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SlowMo Player, Gerald Green: “I just saw a man fly” and much more!

Take Flight: Gerald Green jr. (reddit.com)
Take Flight: Gerald Green jr. (reddit.com)

Vi garantiamo che tutto ciò che state per leggere non è un semplice susseguirsi di eventi “tragic and drammatic” che abbiamo deciso di unire per crearvi dell’angoscia e dell’ansia. Cercheremo di ragionare sul processo evolutivo del nostro protagonista, Gerald Green, jr. Anche se la storia può sembrare singolarmente triste e “non piacevole”, andate fino in fondo perché la morale è di quella da NBA.

Numeri alla mano, subito: 10 come le squadre avute in appena 9 anni; 2 i tagli ricevuti all’high school o liceo che sia; 1/3 è la parte che manca; 3 i continenti girati; 5-15-25-8-14-25-14 i numeri di maglia indossati. Allacciate le cinture, si parte per un viaggio del tutto inimmaginabile. Non sarà il vostro consueto percorso attraverso date, anni, momenti piacevoli e svolte positive. Sarà una battaglia, una costante lotta alla ricerca della “confidence” che in italiano sembra più vicino alla parola “confidenza” ma che per gli americani vale più con l’accezione di FIDUCIA. Tutto può abbattere un uomo, e se non ti uccidono i continui fallimenti, i continui rifiuti, i continui tagli e la totale, appunto, sfiducia, allora sei un uomo diverso dagli altri, con una storia da raccontare. Vivacità e irrequietezza sono termini classici legati alla gioventù di qualsiasi ragazzo, in qualsiasi parte del mondo. Ma anche qui troviamo l’eccezione: la signora Green ha avuto la bellezza di 4 figli e per fare la mamma a tempo pieno ha dovuto lasciare il lavoro. La scelta non è stata solo dettata dall’amore materno ma anche da un insolito problema: passava più tempo a scuola del figlio Gerald, sui campetti di Houston, anche di notte. Il motivo? Quelle due parole utilizzate prima per i giovani ragazzi. “Non era un delinquente, ma l’energia irrequieta e la bocca sempre attiva che lo rendono amabile oggi all’epoca creavano solo guai. Chiudeva la bocca agli studenti e agli insegnanti” confessa la madre di Gerald. La stessa definizione di “bad kid” affibbiatagli quasi da subito non piacque mai al ragazzo in questione: “Non ero una minaccia per la società, but I was active and I was bad”  ci dice ancora oggi Green.

Un aspetto che rende unico ma allo stesso tempo Gerald comune rispetto agli altri giocatori NBA è la sua competitività. Solo che gli altri o sono stati più fortunati di lui o non hanno mai pensato di fare ciò che vi stiamo per descrivere. Che fosse pallacanestro, un qualsiasi videogioco o un semplice nascondino, Green voleva vincere e competere con gli altri. Un giorno, alla tenera età di 11 anni, accettò una sfida assurda: doveva saltare e toccare una sporgenza al di sopra di una porta del corridoio di casa sua. Purtroppo per Green, anche se solo a 11 anni, aveva già i mezzi per farlo. Ma delle sue incredibili gambe ce ne occuperemo più tardi. Indossava, come di consueto, l’anello di sua madre. Quando sale e arriva effettivamente a quelle altezze, schiaffeggia la sporgenza della porta ma l’anello si incaglia in una parte del suo obiettivo e scendendo si strappa via pelle e tendini del dito anulare. “Sono stato appeso al quel chiodo per una frazione di secondo” ha detto Green “Avete mai visto ‘Terminator 2’ quando viene tagliata la mano e non si vede nulla se non il suo interno? Ecco com’è stato. Non c’era altro che l’osso bianco”. Questa è la versione più accreditata anche se ne girano tantissime altre di leggende. Il padre, un vigile del fuoco, optò durante l’intervento chirurgico per la rimozione della terza e della seconda falange del dito, credendo che la cosa non potesse influire più di tanto nello sport. La reazione non fu positiva, visto che Gerald non sapeva della scelta del padre: “Ero devastato. Ci penso tutti i giorni. Non ho pianto quando mi sono fatto male. Ho pianto dopo il risveglio dall’anestesia, quando ho visto che il mio dito non c’era più. Mi guardavo la mano e dicevo ‘Dove diavolo è il mio dito?'”. La furia e la rabbia di Green si placò quando si rese conto, 3 anni dopo, che la sua storia poteva essere di ispirazione per gli altri, nella continua lotta per superare tutti gli ostacoli che la vita ti pone davanti.

E ancora non siamo entrati nel basketball side del texano. Già che ci siamo stiamoci dentro. Prima grande delusione: “Ancor prima di voler far parte della squadra del mio liceo, ho sempre detto che avrei voluto diventare un giocatore NBA, e la gente rideva di me e mi rispondeva con un ‘Fuori di qui, non diventerai un giocatore NBA. Non giochi neanche a basket!’”. La risposta, sempre pronta di Green, per sua stessa ammissione fu “Sì, gioco. Al parco”. Non c’era attimo in cui non veniva schernito dalle persone che lo circondavano. Ma nulla fermava Gerald che ammette: “So che questo può suonare arrogante o presuntuoso ma mi piace verdermì così. Anche in campo ora, non credo che qualcuno possa. Devo solo avere molta fiducia”. Come metterlo in dubbio o dargli torto, ora come ora?

