vegas con i Phoenix Suns. Inutile dirlo, respinto con perdite.
Napoli diventa l’ennesima tappa di un peregrinare sulla via della catarsi. Che, però, trova finalmente il suo compimento. La squadra ha un ottimo potenziale. Tanti gli elementi di livello a disposizione di coach Bucchi: Morandais, Sesay, Larranaga, Mason Rocca, Cittadini, Spinelli, l’immortale Mimmo Morena. Manca il leader, la scintilla che accenda cuori, parquet e partite. In molti, all’inizio, disperano che possa esserlo quel piccoletto. La risposta? Una stagione da Mvp, capocannoniere con 22,6 punti ad allacciata di scarpe, percentuali terrificanti (53,8 da due, 48,6 da tre) e la summa della Coppa Italia vinta al termine di una finale tiratissima contro Roma, con l’amico ed ex compagno di college David Hawkins che gli rende deferente omaggio consegnandogli il premio di Mvp della manifestazione che non sentiva di meritare.
Il cammino tricolore si infrange contro la Bologna di un ancora imberbe Marco Belinelli ma sembra il dettaglio meno importante. Il PalaBarbuto sembra il Madison Square Garden e un’intera città (ri)scopre che non si vive di solo calcio. L’azzurro dominante non viaggia più a mezze maniche ma in canotta.
Ma a Greer tutto questo non basta. Non basta aver giocato come mai prima (e come mai dopo) a queste latitudini. Non basta aver aggiunto lustro alla sua grandezza. Non basta aver trovato la sua dimensione ideale. La sua magnifica ossessione è sempre la Nba, solo la Nba. Prima della stagione perfetta aveva fato inserire nel suo contratto una clausola che lo liberasse dagli impegni con Maione in caso di chiamata dagli Stati Uniti. Clausola che viene, puntualmente, esercitata quando i Milwaukee Bucks, nell’estate del 2006, gli offrono un biennale garantito. Stavolta niente Summer League: si entra dalla porta principale.
Lieto fine? Nemmeno per idea. E il destino, a questo giro, oltre all’ennesimo taglio datato settembre 2007, ci aggiunge il dolore per la perdita della compagna, portata via da un brutto male. Di colpo, la primavera napoletana da trampolino per il rilancio si trasforma in un malinconico canto del cigno. Nei successivi otto anni Greer cambia la bellezza di sei squadre (Olympiacos, Fenerbache, Olimpia Milano, Unics Kazan, Azovmash Mariupol, Darussafaka) senza mai ritrovare la magia di quei mesi in riva al golfo.
Dove tutto ripiomba nella normalità della monodimensione sportiva. Niente più bambini iscritti al minibasket, canestri ai giardinetti lasciati nuovamente ad arrugginire, PalaBarbuto che torna ad essere il solito vuoto agglomerato di ferro e lamiera senz’anima. Mentre una squadra irripetibile si sfalda progressivamente. Senza il ‘Maradona dei canestri’ vanno via tutti, Maione compreso. L’onta del fallimento arriverà di lì a poco, così come i tentativi più o meno riusciti di resurrezione, in una vicenda emblematica dello stato attuale del basket italiano che, però, non può trovare in queste pagine l’approfondimento che meriterebbe.
Cosa resta, quindi, alla fine di tutto? Solo il dolce ricordo di quell’anno che Napoli sognava lo scudetto non per merito del calcio.
Al grido di “Lynn Greer è megl’ e’ Pelè”.