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Nikola Mirotic, il rookie trascendente nel segno di Toni Kukoc

Siamo nella “città della luce e del cielo blu”, ovvero sia Podgorica, la capitale del Montenegro, all’inizio degli anni ’90. La città si trova nella parte meridionale del Montenegro, a circa un’ora dalle montagne e a un’ora dal Mar Mediterraneo. Come ci siamo finiti qui? Molto semplice. L’11 febbraio del 1991 nasce un nuovo abitante di una delle città più luminose al mondo, anche grazie alla sua particolare architettura marmorea, risplendente di un bianco che riflette il sole. Il papà, uomo laborioso, è proprietario di alcune imprese locali, mentre la mamma pensa all’educazione e alla crescita dei figli, che ora son diventati due. Il secondogenito si chiama Николa e di cognome fa Миротић. Queste lettere non vi diranno un granchè probabilmente. Diciamo che il secondo pargolo della famiglia Mirotic si chiama Nikola. Infanzia spensierata in una terra che per anni e anni ha dovuto vivere in maniera più che difficile, quasi circondati da scomodi vicini di casa. Fin da piccolo, le peculiarità di Nikola sono due: l’altezza e il calcio. Quella palla lo attira troppo e in quegli anni una squadra lo incuriosisce più di tutte: è la Stella Rossa di Belgrado. La curiosità e l’interesse non derivano tanto dalla squadra, quanto dal suo idolo di infanzia, ovvero sia Nikola Zigic, attuale attaccante del Birmingham City, squadra della Championship inglese. Si ma perché proprio Zigic? Perché Zigic è alto 2.03m e ha il fisico che il piccolo Nikola sogna di avere.

L'allievo e il maestro: Nikola Mirotic e Jadran Vujacic
L’allievo e il maestro: Nikola Mirotic e Jadran Vujacic

Ha un particolare rapporto con il nonno, una persona che lo spinge oltre ogni suo limite, ogni sua paura. È in un certo qual senso il suo consigliere ufficiale, quando c’è da sapere come comportarsi in una certa situazione si va dal nonno, perché le sa tutte. Aveva 13 anni e già si avvicinava, anno dopo anno, all’altezza di Zigic quando suo nonno quasi gli spezzò il cuore dicendogli “Nikola, è necessario che tu giochi a basket”. La risposta del vispo nipotino non si fece attendere: “No, nonno. Non mi piace il basket”. Dall’alto della sua saggezza, l’anziano spinge il giovane in quella direzione: “’Hai bisogno di provare”. Suo nonno sapeva di una scuola di pallacanestro di Podgorica e soprattutto di un allenatore affermato, un uomo che aveva già mandato in giro per l’Europa diversi talenti montenegrini. Quasi a malincuore, Nikola accettò.

Dopo alcune esperienze calcistiche con la Joker School di Podgorica, Nikola prende per la prima volta una palla a spicchi in mano. Era il 2004. L’allenatore di cui aveva sentito parlare suo nonno si chiama Jadran Vujacic, fondatore della Joker School, una delle polisportive di Podgorica. Il nome forse non ci dice tanto ma il suo palmares parla più che chiaro. Nasce nel ’59 a Titograd, città che poi venne rinominata Podgorica. Dopo un inizio con la maglia del Budućnost Podgorica, si trasferisce in quella che a tutti gli effetti è La Mecca della pallacanestro jugoslava, a Belgrado, per diventare membro del Partizan. In poche parole, Vujacic ha giocato in quella che allora era la Jugoslavia per più di due decenni, dimostrando di essere un giocatore con elevatissime potenzialità e capacità.

