NBA24 PREVIEW - Los Angeles Lakers, all'inferno e ritorno. Anzi, no
COME L’ABBIAMO LASCIATA – Quattro anni, nello sport, sono un’era geologica. Tutto cambia rapidamente: ed è un attimo ritrovarsi dalla “ring ceremony” di fine ottobre al secondo peggior record della Nba, solo perché da qualche parte furoreggiano i Milwaukee Bucks. Era il 2010 ed i Los Angeles Lakers, con l’ultimo Phil Jackson allenatore, alzavano alle volte dello Staples Center il sedicesimo vessillo di Campioni del Mondo. Una vita fa, appunto. Esaurito il doveroso (e doloroso) preambolo e sorvolando sui danni incalcolabili prodotti dalla premiata ditta “Mike&Mike” (Brown e D’Antoni), mettiamo subito le cose in chiaro per i tifosi della franchigia più glamour della storia dello sport. Le prospettive per il 2014/2015 non sono per niente buone. E se credete che dopo il 27-55 della stagione passata sia difficile far peggio, date un’occhiata al roster allestito dalla “lungimirante” programmazione made in Jimmy Buss
IL MERCATO ESTIVO – Come detto, della squadra del 2010, ma anche di quella dell’anno scorso, è rimasto ben poco. Il “maestro zen”, in un’inedita veste dirigenziale, è migrato verso i lidi newyorkesi, portandosi dietro il nuovo (ma neanche troppo) delfino Derek Fisher. Metta World Pace, fu Ron Artest e prossimo Panda Friend continua a divertirsi nel confondere le idee all’anagrafe americana, facendo intendere che il parquet è poco più di un innocuo (si fa per dire) passatempo. Pau Gasol, dopo le prime tre stagioni shaquillesche, ha deciso di ritardare il proprio peregrinare sul viale del tramonto in quel di Chicago. E Kobe Bryant, ha aggiunto qualche primavera e un paio di infortuni seri alla carta d’identità. Nel più classico dei “come eravamo, come siamo” della spina dorsale della squadra che portò a casa quella tremenda gara 7 contro i Celtics è rimasto solo il 24. Che merita qualche riga a parte. Per valutare il roster attuale, partiamo dal reparto lunghi, per distacco quello maggiormente disastrato. Ad oggi, l’unico centro di ruolo è Robert Sacre. Uno che, tra uno sventolìo di asciugamani e l’altro, negli ultimi due anni ha visto il campo col contagocce. Segue un nutrito gruppo di ali forti, in cui spicca il nome (e solo quello) di Carlos Boozer, da tempo ormai solo l’ombra del giocatore che è stato. Jordan Hill e Ryan Kelly possono fornire, saltuariamente sia chiaro, un discreto apporto in termini di energia e fisicità ma per il resto, come si suol dire, mancano proprio le basi. Vero, il tanking selvaggio inaugurato lo scorso febbraio ha portato in dote un ottimo prospetto come Julius Randle, ma puntare fin da subito sulla settima scelta da Kentucky per ricostruire dalle macerie ci pare francamente troppo. La cabina di regia sarebbe di pertinenza di Steve Nash. Condizionale più che mai d’obbligo, viste le 40 primavere del canadese da Santa Clara che fa quel (poco) che può in relazione a ciò che età e logorìo fisico consentono. Campo e minuti, quindi, per quel Jeremy Lin che, esaurita la verve iniziale della “linsanity”, ha mostrato in quel di Houston tutto il meglio e il peggio di sé: discreto giocatore di “pick and roll” (peccato che a queste latitudini manchi, come detto, un lungo degno di tal nome), ma letture e interpretazioni degli schemi offensivi totalmente da rivedere. In guardia si poteva stare relativamente tranquilli, complici le ottimistiche aspettative sulle prestazioni di Nick Young, uno dei pochi giapponesi a salvarsi in quella Iwo Jima che è stata la scorsa regular season. Peccato che “Swaggy P” resterà fermo ai box fino a dicembre causa infortunio al pollice e che il contributo di Xavier Henry e Jordan Clarkson non possa andare oltre a quanto richiesto a degli onesti mestieranti della palla a spicchi. Quasi dimenticavo. Il nuovo coach. Last, but non the least, a sto giro tocca a Byron Scott, alfiere dello “Showtime”, esponente molto meno nobile dell’ars allenandi. Con Brian Shaw che aspetta, sempre da quei famosi quattro anni, di raccogliere quell’eredità che gli spetterebbe di diritto. Non, però, a Los Angeles, non ai Lakers.
L’UOMO FRANCHIGIA – Ed ecco che allora, come sempre, più di sempre, toccherà a Kobe Bryant caricarsi tutto il mondo in gialloviola sulle spalle. Un Bryant che non può, per forza di cose, fornire le medesime garanzie (fisiche, più che tecniche) di quattro anni fa. Un Bryant sempre nel mirino della critica per quel rinnovo biennale che chiama per 42, 1 milioni di dollari: un fardello non da poco per il salary cap di una squadra in cerca di ricostruzione. Però, poi, ti capita sotto gli occhi il video dei primi allenamenti e delle prime uscite stagionali del figlio di Jellybean e pensi: “Ma come si fa a scommettere contro uno così?”.
A COSA PUNTARE – Scelgo la domanda di riserva. Non si può? Bene. Allora mettiamola così: la qualificazione ai playoff è passata, da pura formalità, a massimo traguardo raggiungibile. Lo abbiamo detto in apertura: tutto cambia. Non necessariamente in meglio. Non vediamo, per questi Lakers, un percorso che vada oltre l’aprile inoltrato.
IL PRONOSTICO – Primo turno di playoff contro Spurs/Thunder e poi di corsa a godersi il tiepido sole primaverile di El Segundo.
IL ROSTER – 1 Keith Appling (22, PG), 5 Carlos Boozer (32, PF), 15 Jabari Brown (21, SG), 24 Kobe Bryant (36, SG), 6 Jordan Clarkson (22, PG), 21 Ed Davis (25, PF), 2 Wayne Ellington (26, SG), 7 Xavier Henry (23, SF), 27 Jordan Hill (27, PF), 11 Wesley Johnson (27, SF), 4 Ryan Kelly (23, PF), 17 Jeremy Lin (26, PG), 10 Steve Nash (40, PG), 9 Ronnie Price (31, PG), 30 Julius Randle (19, PF), 50 Robert Sacre (25, C), 14 Roscoe Smith (23, SG), 3 Jeremy Tyler (23, PF), 0 Nick Young (29, SF).