Scontro fra Titani: Wilt Chamberlain vs Bill Russell
Il 25 settembre del 1959 il presidente americano Dwight Eisenhower e quello sovietico Nikita Kruscev si incontrarono a Camp David, residenza estiva del presidente degli USA: fu un incontro storico, che sancì l’inzio della distensione dei rapporti tra USA e URSS, il primo passo verso la fine della guerra fredda.
Ma nel microcosmo cestistico della giovanissima NBA, che all’epoca era ancora in età adolescenziale, il 1959 fu l’anno che vide la genesi di quella che forse è la più grande rivalità della storia dell’NBA, tra due dei suoi giocatori più forti di sempre.
Da un lato abbiamo Wilton Norman Chamberlain, detto Wilt.
Immaginate un uomo della stazza di Shaquille O’Neal, ma senza la sua ciccia d’ordinanza, più forte fisicamente e capace di correre i 400 metri in 49 secondi, saltare 7 metri in lungo e quasi due metri in alto, in grado di praticare senza problemi l’atletica leggera, il volley, il football e la boxe: questo può dare una vaga idea del suo atletismo e dell’impatto in campo, dove era in grado di spostare il proprio marcatore “come una tazzina di caffè” per farlo andare dove voleva lui .
Con il suo bagaglio tecnico, la sua coordinazione e un profondo Q.I. cestistico a completare il quadro, non è difficile capire quanto dominante fosse Wilt Chamberlain,
un personaggio con un ego pari a quello di Kobe e MJ, che voleva essere sempre e comunque il migliore in qualunque cosa e si riteneva bellissimo, affascinante e di successo, ma che era suo malgrado sempre fischiato, perché come gli disse “The Logo” Jerry West, suo compagno ai Lakers, “Alla gente non piace mai Golia”.
La sua vita è una
fonte quasi inesauribile di aneddoti, dalle 20.000 amanti (dichiarate) in 55 anni allo sfiorato incontro di boxe contro Muhammad Ali, con in mezzo le carriere di DJ, di attore e di scrittore e la parentesi con gli Harlem Globetrotters prima di esordire in NBA; nel periodo in cui viveva a New York (giocando a Philadelphia) fu proprietario del Night Club dove lavorò per qualche tempo un giovane Malcom X. Il suo punto forte era allo stesso tempo il suo punto debole: era un grande individualista. Durante la sua carriera, trascorsa tra Warriors, Sixers e Lakers, è riuscito a totalizzare 29 punti e 23 rimbalzi di media, a realizzare 100 punti e 55 rimbalzi in una sola partita e raggiungere i 50 punti di media in una stagione; è stato 4 volte MVP della Regular Season, 7 volte capocannoniere della lega, 9 volte leader per percentuale di tiri realizzati dal campo, 11 volte miglior rimbalzista e una volta anche per assist (!); ha chiuso le sue 14 stagioni con 31419 punti realizzati (e sarebbero stati molti di più se non avesse avuto un 51% ai liberi) e 23924 rimbalzi, più di chiunque altro.
Ma una voglia di allenarsi pari alla voglia di Bargnani di esordire in WWE, la frequente assenza del tasto X sul suo controller personale e il desiderio di primeggiare anche a scapito dei compagni erano l’altra faccia della medaglia.
Dall’altro lato abbiamo William Felton Russell, detto Bill.
Nato in Louisiana, nel profondo Sud degli Stati Uniti, ha conosciuto la segregrazione razziale e ha perso la madre ad appena 12 anni, ed è proprio per onorare la sua memoria che si è fatto sotto con lo studio ed è riuscito a guadagnarsi una borsa di studio per l’università di San Francisco.
Non è mai stato un grande palleggiatore e non aveva una grande varietà di movimenti in attacco, ma era eccelso in difesa e a rimbalzo, e con duro lavoro era riuscito a sviluppare anche un grande atletismo: pare che proprio nel periodo universitario inventò la stoppata, gesto tecnico che prima di lui nessuno aveva mai tentato, ma che fece presto conoscere ad un vasto numero di inermi guardie che avevano l’ardire di sconfinare vicino a lui.
Aveva un talento immenso che metteva a servizio della squadra, per migliorare il gioco dei compagni e avere un influsso negativo su quello degli avversari: il miglior esempio era la sua capacità di piombare come un falco (gigante) sull’avversario che era riuscito a superare il compagno, al punto che in seguito i Celtics svilupparono una tattica difensiva volta proprio a indirizzare gli avversari in pasto a Russell quando provavano la penetrazione.
Nei suoi due anni di college San Francisco vinse due volte il titolo universitario, e lui venne votato MVP della manifestazione: sarà un tormentone ricorrente della sua carriera.
Dopo il college approdò in quel di Boston, dove giocò per tutta la sua carriera,dove si rimboccò le maniche e fece vincere alla squadra tutto quello che era possibile vincere.