Un rapporto particolare quello con Vujacic, maestro in tutto e per tutto della sua adolescenza. Sarà il suo “allenatore” per i prossimi 8 anni, insegnandogli e facendogli capire ogni cosa da fare sul parquet e fuori dal parquet, perché Jadran è uno di quei secondi padri che pensa prima a farti diventare uomo e poi giocatore. Rapporto che non si incrina, non si logora, non si distrugge neanche dopo una serie di episodi particolarmente sorprendenti. Tutto partì con un “Coach, ho bisogno di dirti una cosa molto importante”, un modo come un altro per cercare di rompere il ghiaccio, frutto di una riflessione durata 2 giorni e 2 notti. Jadran immediatamente rispose “OK, che cosa è successo?”. Dopo ore e ore di riflessioni, pensieri, preoccupazioni, paure legate alla possibile reazione del coach, qualcosa timidamente uscì dalla bocca di Nikola: “Io e tua figlia…stiamo insieme”. Come ricorda il ragazzo stesso, Vujacic lo fissò per 5 minuti, senza spiccicare una singola sillaba. Proprio come un secondo padre, Jadran invitava spesso a cena dopo l’allenamento quello che ha sempre chiamato “Niko” a casa e durante una di quelle sere ebbe la fortuna di conoscere Nina, figlia dell’ex stella del Partizan. Fu uno di quegli incontri rapidi, veloci e travolgenti, quelli in cui non serve parlare tanto, basta guardare negli occhi la persona che hai di fronte. Ridendo, Niko ricorda che ci volle quasi un mese prima che tutto tornasse normale tra maestro e allievo.

Un giovanissimo Nikola Mirotic con la camiseta blanca del Real Madrid
Un giovanissimo Nikola Mirotic con la camiseta blanca del Real Madrid

Meglio tornare al basket, ora che il rapporto è di nuovo disteso. Il ricordo di quegli inizi non appare affatto sbiadito nella mente di Nikola: “Prima di iniziare a giocare, non avevo mai provato la pallacanestro. Non mi piaceva. C’era solo il calcio nella mia mente” ricorda ancora oggi. In due anni di intenso lavoro, Mirotic diventa una persona e un Giocatore, già con la G maiuscola. Riusciva a tener testa al talento del suo maestro, aveva imparato così rapidamente la meccanica di tiro che dopo poco tempo poteva sfoderare già un jumper micidiale e, tanto per non farsi mancare nulla, aveva affinato un ball handling incredibile per le sue dimensioni. Ah, perché forse prima non ve l’abbiamo detto: in tutto questo, Niko ha superato fisicamente parlando il suo idolo Zigic, perché ora tocca quota 208 centimetri. La vicenda inizia ad attirare alcuni scout, perché le prime apparizioni in Montenegro sono di una bellezza stordente. Jadran ha creato il giocatore che voleva, quello forse del nuovo ventennio, con caratteristiche fisiche ben definite e con delle capacità e qualità che non attribuiresti mai ad uno di quella statura. I primi interessati al ragazzo vengono dalla penisola iberica, dalla Spagna, e sono un paio di talent scout del Real Madrid. Non staranno molto tempo in terra slava, perché dopo aver visto un paio di allenamenti e un paio di partite vengono rapiti dalla classe, dall’eleganza, da ciò che è diventato Nikola Mirotic: “Non ci interessano le condizioni, questo ragazzo viene con noi in Spagna”. Sembra semplice detto così ma in realtà non lo è. Niko si vede finalmente preso sul serio ma da un lato non vuole abbandonare la famiglia. Ha solo 15 anni e i genitori, gli amici, i parenti, Nina sono tutti lì a Podgorica. Ci vuole coraggio e Niko decide di utilizzarlo ora, in questa delicata parte della sua vita. Bagagli e lacrime, ma si va a Madrid.

Nell’estate del 2005 firma una sorta di contratto con il Real Madrid e diventa membro di più squadre del settore giovanile. Con il Real Madrid Junior gioca praticamente quasi tutti i campionati, dall’U16 all’U20, passando la maggior parte del tempo sul parquet, a lavorare, lavorare e lavorare ancora, come Vujacic gli ha sempre insegnato. La stagione chiave è quella 2007-08 quando con l’U20 vince il campionato e le prestazioni del montenegrino iniziano ad incuriosire tale Joan Plaza, allenatore della prima squadra. Compie la preparazione insieme a giocatori del calibro di Llull, Bullock, Reyes, Massey e Van den Spieghel, appena 9 anni dopo aver preso per la prima volta un pallone da basket in mano. Le stagioni seguenti furono di assestamento, giocando per il Real Madrid B e Marist Basketball Palencia, fino al 2010, l’anno in cui una nostra conoscenza inizia a crede sul serio in lui. Chi meglio di Ettore Messina, uomo e allenatore dalle mille risorse, può osare e puntare su un giovanissimo come Mirotic? La stagione del coach catanese non è delle migliori e i suoi piani verranno burrascosamente interrotti nel 2011 ma la strada del successo a Madrid per Niko l’ha aperta lui.