The man that can fly! (hoopmixtape.com)
The man that can fly! (hoopmixtape.com)

Il viaggio prosegue e una tristissima tempesta sta per abbattersi sul nostro protagonista. Senza quel grande rifiuto, probabilmente, la carriera cestistica di Green non si sarebbe mai realizzata. Come detto fu tagliato come matricola dalla J. Frank Dobie High School. Prima del suo secondo anno, però, la nonna, alla quale Gerald era molto legato, gli lasciò una lettera, scritta a mano e in corsivo. Le parole della nonna, che Green custodisce con devozione, riguardano il potenziale del nipotino e sulle possibilità di mostrarlo agli altri, per diventare migliore e per applicarsi nelle cose che fa. “So che si può fare” scrisse la nonna in corsivo “Penso che dovresti provare di nuovo con il basket”. Dopo nemmeno due settimane da quella straordinaria lettera che cambiò il cervello del nostro Gerald, Herman e Winifred Green morirono in un “omicidio-suicidio”, in cui Herman ha sparato alla moglie e poco dopo si tolse anche lui la vita. Secondo l’idea di Green, la nonna sapeva che sarebbe successo e per questo motivo gli scrisse quelle parole, per farlo riflettere, per farlo crescere anche senza il suo supporto.  La seconda delusione, purtroppo, arriva quando viene tagliato di nuovo, stavolta da sophomore. Un altro evento tragico lo vede “coinvolto”: settimane dopo la sua esclusione, un giocatore scelto dal coach crolla in campo e muore davanti a tutti i suoi compagni di squadra per via di un grave difetto cardiaco. Il coach lo chiama a rimpiazzare quel ragazzo “passato a miglior vita” e così si trasferisce a nella varsity. Dopo una piccola travagliata carriera cestistica, Green capisce che le sue potenzialità sono tante e sviluppa quello per cui ora è maggiormente famoso: l’arte della schiacciata. Ricordate quella sfida della sporgenza? Ecco, non c’è altezza che possa spaventarlo, neanche su un campo da basket. Inizia a dimostrare di sapere letteralmente VOLARE già nel 2005, vincendo a mani basse il McDonald’s All-American Slam Dunk Contest contro altri attuali NBA Player (Amir Johnson, Josh McRoberts, Lou Williams). Non è un eufemismo il verbo usato in precedenza. Gerald ha delle molle al posto delle gambe e un detonatore che fa esplodere quell’energia che è in lui ogniqualvolta decide di andare sopra al ferro. Per la vittoria finale, in ordine sparso: palla contro il cronometro dei 24’’ e schiacciata a volo; auto alley-oop staccando da poco più avanti dello spigolo dell’area; alzata schiacciata a terra, poi contro il vetro e reverse; solita con braccio all’interno dell’anello dopo l’affondata; per chiudere, una comoda sotto le gambe, vista fare anni prima da tale J-Rich, al secolo Jason Richardson.

Lo notano i Boston Celtics che decidono di investire su di lui. Non come prima opzione, ci mancherebbe altro. Non è affatto il caso della vita di Gerald Green. Ma il front office Celtics gli pone davanti un contratto tra i professionisti. Ma c’è Oklahoma State University. No, niente da fare. Il primo caso di vera FIDUCIA non si può lasciar andar via. Alla 18 i Celtics hanno la chiamata e la spendono per lui. La prima stagione si conclude con cifre nella norma per un rookie, nulla di più e nulla di meno. Rivacilla quella fiducia che gli era stata data, quello spicchio di “confidence” che per così tanto è stato bramato e desiderato. Altra stagione a cifre più che discrete ma Gerald non si sta esprimendo secondo quel potenziale che la nonna gli scrisse quel giorno in quella lettera. In ogni momento di difficoltà, Green sa che deve stupire, deve aprire la bocca per chiudere quella degli altri. Decide di partecipare allo Slam Dunk Contest dell’All-Star Game del 2007. Le parole non servono, parlano le immagini (e ce ne son tante, fidatevi) e parla l’immaginazione del fratello, tale Garlon che contribuisce in maniera sostanziosa al successo. Contribuisce, ma le molle son sempre di Gerald. Rituffiamoci in un più recente passato, solo per continuare a ribadire che, nonostante le maglie cambiassero a raffica, così come i continenti in cui ha giocato (Europa e Asia), la creatività e l’esplosività fisica del nostro non cambiano mai. È diventato a tutti gli effetti il padrone della windmill dunk, quella che noi volgarmente e poco romanticamente definiamo “mulinello”.

