Quando la Nike scelse Irving e non Curry, stravolgendo il mercato del basket mondiale
Tutto cominciò con Michael Jordan, quando i ’90 erano già all’orizzonte. Per arrivare poi ai giorni nostri, con Kyrie Irving, ultima star in ordine di tempo. In mezzo, il meglio che c’era e che ancora c’è: Kobe, LeBron e Durant, ma anche Nowitzki, Melo e Chris Paul. La Nike – primo marchio mondiale ad aver capito il senso della sponsorizzazione, lasciando sul posto marchi che l’hanno preceduta cronologicamente come Converse o Adidas – ha, ad oggi, sotto contratto oltre il 74% dei giocatori della Lega più bella del mondo, mostrando fiera nel suo portafogli i volti dei più grandi atleti. Non solo il basket, però, visto che al marchio col baffo appartengono anche tante altre icone sportive mondiali, da Tiger Woods alle sorelle Williams, da Federer a Cristiano Ronaldo. Quando hai in mano un po’ troppe cose ed un giro d’affari che arriva a produrre fino a troppi miliardi di dollari annui, può capitare un errore. Qualcosa di troppo evidente.
Ed è successo anche a loro.
Quando nel 2009 Steph Curry arriva in NBA con la settima chiamata del Draft, ha già un contratto con la Nike; il baffo l’ha visto giocare a Davidson e decide che uno così è sempre meglio tenerlo con sé che contro di sé. Per cominciare, facciamo un quadriennale? Ok. Le parti si riaggiornano nell’estate del 2013. Il quadriennale è ormai scaduto e a Nike spetta il diritto di rinnovare l’offerta. Altro quadriennale, stavolta di poco superiore ai 2 milioni annui. Steph è in piena crescita (dopo il passaggio a vuoto della stagione 2011-12 ha chiuso il 2013 con quasi 23 punti di media, in netta crescita rispetto agli anni precedenti), ha già fatto intravedere le sue qualità con i 54 punti (con 11 triple) siglati al Madison Square Garden contro i Knicks e i Warriors puntano ormai forte su di lui.
L’offerta a lui starebbe anche bene, ma non convince chi invece si occupa di lui, papà Dell in primis. E se l’occasione fa l’uomo ladro, fa anche ladri quelli che si occupano di merchandising. L’ingresso in scena di Under Armour non pare poter preoccupare Nike, ma la sua offerta a Steph di poco inferiore ai 4 milioni di euro a stagione fa breccia; soprattutto convince la volontà del giovane marchio di affidare a Steph un progetto di crescita che vada di pari passo con quello previsto per UA stessa. Noi investiamo tutto su di te e se vai bene tu, ci andiamo bene anche noi, in pratica. Nike potrebbe facilmente pareggiare l’offerta (ne avrebbe diritto per contratto), ma non si farà troppi problemi: nel frattempo sono arrivati in the League Kyrie Irving e Anthony Davis, due che meritano tutte le attenzioni (ma che a tutt’oggi vantano già un anello in meno rispetto a quello col 30 sulle spalle).
Risultato? La crescita di Steph in due anni è spaventosa e quando nel 2015 chiude alzando al cielo il premio di MVP della stagione regolare e di campione NBA è un trionfo per tutti: per lui che ha in mano la Lega, per Under Armour che cresce nelle vendite del 754% (!!!) in un anno solo. Il suo giro d’affari schizza verso l’alto e secondo le stime degli esperti, se Curry dovesse continuare così, il fatturato da 14 miliardi del 2015 potrebbe addirittura raddoppiare nel giro di pochi anni. E magari raggiungere proprio la Nike, che nel frattempo ne fattura annualmente 28. Tutto grazie a Steph. E al baffo, ovviamente. Che ogni tanto un errore può pure permetterselo.