Quando Niko si accorge che la pallacanestro può essere definitivamente il suo futuro, vuole vicino a sé la famiglia. I Mirotic si trasferiscono a Madrid, dove lui continuerà ancora i suoi studi. Ora immaginate il primo giorno di scuola – la geometria, la biologia, la letteratura del XIX secolo – in una lingua completamente estranea alla vostra. I risultati non furono così eccellenti. Ma Nikola era arrivato in Spagna poco più che quindicenne, con il suo maglione preferito e il solito dizionario spagnolo-montenegrino. Ci vollero mesi prima che i suoi insegnanti si rendessero conto del gap linguistico. Perché? Perché il maestro Jadran ha insegnato al suo allievo a non lamentarsi mai. Entra a far parte della sua vita anche un altro importante personaggio, Igor Crespo, che diventerà suo agente e suo consigliere. Le sue parole sono piuttosto emblematiche: “I don’t think Nikola thinks he’s better than anyone,but I also don’t think he believes he’s worse than anyone”. Serve altro?

Mirotic cavalca l’onda di entusiasmo lanciatagli da Ettore Messina e ancora oggi non dimentica da dov’è partito e quanto ha dovuto sudare per ottenere quello che voleva: “Negli ultimi 20 anni, nessun giovane giocatore che ha giocato nei juniores, nei cadetti e anche con la prima squadra. È molto difficile soprattutto sei sei in una delle squadre più importanti d’Europa”. La sua carriera con la “camiseta blanca” è straordinaria, così come la sua scalata verso il quintetto. Ci volle poco per capire i punti di forza di Niko e anche quando Ettore decise di lasciare la panchina madrilena, Mirotic continuò con la sua crescita. Per un breve riassunto ci riaffidiamo alle sue parole: “Ho vinto sei titoli con il Real. Abbiamo perso due Final Four di Eurolega in finale. Sono stato MVP del campionato spagnolo, due volte Rising Star in Europa. Sono stati degli anni molto buoni per me“. Quando si iniziano a snocciolare i successi del suo curriculum con i Blancos sin inizia ad intravedere in Mirotic una probabile star del futuro.

Mirotic al Nike Hoop Summith di Portland 2010
Mirotic al Nike Hoop Summith di Portland 2010

Nel 2010 viene selezionato per il Nike Hoop di Portland, il torneo tra i giovani migliori talenti del mondo. Lì ha avuto la fortuna di incontrare un suo (quasi) conterraneo, Duje Dukan, un croato cresciuto in America che già faceva molto parlare di sé. Dukan è tra i 10 migliori giocatori di quel torneo, insieme a Kyrie Irving, Harrison Barnes, Jared Sullinger e un montenegrino che poco timidamente dimostrava al mondo che la pallacanestro, ora, appartiene anche a lui. Croazia e Montenegro sono due rami della lingua serbo-croata parlata in tutta l’ex Jugoslavia e una parte del ruolo di Dukan è stata quella di tradurre ciò che veniva detto e ciò che diceva Mirotic. L’inglese e lo spagnolo non sono proprio come quel jumper insegnatogli da Vujacic.  Il legame che Duje e Niko strinsero in quella settimana fu forte, anche perché Mirotic poteva parlare quasi solo con lui. Hanno trascorso tutta la settimana insieme, dall’allenamento ai pranzi, dagli svaghi in albergo alle ore di libertà concesse dagli allenatori. Durante le lunghe chiacchierate, Dukan rivelò che suo padre era un “international scout” per i Chicago Bulls. L’ultimo giorno del torneo, Mirotic incontrò Ivica Dukan, padre di Duje. Si strinsero la mano, i soliti saluti formali e nulla più. Questo solo da parte di Niko, perché per Ivica non si trattava solo di un’introduzione. Quello che non sa e che ha scoperto solo pochi mesi fa Mirotic è che il padre di Duje seguiva già da anni il talento di Podgorica.