 

Ovunque vada la esegue in maniera sempre diversa, sempre alzando l’asticella della difficoltà. Storica ed epica è quella fatta vedere alla fine di un lob con la maglia degli allora New Jersey Nets. I paragoni con MJ non esistono con nessun tipo di essere sensiente su questo pianeta ma quando si vede schiacciare Gerald Green jr. l’unica frase che ti viene in mente è lo storico commento del telecronista post schiacciata (non ho bisogno di dirvi quale) di Michael: I JUST SAW A MAN FLY!

Dopo un particolare girovagare in Russia, poi in Asia durante il lockout, arriva ai Lakers dove giocherà pochissimo e a dicembre diventerà membro della squadra della D-League legata ai giallo viola, i D-Fenders. Illegale per quella categoria: MVP obbligatorio. Gira, gira e finalmente trova “casa”. Da qui in poi stop ai ricordi, perché è arriva l’ora del presente. Dopo essere stato soprannominato “a basketball nomad” per via dei continui spostamenti, l’Arizona lo ha accolto e lo ha curato, trattato ed esaltato come un figlio, con una stella, quello che Gerald sognava di essere. A Phoenix trova un progetto nuovo, moderno e all’avanguardia, senza stelle clamorosamente di spicco, senza prime donne e senza obbligo di successo immediato. La situazione perfetta per crescere e dimostrare di avere le potenzialità giuste. Naturalmente porta con sé le molle, quello che lo rendono così celebre negli States e non solo. Ma troppe volte, troppo spesso si sottovaluta il giocatore nel suo complesso, nelle sue altre caratteristiche ben sviluppate. È chiaro che l’aspetto spettacolare colpisca e faccia presa molto più rapidamente rispetto ad un fondamentale, ma soprattutto in quel di Phoenix riesce a mettersi in mostra sotto tanti altri punti di vista. Il primo lato del gioco che balza agli occhi è il tiro dalla lunga distanza. La sua, dati alla mano, è una crescita repentina che allarga il suo campo d’azione e lo rende più pericoloso: passa da avere il 30% al primo anno con i Celtics con 20 tiri ad avere il 40% con 510 tiri lo scorso anno ai Suns. Una scalata che non ha ancora trovato il suo punto di arrivo, visto che al momento Green viaggia con il 37.3%. Tutto ciò fa del nostro un giocatore molto imprevedibile, capace di realizzare dalla lunga distanza ma che allo stesso tempo può batterti con un primo passo fulmineo e può concludere nel modo in cui abbiamo visto nel video precedente. Insomma, quella posizione di triplice minaccia tanto desiderata dai coach. Senza ombra di dubbio, la stagione 2013-2014 è stata la migliore, sia in termini di punti realizzati (1295 totali, 15.8 di media) sia in termini di percentuali (40% da 3 punti e 84.8% dalla lunetta), considerando che il minutaggio, anch’esso massimo in carriera, si aggirava intorno ai 28 minuti a gara.

Green for three vs Lakers (zimbio.com)
Green for three vs Lakers (zimbio.com)

Cifre, dunque, che portano a pensare ad un netto miglioramento ma non indicano la direzione di questo miglioramento. Con un minimo di provocazione, all’interno del nostro titolo abbiamo deciso di aggiungere “much more” alla solita caratteristica dei Gerald Green. Un giocatore sempre sottovalutato, sempre molto nell’ombra (tranne quando vola) e quasi sempre non contemplato in categorie che lo vedono primeggiare. I Suns dello scorso anno, squadra rivelazione se ne è esistita una, hanno vantato l’exploit di Goran Dragic, l’inserimento perfetto dei gemelli Morris e l’impatto strapositivo di coach Jeff Hornacek. Il vero ago della bilancia, però, è stato più volte il protagonista della nostra analisi. Anche in quelle che oggi possono essere considerate statistiche avanzate, Green ha percorso una tratta sempre increscendo: nei dati per 100 possessi, ha tirato con le percentuali più alte sia da 3 che da 2 e vanta addirittura una media di 27.9 punti. Non restano solo i numeri da analizzare ma le tante altre sfaccettature di un ventaglio di opportunità di gioco che si è allargato notevolmente. La sua visione, le sue letture sono talmente migliorate che in alcuni sprazzi di gara, ad impostare l’azione è proprio lui.

Dopo essere stato “rilasciato”, così usano dire in Cina, dai Foshan Dralions (CHI) nessuno forse avrebbe avuto la forza di rialzarsi. Green, se non avesse passato tutto ciò che vi abbiamo raccontato, forse non si sarebbe rialzato. Ed invece non è stato così. Anzi. Chiudiamo con una citazione di un giornalista del primo quotidiano di sport di Phoenix: “Trascorrendo del tempo con Green si arriva rapidamente a conoscere la sua fiducia incrollabile, soprattutto perché il suo livello, il suo ruolo negli spogliatoi è totalmente cambiato. Per lui occorre una cieca fiducia in sé stesso per superare una corsa a ostacoli, quelli più importanti: gli ostacoli della vita”

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone