NBA, approvato il nuovo protocollo COVID-19 per la stagione 2020/21
La NBA è ormai pronta. Dopo aver affrontato Draft e Free Agency, a poco più di un mese e mezzo dalla conclusione delle NBA Finals 2020, vinte dai Los Angeles Lakers sui Miami Heat, da martedì (1° dicembre ndr) cominceranno i training camp delle varie francigie. A seguire, dall’11 al 19 dicembre si svolgeranno le partite di Preseason, mentre il 22 dicembre è previsto l’avvio della regular season.
Con la problematica legata al COVID-19 tutt’altro che risolta, negli Stati Uniti in particolare (pensiamo ad esempio ai Toronto Raptors, che saranno costretti a giocare per un lasso di tempo al momento indefinito a Tampa, Florida, a causa della quarantena obbligatoria prevista dalle autorità del Canada per tutti quelli che giungono dagli States), nella notte la NBA ha pubblicato il protocollo da seguire per gestire i casi di positività che si dovessero presentare.
In totale, il protocollo è formato da 134 pagine e varie testate statunitensi hanno avuto la possibilità di visionarne una copia, spiegando come, sostanzialmente, si tratti di un modello simile a quello visto nella Bolla di Orlando. Sotto la lente d’ingrandimento, chiaramente, la procedura da seguire per il ritorno in campo di un giocatore risultato positivo; procedura che può seguire due strade.
La prima è quella denominata “time based resolution“, secondo la quale il giocatore può tornare a disposizione se, dopo l’accertamento della positività, siano trascorsi 10 giorni senza sintomi di sorta. La seconda, denominata “test based resolution“, richiede un doppio test negativo a distanza di 24 ore l’uno dall’altro. Se il giocatore in questione dovesse risultare ancora positivo, allora dovrà aspettare altri 10 giorni (da quel momento o dalla scomparsa dei sintomi).
In realtà, il giocatore prima positivo e poi negativizzato (o per assenza di sintomi dopo 10 giorni o per doppio test negativo) dovrà attendere ulteriori 2 giorni prima di potersi tornare ad allenare; cosa che, però, dovrà avvenire in solitaria, senza contatti con i compagni e indossando per tutto il tempo la mascherina, sottoponendosi quindi a test cardiaci per valutarne le condizioni cliniche.
Se un giocatore, invece, dovesse essere costretto a ricorrere a cure mediche intensive o comunque ospedaliere di supporto respiratorio, una volta guarito dovrà sottoporsi ad esami medici per tre giorni consecutivi prima di poter tornare in campo.
Passiamo ora a quello che le franchigie dovranno fare in caso di positività al COVID-19 di un proprio giocatore. Innanzitutto si dovrà riportare la positività alle autorità locali competenti e tracciare immediatamente tutti i contatti diretti del giocatore; quindi si dovrà procedere con la disinfettazione e la sanificazione di tutti i locali, attrezzature e spazi, arene comprese, usati dalla squadra, predisponendo quindi l’isolamento domiciliare del giocatore risultato positivo.
Il protocollo fissa anche un limite di persone da poter portare in trasferta durante la stagione, vale a dire 45, numero comprensivo di un massimo di 17 giocatori più staff tecnico e addetti della squadra. Un gruppo che dovrà limitare al minimo i rischi di contrarre il contagio e che dovrà rispettare un protocollo per viaggi e spostamenti che verrà rilasciato più avanti.
Più in generale, dal protocollo si evince un cambio di approccio da parte della Lega alla problematica COVID-19. Infatti, anche e soprattutto per il fatto che le franchigie torneranno a viaggiare per gli Stati Uniti, viene considerato semplicemente impossibile escludere in tutto e per tutto la possibilità di contagiarsi.
Inoltre, per il momento non viene considerata l’ipotesi di sospendere la stagione come avvenuto in quella passata: “L’apparizione di alcuni casi di contagio o di piccoli gruppi all’interno delle franchigie non richiederà la decisione di sospendere o cancellare la stagione 2020-21“, si legge.