Sul personaggio di Ivica Dukan dobbiamo soffermarci almeno un po’ per capire il nesso che c’è tra i protagonisti e per farlo dobbiamo fare un piccolo flashback. Dopo i primi titoli di Chicago, Jerry Krause, storico GM dei grandi Bulls,  iniziò a guardare con un occhio diverso la nascita di diversi talenti europei. Ivica lavorava già come scout part-time per la franchigia dell’Illinois ma per coprire dei buchi nella front office il 21 agosto del 1992 i Bulls lo nominarono “supervisor of European scouting”. Krause, dunque, aveva visto in Dukan quella “presenza stabilizzante in Europa”. Nel 1988 Dukan disputò la sua ultima stagione da giocatore ricoprendo ancora il ruolo di capitano della Jugoplastika Spalato, stessa squadra in cui quell’anno esordiva tale Toni Kukoc.

Dal maggio del ’91, Krause inizia a corteggiare Kukoc. La sua prima crociata si potrebbe definire fallimentare, visto che Toni, a conoscenza dell’interessamento dei Bulls, preferisce approfondire l’esperienza europea e comunica al GM di Chicago che avrebbe firmare un contratto pluriennale con la Benetton Treviso. Il commento, non si sa quanto veritiero fu “Vogliamo augurare a Toni una buona fortuna per la sua carriera in Europa. È lodevole pensare prima alla sua situazione familiare e la politica particolarmente instabile in Jugoslavia è stato un fattore importante nella sua decisione“. Traspare dell’amarezza, della delusione nelle parole di Krause che, però, non si darà mai per vinto. Il problema non era tanto convincerlo a giocare per i Bulls, che ne avevano acquisito già i diritti scegliendolo nel draft del ’90 con la 29esima scelta, ma convincerlo a venire quanto prima negli States. Krause, forse un po’ prematuramente, si fece travolgere dalla stagione perfetta di Kukoc: Eurolega, MVP delle Final Four e titolo nazionale con Spalato. La sua considerazione, le sue quotazioni salivano di mese in mese e c’erano pochi dubbi su chi potesse essere il “non-NBA” più forte del mondo. La svolta arrivò durante le storiche Olimpiadi di Barcellona ’92, quelle del vero Dream Team, quando, quasi per ripicca dopo delle idee non particolarmente gradite dal vero padrone con il #23 di Chicago esposte da Krause, Pippen e Jordan brutalizzarono Kukoc e la sua squadra. Secondo i due pilastri NBA, Kukoc stava snobbando i Bulls, ritenendoli quasi una seconda scelta, e continuava a dire che poteva far parte di quella squadra quando voleva perché aveva le capacità di giocare con i migliori. Per i semplici parziali: 103-70 USA.

Il GM dei Bulls Krause e il talento slavo Toni Kukoc
Il GM dei Bulls Krause e il talento slavo Toni Kukoc

Dukan non era solo un amico a Kukoc, era il suo mentore. E ogni volta che i suoi viaggi lo portavano in Europa, Dukan invitava Kukoc a cena e gli spiegava quanti e quali fosse i benefici di Chicago. Le parole di Gilberto Benetton, uomo di culto nella Treviso di fine anni ’90 inizio nuovo millennio, furono quasi uno sprono per Kukoc: “Io non voglio passare alla storia come il custode di Toni Kukoc. Se mi chiederà di lasciarlo libero, di lasciarlo andare a giocare con i Bulls, non dirò di no solo per il gusto di farlo. Ci siederemo ad un tavolo insieme e parleremo, solo io e Toni“. Si siederanno a fine stagione e Benetton farà scivolare sul tavolo un foglio con il biglietto aereo che lo porterà oltreoceano e una bellissima lettera di ringraziamento.

