STATS CORNER, speciale #NbaXmas - La partita dell'anno ai raggi X
Che tra Cavaliers e Warriors non sia stato un bello spettacolo l’abbiamo detto e sottolineato. Con quel pizzico di delusioni tipico di chi ha aspettato tanto il primo redde rationem stagionale tra LeBron James e Stephen Curry, trovandosi poi ad assistere ad una gara a punteggio basso e con percentuali orrende da ambo le parti. Certo l’orario, insolito per un main event (nella Baia era primo pomeriggio), non ha aiutato ma era comunque lecito attendersi di più.
O forse no. Già perché l’impressione, dopo i primi commenti a caldo, è che quello andato in scena sul parquet dell’Oracle Arena sia stato il frutto di un preciso piano partita. Quello dei Cleveland Cavaliers. I quali, memori delle ultime Finals, hanno provato a cambiare approccio, abbassando i ritmi di gioco, mettendola molto spesso sul piano fisico, provando a sfruttare i (pochi) punti deboli della squadra campione in carica. E se non fosse stato per quel 30/95 al tiro (terza peggior prestazione di sempre di una squadra di James con James in campo) la cosa avrebbe anche potuto funzionare.
Vediamo nel dettaglio. I Warriors, hanno tirato complessivamente con il 41% complessivo ma con il 27.8 da tre: quindi, solo 5 triple sulle 18 tentate sono andate a bersaglio, con i ragazzi di Blatt che hanno fatto di tutto per non allargare il campo e costringere gli avversari a giocare molto di più in post e nel pitturato, cosa che notoriamente Golden State non ama fare. Soprattutto nelle serate in cui le palle perse sono 16 (11 solo nel primo tempo), Thompson tira 6/16 e 1/4 e Curry (6/15 e 1/4), pesantemente condizionato dal problema al polpaccio, si è ritrovato di fronte il Dellavedova di gara 2 e 3 delle finali: vale a dire uno che le segue anche negli spogliatoi dopo la partita, dando il sangue difensivamente parlando su ogni singolo possesso. Rivolgersi, quindi, al ‘solito’ dominante Draymond Green di questa stagione (22 punti, 15 rimbalzi, 7 assist e 2 stoppate) è stata, quindi, la soluzione più naturale del mondo. Così come quella di dare molti più minuti in campo ad uno Shaun Livingston da 16 punti (8 nell’ultimo quarto) e 8/9 dal campo, con Speights e Barbosa spariti progressivamente dalle rotazioni (nemmeno dieci minuti in campo in due).
E allora come è stato possibile che i figli della Baia siano riusciti a sfangarla anche questa volta? Semplice. Per limitare al massimo gli avversari (per la prima volta in stagione i Warriors sono stati tenuti sotto quota 70 punti dopo tre quarti), i Cavaliers hanno finito con il limitare anche loro stessi: perché se è vero che, contro i Warriors, abbassare i ritmi sembra essere l’unica strada percorribile, è altrettanto vero che una gara spezzettata, e molto (troppo?) fisica, ha finito per depauperare il potenziale offensivo dei vicecampioni Nba. Soprattutto se LeBron per mettere 25 punti è costretto a prendersi 26 tiri, Irving non è ancora in grado di garantire almeno 30 minuti da Irving e Love si presenta nella versione scioperante e indolente di ieri sera. Restare comunque in partita nonostante il 31.6% al tiro (16.7 da tre) è stato sorprendente, ma si può tranquillamente parlare dell’eccezione che confermerebbe la regola dell’imbattibilità dei figli della Baia anche in partite a punteggio basso, soprattutto se le percentuali avversarie sono queste. Senza contare quel dettaglio fondamentale che sono i tiri liberi: l’1/4 del ‘Re’ e il 2/3 di J.R. Smith dalla linea della carità nell’ultimo minuto e mezzo hanno fatto tutta la differenza del mondo. In negativo, ovviamente.
Significativa, poi, la volontà di Blatt di andare ‘piccolo’ negli ultimi minuti di partita, rinunciando completamente (o quasi) a Mozgov e Tristan Thompson: lo small ball a casa di chi ne ha fatto un’arte. Non la scelta migliore possibile