SlowMo Player: Marc Gasol Sáez, il dominio de La Tanqueta
C’è sempre stato un paragone intrigante tra la pallacanestro e la melodia che riesce a creare il rimbalzo di una palla, i movimenti delle scarpette sul parquet, il semplice ma rilassante rumore del nylon quando il tiro è perfetto. Una particolare musica che i veri amanti del gioco riescono a cogliere una volta messo piede in un’arena, in un palazzetto o in una semplice palestra d’allenamento. La musicalità del gioco è uno degli aspetti più sottovalutati ma ci sono sempre delle “sfumature” che rendono grande una cosa. Non ci sarà nessuna lezione di musica oggi ma semplicemente un riferimento all’anno 1985. Siamo negli infiniti anni ’80: gli anni dei miti, dei ricordi, del cubo di Rubik, delle BMX, delle Polaroid, dei walkman, dei Dallas e dei Robinson, di Star trek, di Hulk, dell’Attimo fuggente, di Rocky. La scena musicale è quella che dominerà tutte queste categorie. La questione del terzo mondo, soprattutto quella africana, piena di carestie e guerre civile, allarmò il mondo intero, mobilitando ogni tipo di aiuto per far cessare la disperata situazione. Nasce, così, USA FOR AFRICA, con il primo acronimo che non corrisponde al consueto “United States of America” bensì “United Support Artists”. L’unione dei migliori artisti del momento, tra cui Lionel Richie, Michael Jackson, Stevie Wonder, Paul Simon, Tina Turner, Bob Dylan, Diana Ross, Bruce Springsteen e Ray Charles, mise in atto la canzone che probabilmente a avuto più successo nel panorama musicale mondiale: “We are the world”. Questa piccola parentesi musicale si ricollega direttamente alla nostra prima location. Da sempre, uno dei luoghi più pittoreschi, più vivaci, più colorati dell’orbe terracqueo è la penisola iberica ed in particolare la Spagna. Più che in Spagna, però, si respira un’aria diversa soprattutto in Catalunya, regione nord-orientale della penisola, dove la passione per la musica accende la movida di ogni notte. Il centro di tutto ciò, naturalmente, è Barcellona. E la nostra storia parte proprio da qui, dalla più caliente città ispanica. Era un martedì del mese di gennaio e correva l’anno 1985. Siamo in una famiglia molto legata alla medicina: don Agustí (Agustin all’anagrafe) e la senorita Marisa Sáez, infatti, sono rispettivamente un infermiere e un’internista. Quel giorno all’Hospital de la Santa Cruz y San Pablo, una delle strutture più maestose di Horta-Guinardò, terzo quartiere più grande della città catalana, venne alla luce il secondogenito di Agustì e Marisa. All’estensione della famiglia seguì il cambio di residenza, passando da una frenetica Barcellona ad un comune non molto distante dalla metropoli, ovvero sia San Baudilio de Llobregat. Qui la nostra storia si sposta obbligatoriamente in direzione di un altro membro della familia Gasol.
Il primogenito, Pau, è diventato famoso già all’età di 16 anni quando, dopo i vari successi con le varie selezioni spagnole, fu selezionato dal Barcellona. Il salto di qualità fu impressionante e Pau, dopo aver praticamente vinto quasi tutto con il Barça, capisce che ci sono diversi GM NBA interessati a portare il suo talento oltreoceano. Quasi contemporaneamente, avendo 5 anni di differenza con Pau, Marc cresce e matura la sua carriera cestistica, partendo Club Bàsquet Cornellà fino ad arrivare al Lausanne Collegiate School, sempre al fianco di suo fratello. Le cifre dei due sono incredibili, ma Marc viene sempre visto dietro il fratello maggiore, solo come l’hermano de Pau. Non bastano ancora i roboanti numeri del college: 27.5 punti, 12.5 rimbalzi e 5.7 stoppate, con percentuali vicine al 51% dal campo e al 42% da tre. Arrivano più università per orrirgli una borsa di studio ma se c’è un popolo legato alla propria terra, quello è il popolo catalano. Valigie di nuovo pronte, si ritorna a casa. Il Barcellona, lasciato da Pau per l’NBA, ora ha un nuovo Gasol. Ha debuttato nella Liga ACB il 26 ottobre del 2003, nella vittoria 91-77 contro l’Estudiantes. Nonostante i pochi minuti in campo, Marc alza il suo primo trofeo, vincendo il campionato. La stagione seguente, nel 2004-05, ha giocato un totale di 17 partite con numeri mediocri: 5.1 punti e 3.7 rimbalzi. Assaggia anche il palconoscenico europeo ed in Eurolega ha migliorato le cifre precedenti. Il vero turning-point di Marc Gasol si ha proprio nell’estate del 2005, quando gioca con l’under 20 l’europeo. Per i soli parziali: 16.8 punti, 9.3 rimbalzi e 2.3 stoppate. Acerbo ma non troppo. La crescita esponenziale prosegue e dopo essersi laureato campione del mondo in Giappone nel 2006, con MVP l’altro Gasol, decide di cambiare aria. Si trasferisce a Girona dove i suoi numeri e il suo gioco continuano a crescere. Nella stagione 2006-2007 con i suoi Akasvayu Girona compie l’impresa e vince la FIBA EuroCup. Non è più acerbo e supera anche il record di un certo Sabonis, vincendo per 11 volte il “premio” di MVP di giornata dell’ACB. La chiamata oltreoceano arriva anche per lui e arriva dai Los Angeles Lakers che, al secondo giro del draft del 2007, con la scelta numero 48, portano Marc in California. Il soggiorno nella città degli angeli è molto breve, perché dopo appena qualche giorno arriva la chiamata della sua Memphis. Nel frattempo, mentre Marc si trasferiva negli USA, l’hermano Pau si lasciava alle spalle la settima stagione con i nuovi Memphis Grizzlies (prima Vancouver Grizzlies) con una media di 21.3 punti di media (9474 punti in 444 gare). La mossa tattica e strategica della front-office di LA riuscì e in California arrivò Pau, mentre Marc si spostò nel Tennessee. Qui la nostra storia si colora a stelle strisce, con momenti di altissimo livello ed altri momenti in cui non ne andava dritta una al catalano. Momenti bui e momenti di gloria, alternandosi repentinamente come il chiassoso rumore del mercato di San Josep sulla Rambla. Il salto temporale che facciamo ci catapulta nella odierna realtà, dove Marc è cresciuto (in tutti i sensi) e sta sempre di più convincendo con i SUOI Memphis Grizzlies. Il primato ad Ovest non è poi così eccezionale, fuori dalla norma o altresì fortuito. Coach Joerger, fedelissimo assistente del’ex capo allenatore Hollins, gioca una delle migliori pallacanestro della lega e deve tanto, se non tutto, alla duttilità, alla pragmaticità cestistica del catalano con la #32. Marc all’interno di questo progetto è sempre stato inserito come una punta di diamante, come un giocatore solido sul quale poter fare affidamento.
Molto spesso la fiducia, l’importanza che ti viene assegnata dal GM, dal coach, dai compagni, vale molto più di un proficuo conto in banca. Non a casa l’inizio di stagione della franchigia del giovanissimo Robert Pera, azionista di maggioranza, coincide con la miglior partenza del lungo di Barcellona. I numeri ridurrebbero all’osso la bellezza e lo stile del gioco di Marc ma, già che ci siamo dentro, sottolineiamo anche l’aspetto numerico: 15 partite disputate, 15 partenze nel quintetto, 50.5% dal campo, 83.7% ai liberi, 7.9 rimbalzi, 1.3 recuperi, 3.1 assist , 1.6 stoppate e 19.8 punti di media. Buoni, sicuramente, ma non del tutto indicativi. La crescita sembra non essere finita come testimoniano queste prime 15 gare, tanto da mettere in serio dubbio chi fosse il Gasol più dominante all’interno della lega. Tecnicamente è talmente inappuntabile che il padrone della Los Angeles che lo scelse nel 2007, tale Kobe Bryant, ha dichiarato “HA TUTTO”. No, non c’è dell’esagerazione nelle parole del Mamba. Questo omone di 215cm per 120kg è efficace sotto tutti i punti di vista: ha una visione del gioco ridicola per una persona di quella statura; ha un uso del piede perno secondo solo al suo compagno di squadra Zach Randolph (dal quale presumiamo prenda lezioni); ha una mano talmente educata che può punirti anche eventualmente da oltre quello che in gergo viene definito “mid-range”; ha presenza all’ombra dei cristalli e i suoi 3563 rimbalzi catturati in 6 stagioni la dicono lunga; ed infine ha una mobilità, un’agilità, una facilità di muoversi attorno all’aerea che non potrebbe essere accostata a quel tipo di fisico. Secondo il parere di molti, ai suoi primi anni era chiaramente un talento da esterno rinchiuso in un corpo da centro. Ora che, però, il centro sta uscendo fuori e le mani son quelle, i polpastrelli son quelli, il rilascio è quello e il talento è rimasto intatto… son guai. Non stiamo tratteggiando il profilo del giocatore perfetto, anche se si avvicina a questo concetto per la sua proiezione offensiva. Ecco, non dobbiamo trascurare l’altra di proiezione. Nella sua lingua, il catalano, si potrebbe definire come “mandròs”, ovvero sia la traduzione di “pigro”. Marc è stato nominato nel 2012-2013 anche “Difensore dell’anno”, probabilmente non meritandolo appieno. È quello il suo unico difetto: la pigrizia. Un aiuto portato con un secondo di ritardo, una rotazione lontana mancata, una disattenzione che può costare cara alla squadra. La fase difensiva di Gasol è anch’essa in fase di sviluppo ma queste defaillance contribuiscono in negativo all’assetto difensivo, già molto solido, della squadra. Un difetto di non trascurabile importanza, vista e considerata l’ascesa generale di Big Marc. Ah, a proposito di soprannomi e nickname eventuali. Ce ne sono di diversi: Big Marc, Big Spain, Gasolina. Ma il più appropriato in assoluto è LA TANQUETA, dalla traduzione piuttosto arbitraria. C’è chi la definisce petroliera ma c’è anche chi la intende come una vera e propria corazzata. Career high (fatto registrare il 29 ottobre) o non career high non fa differenza. Il dominio di Marc si sta espandendo lungo tutto la costa occidentale e non. La lega non apparterrà a lui solo per questioni anagrafiche. Lo scontro tra Memphis e Chicago, tra i due Gasol, ci dirà chi è diventato il migliore. L’asticella, per il momento, pende nettamente verso il secondogenito di Agustìn Gasol e Marisa Sàez.