Se pensate che ci stiamo allontanando dal nostro personaggio di riferimento, vi sbagliate. Paradossalmente, il viaggio di Toni e Niko è per certi versi molto simile. Come Vujacic e Crespo sono punti cardine della vita professionale e non di Mirotic, così all’epoca lo fu Dukan e la sua famiglia. Per i Kukoc, una volta sorvolato l’oceano, i Dukan furono indispensabili. Anche sul campo Ivica fu importante per Toni: “Conosceva il mio gioco molto bene e mi fidavo del suo parere. So che mi avrebbe detto le cose su cui avevo bisogno di lavorare di più. Il suo ruolo è stato importante soprattutto to just relax, don’t listen everybody, don’t influenced by whatever the people are saying. Just play your game. You’re good enough to succeed. Era come un fratello maggiore”.

 

Ritorniamo al nostro principale personaggio per cercare di chiudere la quadratura del cerchio. Siamo nell’estate del 2011 e Mirotic si trova a Bilbao, dove si raduna la nazionale spagnola U20 prima di disputare gli Europei. C’era un posto per guardare il draft NBA a Bilbao e Niko, subito dopo l’allenamento si precipita lì. Era già tutto finito e le tv erano spente. Corsa in albergo per collegarsi ad internet e cercare qualche notizia. Iniziò a chiamare l’agente ogni 20 minuti per avere notizie perché sentiva qualcosa di diverso, quasi come una percezione che ti lascia intravedere un futuro diverso. Ci siamo, accade davvero. Si fanno avanti gli Houston Rockets che lo scelgono alla 23. Dobbiamo essere onesti: sebbene Mirotic avesse dimostrato grandissime potenzialità, era comunque un giovanissimo, con sì esperienza europea ma non poi così tanta da poter essere considerato a livello dei più grandi. Mirotic – prelevato 15enne dalla sua Podgorica dal Real Madrid – era diventata un affare. Crespo in questo momento è la vera “arma” in più per il montenegrino: ha la possibilità di inserirlo in un progetto interessante oltreoceano ma allo stesso tempo può contrattare con il Madrid per cercare di venire incontro alle esigenze del club. La cosa migliore per entrambe le parti fu un prolungamento di contratto con la società spagnola, con il benestare dei Rockets. Restava, però, l’interrogativo sulla scadenza del suo arrivo in Illinois.

Nel frattempo nel giugno 2012 ha sposato Nina, figlia del mastro Vujacic, e in maggio era nato Aleksandar, pargolo spagnolo di sangue slavo. Dopo circa un mese dalla nascita del piccolo ritorna quell’insonnia che attanagliava il giovane Niko quando doveva riuscire a comunicare la famigerata tresca a Jadran. No, non era il Aleksander che lo teneva sveglio ma ancora una volta le preoccupazioni riguardo il suo futuro. Appena pochi giorni dopo la fine della stagione doveva rimettere tutto in gioco e ridiscutere il suo futuro, fatto di scelte molto importanti. Nel corso della sua prolungata esperienza madrilena post-draft, i Rockets hanno scambiato i diritti con i Chicago Bulls, gli stessi Bulls che misero sul tetto del mondo Toni Kukoc. Mirotic vacillò nei giorni seguenti. Fu preso da un senso di confusione che solo un giovane inesperto può avere, nonostante avesse dimostrato in più di un’occasione grande maturità. Niko ancora oggi ci racconta che “Non eravamo sicuri su quale decisione prendere perché avevo ancora un contratto (in scadenza nel 2016, NdR) e il mio bambino aveva appena 1 mese. La decisione più facile e conveniente sarebbe stata quella di rimanere a Madrid per uno o due anni ancora. Mio figlio era così giovane per cambiare subito città, per cambiare tutto”. La sua esitazione non aveva nulla a che fare con il basket, con le ambizioni di una squadra come i Bulls. The basketball came easy. It always had. Ora, aveva una famiglia, un 5,5 milioni dollari di stipendio, una vita. L’NBA stava chiamando ma non c’era motivo di rispondere. La paura era la stessa di quel giorno del 2006 quando Niko doveva lasciare i suoi cari per fiondarsi in una realtà diversa, poco conosciuta. Ma come prese coraggio all’epoca, così ha fatto anche stavolta. La scelta ricadde su Chicago. Pagato il buyout di 3 milioni dollari buyout al Real, Mirotic diventa ufficialmente un giocatorei dei Chicago Bulls.