In effetti, se dovessimo descrivere Bill con una canzone, sarebbe “All i do is win” : perché è quello che esattamente fa, vincere. Ha vinto contro un infanzia difficile, contro gli avversari, contro il razzismo e anche “contro il gioco”, che non sarà mai più lo stesso dopo di lui. E poco importa che “All I Do Is Win” non abbia esattamente il testo di una canzone di De André.
Probabilmente, dovendo chiedere ad un allenatore degli anni ’60 chi avrebbe preferito tra Wilt Chamberlain e Bill Russell, la maggior parte avrebbe scelto il secondo.
Wilt probabilmente era forse un giocatore più forte, ma “Wilt giocava per Wilt”, mentre Russell giocava per vincere. E conseguentemente Bill vinceva quasi sempre.
I due si sono incrociati in otto serie di playoff, con Bill sempre ai Celtics e Wilt prima ai Warriors, poi ai Sixers e ai Laxers: di queste una sola serie è stata vinta da Chamberlain, mentre le altre 8 sono state tutte vinte da Russell. Inoltre, 3 di queste serie le ha vinte in una gara 7 con uno o due punti di margine, e se già quando capita ai campetti viene voglia di recarsi in esilio ad Utica con Catone, si può immaginare cosa poteva provare Wilt in quei momenti.
Anche il conteggio degli anelli è impietoso: 11 titoli (di cui 9 di fila) per Russell, solamente 2 per Chamberlain. Dovessimo fermarci qui, sarebbe uno stupro sportivo, verrebbe da chiedersi perché nessuno fece mischiare le squadre.
Ma va detto che Chamberlain in quelle partite viaggiò a degli onestissimi 30 punti e 28 rimbalzi di media, contro gli altrettanto onesti 14 punti e 22 rimbalzi dell’avversario (robe di tutti i giorni in pratica), e che se Wilt era chiamato a trascinare letteralmente le sue squadre, non sempre fornite di compagni adeguati, alla vittoria, Russell poteva invece contare sull’apporto di compagni del calibro di Sharman, Cousy, Sam Jones e Havlicek, orchestrati alla perfezione dal genio in panca che rispondeva al nome di Red Auerbach, e dunque era in grado di prendersi qualche responsabilità in meno.
Tra Bill e Wilt ci fu grande rispetto e anche amicizia, al punto che spesso capitava che andassero a cena insieme (e raramente capitava che parlassero di basket), e nonostante non gradissero che si parlasse di una rivalità tra loro, in ogni caso una giusta dose di competitività non poteva mancare, date le circostanze: ad esempio, quando nel 65′ a Chamberlain fu offerto un contratto da 100.000 dollari, Russell fece passare momenti d’inferno ad Auerbach, minacciando il ritiro se non gliene fosse stato offerto uno da 100.001 dollari, giusto per una questione di principio.
Però, dopo gara 7 delle finals del ’69 disputate tra Celtics e Lakers, ultima partita che li vide contrapposti e conclusa con il punteggio di 108 a 106 per Boston, Russell criticò duramente Chamberlain per non essere entrato negli ultimi minuti a causa di un infortunio che, a suo dire, non era così grave. La critica di Russell, figlia del suo grande senso di squadra e forse anche di un po’ di risentimento per la “macchia” dell’assenza di Chamberlain negli ultimi minuti della partita con cui vinse l’ultimo titolo, causò la nascita di un lungo periodo di gelo tra i due, che non si parlarono per vent’anni.
In seguito Russell si scusò privatamente e pubblicamente, e la loro antica amicizia riaffiorò, al punto tale che, nel 99, poco prima che il cuore di Wilt smettesse di battere, pare che chiese che Bill fosse la seconda persona ad avere notizia della sua morte.
Chi dovrebbe essere definito vincitore in questa rivalità? Bill Russell con il suo bottino di titoli o Wilt Chamberlain con i suoi innumerevoli trionfi individuali?
Ognuno probabilmente risponderebbe in maniera diversa, perché quello di Chamberlain e Russell non è stato solo un duello tra due giocatori straordinari, ma anche di due modi di intendere, giocare e vedere la pallacanestro che sono sopravvissuti fino ad oggi – quello del campione che trascina i compagni verso la vittoria e quello del campione che mette i compagni in grado di vincere.
Ma attenzione a guardare ai palmarés per giudicare quale delle due linee di pensiero (e di gioco) sia più efficace, perché è solo uno dei fattori che concorrono a formare i risultati sportivi, assieme alle tattiche, alle circostanze e ad una sana dose di fattore C.
Una cosa è certa: quando ci capita di posare gli occhi su un airball di Sacre o essere testimoni dell’ateltismo di Turiaf, sarà lecito chiudere gli occhi, ripensare al semigancio di Russell o allo scatto felino di Chamberlain e lasciare che ci scorra una lacrimuccia sulla guancia.