NBA24 PREVIEW - Golden State Warriors: la difficile sfida del 'repeat'
“Vincere è complicato, ripetersi di più”. Un concetto che Steve Kerr sta ripetendo, a se stesso e ai suoi giocatori, da metà giugno scorso, il giorno dopo la trionfale passerella per le strade della Baia, diventata il centro di gravità permanente del basket a stelle e strisce. La vera sfida, però, inizia adesso. E l’uomo che studiava da head coach quando ancora calcava i parquet per Phil Jackson prima e Gregg Popovich poi, lo sa perfettamente.
DOVE L’ABBIAMO LASCIATA – Sul palco dei vincitori frettolosamente allestito alla Quicken Loans Arena al termine di gara 6, nel clima ossianico di una Cleveland le cui resistenze erano state fiaccate dagli oliati e splendidi meccanismi di una macchina perfetta. Nonostante un LeBron da 37 di media nella serie, qualche granello di sabbia negli ingranaggi avesse pure provato a metterlo. Dovevano vincere hanno vinto, dovevano stupire hanno stupito, dovevano divertire hanno divertito. Arrivando dove si intuì sarebbero arrivati già dopo poche partite di regular season.
IL MERCATO ESTIVO – “Squadra che vince non si cambia”, men che meno quando con l’aumento del salary cap sarà possibile estendere ulteriormente il contratto di sua maestà Curry (che, al momento, chiama per poco più di 12 milioni di dollari fino ad arrivare ai 13 del 2017) e assorbire senza troppi problemi eventuali partenze dei Green o Barnes di turno che, in ogni caso, al momento rientrano soltanto nell’alveo delle possibilità. L’addio a David Lee, finito progressivamente ai margini delle rotazioni, non ha portato a stracciamenti di vesti, sebbene proprio la carenza in un reparto lunghi comunque piuttosto atipico continui a rappresentare uno dei pochi punti deboli del roster di Kerr. Il quale, comunque, ha già fatto della necessità dello small ball la più preclara delle virtù. Ed ecco come, nell’attesa che Kevon Looney si riprenda dall’infortunio all’anca (out dai 4 ai 6 mesi) dimostrandosi lo steal of the draft che promette di essere, l’arrivo più importante dalle parti della Oracle Arena è quello Steve Nash nelle vesti di consulente. E non ce ne voglia Jason Thompson, arrivato da Phila e passato dal tanking selvaggio alla possibilità del repeat.
L’UOMO FRANCHIGIA – Siamo scontati, lo sappiamo. Ma il nome è sempre il solito e non potrebbe essere altrimenti. Wardell Stephen Curry è i Warriors. Anzi, al momento è l’intera Nba. Simbolo perfetto del modo di essere di una squadra e di un’intera lega. Ad anni 27, archiviata la pressione di dover vincere a ogni costo (quella che tanto male ha fatto in passato all’altro illustre nativo di Akron, Ohio), si è al cospetto di un giocatore pienamente consapevole delle sue illimitate capacità e molto più solido mentalmente rispetto al passato. Disquisire sugli aspetti tecnici, poi, sarebbe solo un inutile e superfluo esercizio di stile. “I can do all things” non è più una frase motivazionale sulle sue scarpe: è una minaccia, una precisa dichiarazione di bellicosi intenti, alle altre 29 squadre della lega.
A COSA PUNTARE – Ricadiamo nello scontato anche qui. Il repeat non solo è possibile ma, per certi aspetti, addirittura doveroso. Anche se il percorso fino alle Finals sarà certamente più tortuoso rispetto alla passata stagione, causa avversari che hanno passato gli ultimi tre mesi a trovare un sistema per giocare contro di te. Quindi addio effetto sorpresa. La finestra per aprire un ciclo vincente è questa, uomini, mezzi e staff tecnico a disposizione sono di primo livello e l’Oracle Arena è il posto migliore possibile, forse l’unico, in cui una squadra del genere possa esprimere al meglio la propria natura appagante ed edonista.
IL PRONOSTICO – Come lo scorso 16 giugno a Cleveland. Ma occhio agli sgambetti provenienti da San Antonio e L.A. in bianco rosso e blu.