Gar Forman, GM Bulls, vide già giocare Mirotic di persona in occasione del Nike Hoop di Portland. Studiò i rapporti di Dukan su Mirotic ma nonostante fossero ben dettagliati, volle veder giocare Mirotic tra i giocatori dei Bulls, in modo tale da poter vedere in quel tipo di contesto che giocatore avere tra le mani. I risultati per Forman furono sorprendenti: quello che vide fu un tiratore di 208 centimetri con competenze molto interessanti come il passaggio, un ottimo ballhandling e anche un gran propensione ad avere punti nelle mani. Per arrivare alla scelta di Mirotic ci fu un bel po’ di negoziazione perché Forman venne a conoscenza che anche Sam Presti, finissimo osservatore del basket internazionale, aveva messo gli occhi su Nikola. Nulla, però, di irrisolvibile.

Esattamente com’era accaduto a Toni Kukoc, Mirotic aveva compiuto quasi tutto lo stesso iter, vincendo quasi tutto ma sempre fuori dal mondo NBA. La scelta di aderire ad un progetto americano non è mai stata una questione legata ai soldi, di quelli ce n’erano tanti anche a Madrid. Niko ha sempre detto che “posso crescere di più come giocatore qui, negli Stati Uniti, nella NBA. Penso che le dinamiche siano diverse. Dopo aver giocato sei anni con il Real, era arrivato il momento di migliorare ancora. Voglio qualcosa di diverso, vivendo una nuova vita”.

euromapAnche se non viene sottolineato spesso in una storia come questa, l’aspetto economico non è secondario, non tanto per il giocatore ma per i Bulls. Il talento e le qualità di Mitoric hanno un costo ben specifico, tanto alto da essere annoverato tra i record dei salary dei rookie europei. L’accordo raggiunto prevede uno stipendio totale di 17 milioni di dollari distribuiti su 3 anni (5.305.000$ annui). Nella storia NBA, è la prima volta che un rookie del vecchio continente guadagna più di 5 milioni di dollari. Niko ha superato anche la nostra prima scelta Andrea Bargnani che, scelto al Draft del 2006, arrivò a guadagnare 4,5 milioni. Mirotic supera anche nomi del calibro di Enes Kanter, Nikola Pekovic e di gran lunga Dirk Nowitzki, i due Gasol, Sabonis e Tony Parker che, giunto in NBA, guadagnò meno di 1 milioni nel suo primo anno.

Anche l’arrivo a Chicago merita di essere raccontato perché è un’altra iniezione di fiducia dei Bulls nei confronti di Mirotic. Forman organizzò il viaggio per farlo arrivare in Illinois e lo scambio di battute fu il seguente: iniziò Forman dicendo “Il volo è venerdì e tu e Pau arriverete insieme” e dopo qualche secondo di silenzio Mirotic chiese “Sei serio?”. Arrivava insieme alla firma più prestigiosa dell’anno per i Chicago Bulls e se credete al semplice caso vi sbagliate, perché la mossa, l’investitura che fin da subito Forman concesse a Mirotic vi dice di quanto la franchigia puntasse su un giocatore come lui. Venne presentato con il campione NBA Gasol e i due, accanto, non sfiguravano per nulla. I due hanno tanto in comune, ma sono due le cose principali che condividono: la nazionalità (Mirotic ha il doppio passaporto e per i prossimi campionati europei aspettatevi di vederli con la stessa camiseta) e le dolci mani dalla media/lunga distanza.

