ROAD TO FINALS – Steph Curry, pochi passi per raggiungere la perfezione
La perfezione non esiste. Vero, ma come definireste una stagione da 23,8 punti a partita, 4,3 rimbalzi, 7,7 assist, da 67 vittorie e il titolo di MVP in caso di vittoria del titolo NBA? E se i numeri spesso non dicono davvero tutto, sono state le sue prestazioni, le sue giocate entusiasmanti ad esaurire il vocabolario degli appassionati, degli addetti ai lavori e degli avversari.
Figlio d’arte, ha passato la sua infanzia sui campi NBA seguendo suo padre Dell, guardia tiratrice con numeri discreti ma mai vicino al titolo. Con quel fisico, dicevano, difficilmente diventerà un giocatore di alto livello; troppo gracile, soffrirà difensivamente. Steph Curry ha smentito tutti prima a Davidson, una delle poche franchigie NCAA che hanno avuto fiducia in lui e poi ad Oakland. Partito un po’ in
sordina, è esploso lentamente ma inesorabilmente e sembra, con l’arrivo di Steve Kerr, aver trovato anche un maggior equilibrio emotivo.
Nato nello stesso ospedale a 39 mesi di distanza ad Akron, la sfida con LeBron James rappresenta sicuramente il meglio che una finale NBA possa offrire al momento. Storie diversi, percorsi diversi ma che si incrociano per il ballo più importante.
Un uomo da solo sull’isola? Chissà. Il pericolo che si pensava avessero ai play-off Golden State è che la squadra fosse troppo dipendente dal suo play-maker. Non è stato così ma il dubbio si ripresenta specie perché le reali condizioni di Thompson le conoscono in pochi e perché, al contrario di Cleveland, gli Warriors non hanno gente abituata a giocare le Finals NBA al contrario dei loro avversari. Curry ha dimostrato emotivamente di non subire troppo la pressione e sembra un leader silenzioso ma efficace, inoltre il suo gioco (gli assist lo dimostrano) è in grado di coinvolgere i compagni e renderli così più efficaci anche in difesa.
Steph Curry, l’uomo venuto dall’Ohio che tutto l’Ohio teme. Chi lo marcherà? Il profilo giusto sembra essere quello di Dellavedova, ragazzo ligio al dovere, buon difensore ma sopratutto capace di far innervosire gli avversari con “trash talking” e contatti fuori dal contesto di gioco. Blatt è certamente allenatore esperto ma sarà difficile per lui trovare soluzioni per limitarlo e la difesa sul pick and roll è ancora una incognita. Nelle due partite giocate in regular
season, Steph ha tirato “solo” con il 40% al contrario del 49% in stagione, ha segnato 4 punti in meno di media ma ha smazzato 8 assist a partita, sintomo di una difesa aggressiva ma che lascia gli altri compagni in libertà.
Curry vs James, in America non si parla d’altro. Il predestinato contro il piccolo uomo diventato grande. Cosa serve per diventare grandissimo? Vincere quattro delle prossime (eventuali) sette partite.
Sette battaglie per diventare perfetto.