Now or Never - L'infinita Odissea Clippers
“It’s now or never” cantava Elvis sulle note della immortale “O’ Sole Mio”.
Era il 1960 e il sole illuminava la leggenda di Presley come le spiagge di Santa Monica.
Era il 1960 e dalle ceneri di Minneapolis nascevano i Los Angeles Lakers.
In quell’estate i giallo-viola draftano Jerry “The Logo” West e diventano fin da subito la squadra simbolo della Costa che affaccia sul Pacifico (9 finali in 12 anni).
Ecco, il “Lasciate ogni speranza, voi che entrate” sulla porta dello spogliatoio Clippers risale più o meno a quegli anni. Non proprio il modo migliore per cominciare.
Eppure. Eppure c’è un ragazzetto di belle speranze e portafoglio ridente che ci crede.
È il 1986. Donald Sterling salva dal tracollo i San Diego Clippers e sposta la franchigia nella città di proprietà degli Angeli e di un certo Magia Johnson.
Prima stagione: 12-70. Bene ma anche no!
Buffa definirà così il metodo Sterling:
“Se la sua vita fosse un film della Disney, il titolo potrebbe essere: Come persi sempre ma vissi felice guadagnandoci 150 milioni di dollari.” (Era il 2012, ora aggiungeteci qualche spiccio!)
“Il metodo Sterling è stato sostanzialmente questo:
- Non firmare un singolo buon free agent per 10 anni, perché quelli buoni costano.
- “Perdere e perderemo”, come l’immortale presidente Borlotti della Longobarda ma avendo come premio una scelta collegiale altissima e non la retrocessione.
- Disfarsi della scelta collegiale quando diventa troppo cara.”
Riportiamo sintesi immagine collettiva Clippers anni ’90 e ’00.
Adesso, siccome gli Dei del basket sanno essere birichini ma anche magnanimi, il Commissioner Stern decide che è Natale e vuole fare un regalo all’ultimo dei suoi figli: quello con gli occhiali, l’apparecchio e le puntine. Il 14 Dicembre 2011 manda Chris “Benedetto” Paul alla squadra con scritto Clippers sulle maglie. La superstar ha la sua franchigia. La franchigia ha la sua superstar. E a tutti voi, “Welcome to lob city!”
Aggiungeteci che pochi anni dopo Sterling pensa bene di fare il razzista in una stanza piena di ragazzotti di Harlem e la storia è pressoché scritta.
Ma siccome sulla maglia c’è scritto Clippers:
2012, Second Round, 0-4 Spurs.
2013, 50+ wins in RS (prima volta nella storia della franchigia), First Round, 2-4, Grizzlies.
2014, Lezioni di suicidio a Oklahoma.
2015, Lezioni di suicidio a Houston.
(Austin, bene ma non benissimo..)
Now?
Ora la situazione racconta una squadra che è per il terzo anno nelle mani di un allenatore che fa Vincent di secondo nome. Ha di gran lunga il più forte play-maker (sottolineo “play maker”) del pianeta, un Blake all’alba della sua esplosione cestistica, un DeAndre pecorella smarrita di ritorno a casa, un JJ poetico e Jamal che è Dalì su un campo da pallacanestro.
2 giorni fa, al media day, sono state presentate le “banali” aggiunte al roster: Josh Smith, giustiziere dei Clipps nell’annata passata, Wesley Johnson direttamente dal quintetto dei cugini, Lance Stephenson, che è come quegli amori che sai che ti fanno solo male ma che non riesci a superare, Pablito Prigioni, Luc Mbah a Moute, Chuck Hayes.
Cosa manca? Ah si, hanno venduto Matt BarnesiaringraziatoilSignore!
E poi hanno preso lui.
La Verità.
Ha dichiarato che si ritirerà se vincerà il titolo con i Clippers.
Tuttavia l’ultima volta che qualcuno ha utilizzato quelle due parole nella stessa frase, ha detto più o meno così: “Austin aspetta una franchigia NFL, cosa possibile in un universo parallelo dove i Clippers vincono il titolo NBA e il Milan non vende i palloni d’oro…”
Tuttavia l’idea di Doc e The Truth a insegnare l’arte della vittoria a un eroe maledetto come CP3 è una delle cose più belle che la pallacanestro abbia da offrire.
-32 all’inizio della guerra.
Date questa gioia all’Avvocato.