È il momento di iniziare a lavorare, sul serio. Ma prima ancora di vederlo in azione, cosa dicono i rapporti degli scout americani (non siamo in possesso ovviamente di quelli di Dukan, NdR) sul suo conto? Come per ogni scouting report che si rispetti, i macroblocchi da riempire sono 2: STRENGHTS (punti di forza) e WEAKNESSES (punti deboli). Nella prima categoria troviamo shooting ability, agility for size, touch the rim, intangibles. Le abilità al tiro sono uno dei maggiori punti chiave del gioco di Mirotic: sa tirare in situazione di palleggio, in situazioni di catch and shoot e anche senza metter palla a terra. Consistente equilibrio e ottima meccanica. Nel secondo punto, agility for size, viene sottolineata la rapidità di mani e di piedi, la grande agilità che si sposa perfettamente con un fisico slanciato e la pericolosa minaccia che può creare se utilizzato da rollante. L’agilità lo porta, inoltre, ad essere un lungo atipico per quanto riguarda le transizioni offensive e difensive: è il più veloce ad arrivare dalla parte opposta del campo (il concetto di runs hard riassume ancor meglio). Alla voce touch the rim viene associata un’efficienza elevatissima (63.2% da 2), il ruolo discreto di marcatore in post e soprattutto le sue  crafty finishes (conclusioni furbe letteralmente) con il jump hook, probabilmente marchio di fabbrica di Jadran Vujacic, e gli appoggi a tabellone con angoli quasi impossibili di tiro. Utilizza perfettamente di entrambe le mani da pianista che possiede. L’ultima voce è “intangibles”, ovvero sia quella capacità di non dare mai punti di riferimento sia in attacco che in difesa. Il suo elevato IQ cestistico gli consente di avere una mentalità da “vincente provato” e ciò lo aiuta molto in situazioni di 50/50 ball. Non dando punti di riferimento difensivi e offensivi è difficile da tagliar fuori e, dunque, si dimostra un rimbalzista più che discreto. Riesce spesso a tener viva la palla viva grazie alle lunghissime leve e tutto ciò si traduce in una difesa di squadra molto ben strutturata. Le mani sono sì da tiratore ma anche da sublime passatore. Passiamo ora ai weaknesses, i punti deboli. Sono essenzialmente 2, strenght (forza) e explosiveness (esplosività). Nonostante abbia aggiunto peso nel corso della sua carriera, muscolarmente è ancora tutto da fare. Questa mancanza di forza spesso lo costringe ad arrendersi contro i lunghi di stazza maggiore. Contro i lunghi NBA, soprattutto in difesa, ci sarà battaglia ma la mancanza di forza sarà un punto sicuramente a sfavore. Questo problema porterà delle difficoltà anche a rimbalzo, quando dovrà riuscire a tagliar fuori e a mantenere la posizione sotto le plance. Per quanto riguarda l’explosiveness (mancanza di esplosività) in un certo modo siamo legati al primo punto. È molto agile ma non è un atleta esplosivo. La domanda è: can he handle NBA length? Può gestire la verticalità dei lunghi NBA nonostante la mancanza di esplosività?

Naturalmente coach Thibodeau ha scrutato in ogni singolo dettaglio questi scouting report e ha deciso di lavorare su Niko in maniera molto particolare. La prima cosa da fare è stata trovargli una collocazione in campo: che ruolo è Mirotic? Nel Real Madrid ha avuto modo di giocare solo da 4 ma con i lunghi NBA avrebbe avuto delle difficoltà insormontabili. Coach T decide di utilizzarlo principalmente da esterno.

"In Europa durano circa 90 minuti. Con Thibodeau durano il doppio. Non ho mai lavorato in questo modo, con questa energia per due, tre ore. Per me è tutto nuovo" Mirotic sui metodi di coach T.
“In Europa durano circa 90 minuti. Con Thibodeau durano il doppio. Non ho mai lavorato in questo modo, con questa energia per due, tre ore. Per me è tutto nuovo”
Mirotic sui metodi di coach T.

Gli errori iniziali e una preseason passata molto nell’ombra hanno gettato i primi dubbi sul nuovo giocatore che vuole diventare Niko ma a prendere le sue difese è intervenuto subito Thibodeau. Anche il montenegrino spiega che il cambiamento più significativo riguarda il programma d’allenamento: “In Europa durano circa 90 minuti. Con Thibodeau durano il doppio. Non ho mai lavorato in questo modo, con questa energia per due, tre ore. Per me è tutto nuovo. Ogni giorno imparo qualcosa di diverso. Qui si impara soprattutto a saper difendere bene”. Una possibilità che è stata messa a disposizione di Mirotic è quella di incontrare Toni Kukoc. Purtroppo questo incontro non è ancora avvenuto perché, come Toni ricorda, i primi tempi sono i più frenetici, i più caotici. “Ho intenzione di lasciarlo stabilirsi in un po’“, dice Kukoc. “Deve trovare il suo tempo e, a stagione in corso, ci siederemo a parlare un po’. Se lui mi comincerà a far domande, naturalmente ho intenzione di cercare di essere il più utile possibile. Ma non ho la minima intenzione di essere qualcuno che vuole insegnargli la pallacanestro. Quella parte Mirotic la sa già”.

