Rockets @ Warriors: Top & Flop di gara 2
Sei a zero. Peccato che non sia un set tennistico, ma il risultato degli scontri stagionali tra Houston Rockets e Golden State Warriors, regular season compresa. E le ultime due sconfitte rischiano di essere difficilmente assorbibili dai ragazzi di McHale (che non battono i figli della Baia dal 13 dicembre del 2013) che già contro i Clippers sono stati chiamati, con successo, a una delle più incredibili rimonte della storia dei playoff Nba. Ma, a questo giro, ci sono i Warriors. Vale a dire uno dei sistemi più ingiocabli dell’intera lega (basti pensare ai 21 assist su 23 canestri dal campo nei primi due quarti di partita). Una squadra che non ti da quasi mai seconde possibilità, nemmeno se puoi contare sul ‘Barba’ o su un Dwight Howard comunque positivo nonostante i problemi al ginocchio. Se in Texas hanno un piano per fermare l’armata bianca gialla e blu devono iniziare a darsi una mossa, fin da gara 3. Dopo potrebbe essere davvero troppo tardi. Anzi, levate pure il condizionale.
Nota statistica: Golden State, quest’anno, è 45-3 in casa (6-1 nei playoff). Mai come in questa stagione il fattore campo rischia di pesare sulle sorti della squadra indicata da tutti come favorita.
TOP
Stephen Curry: saremo pure ripetitivi ma la colpa è solo sua. Ennesimo trentello (15 punti nel solo primo quarto, più 3 rimbalzi e 6 assist), ennesime percentuali mostruose (13/21 al tiro, 5/11 da tre) nonostante i raddoppi costanti, ennesima vittoria per Golden State, ennesima conferma che l’Mvp è in buone mani. Dominante nel senso più puro del termine.
James Harden: stesse percentuali dal campo del ‘gemello diverso’ con il numero 30, qualche punticino in più (38, di cui 19 nel primo tempo quando i Rockets piazzano il 23-6 che riapre la gara), persino un impegno difensivo insolito per uno come lui. Oltre a una tripla doppia da favola, distante un assist appena. Ma non basta. Perché mentre l’altro può contare su una squadra che va al ritmo del suo respiro, il ‘Barba’ è costretto sovente e cantare e portare la croce da solo. In versione ‘ultimo giapponese’ risponde colpo su colpo agli strappi di Curry ma ha parzialmente sulla coscienza la gestione scellerata, in coabitazione con Howard, dell’ultimo possesso che avrebbe significato un 1-1 nella serie di importanza capitale.
Andrew Bogut: dimenticati in fretta i patemi della serie contro i Grizzlies, l’australiano è tornato ad essere l’ago della bilancia silenzioso delle sorti di Golden State. Howard andrà pure in doppia doppia (19 e 17 rimbalzi), ma Andrew fa la sua parte difensivamente (5 stoppate e 6 rimbalzi difensivi su 8 totali), aggiungendo anche quel quid in più dall’altro lato del campo (14 punti, con 7/9 dal campo). Decisivo come mai prima in questi playoff.
FLOP
Klay Thompson: si ha quasi l’impressione che lo ‘Splash Brother’ numero due si spenda talmente tanto difensivamente contro Harden, da prosciugare energie e lucidità da spendere nella metà campo offensiva. Il 6/15 dal campo (1/4 da tre) non rende giustizia a uno come lui. Urge ritrovare la versione vintage, soprattutto in vista di gare 3 e 4 da giocare in trasferta, con il prevedibile assalto all’arma bianca dei Rockets.
Jason Terry: vale lo stesso discorso fatto per Thompson, con la differenza che lui è l’incaricato di stare sulle piste di Curry. Oltre agli auguri di prammatica (non vorremmo mai e poi mai essere nei suoi panni), c’è la constatazione di un giocatore che non riesce più a incidere in partite dove, fino a qualche anno fa, riusviva a fare la differenza. Mentalmente prima ancora che dal punto di vista tecnico. Ma, forse, chiediamo troppo a chi è lì per cercare principalmente di limitare una delle più terrificanti armi offensive dell’intera Nba.
Josh Smith: dovrebbe dar man forte ad Howard nella lotta contro Bogut, sfruttando le croniche mancanze di Golden State sotto i tabelloni. Dovrebbe, appunto. Perché i suoi 21 minuti di impiego raccontano di 10 punti e della miseria di un rimbalzo. E, per fermare quelli li, serve il cugino forte di ‘J-Smoove’.