ROTY Rush #1 - La guida al Rookie dell'anno.
Benvenuti alla ROTY Rush, la rubrica che si propone di descrivere ai lettori le prestazioni dei candidati più probabili alla vittoria del premio Rookie of The Year.
JABARI PARKER – Scelto come secondo, agli occhi di tutti il primo dei rookie. La pressione del pronostico è tanta, ma lui come i Bucks guarda alla stagione nel modo più leggero possibile. A quasi un mese dall’inizio della stagione regolare (incuriosita da una pre-season ad altissimi livelli), Parker è quasi sempre andato in doppia cifra e i picchi raggiunti contro Detroit e Brooklyn fanno davvero ben presagire. Da non sottovalutare l’alchimia che si è venuta a creare con Antetokounmpo, visto che ci sono partite in cui la coppia sembra davvero inarrestabile. Se si dovesse dare ora il premio, in pochi avrebbero dei dubbi.
ANDREW WIGGINS – La solitudine dei numeri primi? Forse sì, forse no. Sicuramente Wiggins non è ancora riuscito a liberarsi del bagaglio di essere la prima scelta in un draft che trova nomi importanti per quasi tutto il primo turno. L’ambientarsi in una franchigia come i Timberwolves e prendere il posto (non il ruolo) di Kevin Love non è stato semplice e il non avere un riferimento da cui imparare anche come gira l’Nba non ne hanno favorito l’impatto iniziale. Nelle ultime partite sembra aver cominciato a carburare (ben 29 nella partita contro Sacramento) e chissà che non recuperi il terreno perso in tempi record. Unico appunto: in quella che è stata denominata sfida dei rookie (quella contro Parker) non è ancora riuscito ad uscire vincitore neanche una volta.
ELFRID PAYTON – Sono solo 17 partite, ma per analizzare il percorso di Payton si può già fare una divisione: pre e post-Oladipo. Il ritorno della guardia ne ha fatto tracollare minuti e punti, lasciando gli appassionati col dubbio del se effettivamente la decima scelta del draft troverà lo spazio necessario per esprimersi al meglio. Quando ha giocato con continuità però ha fatto vedere a tutti un talento da coltivare. La crescita di Orlando, per assurdo, non lo aiuterà.
AARON GORDON – Devo essere sincero, non mi sono ancora fatto una chiarissima idea dell’altro rookie scelto dai Magic. Davvero molto bello da vedere, quasi tutti i punti che fa sono una gioia per gli occhi, ma restano davvero pochi. Il minutaggio a tratti non lo aiuta, ma la sua esplosività dovrebbe essere più mirata ad aiutare il team. Piove sul bagnato però per il classe ’95, che pochi giorni si è dovuto fermare davanti a una frattura al piede che lo terrà fuori dalle scene fino a data da destinarsi e ne comprometterà forse il ruolo ad Orlando.
DOUG MCDERMOTT – Decisamente “sfortunato”. Non è una sfortuna giocare nei Bulls, ma con le ambizioni che si propone la franchigia i minuti per il ragazzo prodotto della Creighton University difficilmente saranno destinati ad aumentare. La prima chance in quel di Portland è stata quasi un buco nell’acqua ed è probabile che non si ripetano le condizioni per fargli solcare il parquet per una così grande parte di gara (grazie all’assenza di Gasol e all’infortunio durante il match di Gibson). Risalire la china con così pochi spazi è davvero dura, sta a lui costruirsi le possibilità di dare torto agli scettici.
KOSTAS PAPANIKOLAOU – Oscilla tra quintetto e panchina da sesto uomo in una franchigia dalle altissime ambizioni quale è Houston. Le prestazioni sono spesso altalenanti e ad inizio stagione sembrava essere molto più incisivo di quanto lo è stato nelle ultime uscite. Bisogna comprendere se i numeri quasi insufficienti delle ultime giornate siano frutto del momento difficile dal punto di vista atletico per i Rockets o se effettivamente le aspettative che si erano create fossero troppo alte.
SHABAZZ NAPIER – Discorso inverso va fatto per il playmaker di Miami. Napier è sicuramente il più maturo tra i giovani provenienti dall’NCAA (dove l’anno scorso ha vinto il suo secondo titolo) , ma all’impatto aveva dimostrato un’insicurezza che non gli si addiceva. Inizialmente spaesato, ha preso fiducia e sfoderato nelle ultime settimane delle prestazioni di altissimo livello, riuscendo finalmente a ritagliarsi un posto fisso nelle rotazioni degli Heat e dando spettacolo in più occasioni (ne sanno qualcosa i difensori dei Nets).
BOJAN BOGDANOVIC – Altro cestista dal passato nel vecchio continente che si cimenta nella sua prima stagione in Nba. La scelta dei Nets è stata mirata e il suo posto fisso nel quintetto dimostra la fiducia che la franchigia ripone in lui, anche se il rendimento non è stato sempre eccelso e in troppe occasioni il suo score si è aggirato intorno a cifre irrisorie per chi ha a disposizione una così grande fetta di gara. O accelera definitivamente o rischia di perdere il posto privilegiato in quel di Brooklyn.
DANTE EXUM – Aveva incuriosito tutti per come si era presentato prima del draft. Al punto che ha catturato le attenzioni anche degli Utah Jazz, che l’hanno scelto alla numero 5. La fiducia che gli sta dando la franchigia di Salt Lake City è di un certo tipo, perché Exum riesce a ritagliarsi più di 15 minuti di media per gara; il problema è che in fase realizzativa non sta tenendo fede alle aspettative che si erano create su di lui: meno di 5 punti a partita sono un po’ pochi per una delle prime alternative in uscita dalla panchina. Materiale su cui lavorare ce n’è, ma il miglioramento deve avvenire nel giro di poco per sfruttarne al meglio il potenziale.
NERLENS NOEL – Ha subito un calvario simile a quello di Blake Griffin: uno dei principali prospetti del draft dell’anno, quando poi un infortunio gli fa perdere appeal e la prima stagione da rookie, che così inizia quest’anno. E’ ovvio che il giudizio su di lui è da prendere con le pinze, perché la situazione a Philadelphia è decisamente desolante. Ad ogni modo, ha tanto spazio e questo lo svezzerà per il futuro. Dopo tutto, in una lega di giganti, riesce a ritagliarsi il suo spazio, con i suoi 8 punti di media. Prima di essere definitivi, ci aspettiamo di vederlo in un contesto più competitivo. Ma promette molto bene.
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