Per iniziare a parlare di basket giocato, tralasciamo per un attimo numeri, statistiche et simila. Ciò che non abbiamo ancora detto di Mirotic è che lui, fondamentalmente, resta una matricola, un rookie. Se esiste un problema per i giocatori al primo anno, quello è il mese di gennaio dove si iniziano a valutare sul serio le new entry NBA. In gergo americano quel periodo di tempo viene definito rookie wall, il muro che devono buttar giù le matricole se vogliono diventare davvero dei giocatori importanti in nuovi contesti. Il mese di gennaio/febbraio (il periodo non è ufficialmente definito) del rookie da Podgorica? Tenetelo via, perché non stiamo parlando di superamento ma di un vero abbattimento del suddetto muro. La pallacanestro mostrata da Mirotic dall’inizio del 2015 non è paragonabile a nessun’altra per certi versi. Sicuramente Andrew Wiggins numericamente parlando può balzare più agli occhi ma quante chance in più ha di emergere? Ogni sera in quintetto, la squadra è stata già affidata a te, sei già simbolo della rinascita di una franchigia storicamente perdente. Nikola no. Chicago, con le ambizioni che ne seguono, con Rose che torna dopo tanto, con un Butler mai visto prima, con un Gasol che attira ancora l’attenzione e con un set di esterni che migliorano partita dopo partita. Il numero delle chance è sicuramente inferiore eppure Mirotic è lì, con l’imbarazzo che ora non gli si addice, con la stessa determinazione, però, che ha caratterizzato la sua carriera fin qui. Non sarà un caso che immediatamente dopo il rookie wall si sia scatenato in tutti i sensi. Bisogna anche ammettere che la situazione era favorevole (vedi infortunio Rose, infortunio Butler, Noah a mezzo servizio) ma bisogna sempre convincere coach T a fidarsi di te e questo Niko lo ha capito fin dal primo giorno di training camp. Già che ci siamo, vediamo come ha conquistato e soprattutto ripagato questa fiducia: ha giocato fin qui 74 partite, quindi sempre, partendo 3 volte da titolare (partite da titolare di Wiggins: 72/72); gli sono stati concessi 19.9 minuti in media e durante questi minuti ha tirato con il 41.3% dal campo, il 31.2% da 3, il 50.7% da 2 e l’80.4% ai liberi. A questi freddi numeri vanno aggiunti 5 rimbalzi a sera, 1.2 assist e 10 punti di media. Ma non prendete queste cifre come indicatori ideali del suo gioco perché c’è molto, molto di più. Nel mese di marzo che sta per concludersi è stato il giocatore (non il rookie) che ha totalizzato più punti nei quarti quarti della gare, quelli decisivi, con una media di 9.5 punti negli ultimi 12 minuti. Tra le conseguenze di queste prestazioni di assoluto valore vi è la maggior fiducia che Thibodeau ha riposto in lui. Non a caso il minutaggio nel solo mese di marzo è di circa 30 minuti a sera, con un picco anche di 42 minuti giocati nella partita finita all’OT contro i Sixers. Ma la domanda resta una sola: ma voi un giocatore che chiude un mese intero, quindi oltre quelle cifre che vi abbiamo detto prima, con il 44.2% dal campo, il 27.6% da 3, che cattura 7.8 rimbalzi in media e soprattutto realizza 20.8 punti ad allacciata di scarpe, come lo chiamereste? Se avete qualche dubbio, vi diamo altra materia di discussione e amplifichiamo il nostro interrogativo: se vi dicessimo che in 15 partite giocate, per ben 14 volte è andato in doppia cifra (11 volte consecutive), è andato sopra i 20 punti in 8 occasioni (più della metà) e ha messo a referto 3 doppie doppie (non giocando da lungo), avreste qualche base in più per definirlo come lo definiamo noi? Noi non abbiamo dubbi, il ROOKIE OF THE YEAR, per noi, è già Nikola Mirotic.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone