NBA Hall of Fame: Russell, Wallace, Pierce, Webber, Kukoc e Bosh tra i membri della 'Class of 2021'
Serata dalle emozioni forti a Springfield, dove nella notte è stata introdotta nella Hall of Fame la ‘Class of 2021’. Questi i nomi dei 16: Bill Russell che, dopo l’ingresso per la sua straordinaria carriera da giocatore nel 1975, vede onorata anche la sua carriera da head coach (campione con i Celtics nel 1968 e 1969), quinto di sempre; Paul Pierce, Chris Bosh, Ben Wallace, Chris Webber e Toni Kukoc; l’attuale coach dei Vilanova Wildcats (NCAA), Jay Wright; gli ex coach NBA Rick Adelman e Cotton Fitzsimmons; Valerie ‘Val’ Ackerman, primo presidente della WNBA; il pioniere dello scouting Howard Garfinkel; il pioniere del basket tra gli afroamericani nel periodo tra le due guerre mondiali Clarence ‘Fats’ Jenkins; il due volte Campione NBA Bob Dandridge; e, tornando alla WNBA, le giocatrici Pearl Moore (all-time scoring leader nel college femminile), Yolanda Griffith (2 ori olimpici, 1 titolo WNBA, 1 di MVP e 1 di MVP delle Finals) e Lauren Jackson (tre vole MVP della WNBA, 2 titoli WNBA, 1 da MVP delle Finals, 1 Mondiale e 4 medaglie olimpiche con l’Australia), unica delle 16 a non essere presente, a causa del regime di lockdown ancora presente in Australia.
Il primo a presentarsi sul palco per il discorso è stato Chris Webber, il quale ha voluto al suo fianco Isaiah Thomas, definito come il suo ‘angelo custode’ (“mi ha guidato fin da quando avevo 16 anni, standomi sempre vicino e proteggendomi da tutte le voci malevoli“), e Charles Barkley (“Il mio giocatore preferito e mentore dopo la fine della sua carriera“). Poi è toccato all’eterno Bill Russell, che prima ha avuto l’onore di venir introdotto via video dall’ex Presidente USA Barack Obama (“Per quanto sia alto Bill Russell, il suo esempio e la sua legacy vanno molto più in alto di così“), per poi ringraziare una ad una le figure più emblematiche della sua vita: “Niente sarebbe stato possibile senza il mio amico Red Auerbach, un visionario… Oggi mancano due persone importanti, David Stern e Kobe Bryant, le cui amicizie hanno significato molto per me… Grazie a mia moglie Jeannine, per avermi sopportato e per il tuo amore e sostegno“.
È stato quindi il turno di Toni Kukoc, accompagnato niente poco di meno che da Michael Jordan, oltre che dal proprietario dei Chicago Bulls, Jerry Reinsdorf: “Vorrei ringraziare questo signore qui, Michael Jordan, che insieme a Scottie Pippen mi ha fatto il culo a Barcellona, motivandomi a lavorare per far parte dei Bulls“. “La mia gratitudine va anche al qui presente Jerry Reinsdorf e al compianto Jerry Krause per avere insistito nel volermi portare a Chicago e aver creduto in me quando non era così comune che i giocatori americani atterrassero in NBA“, ha aggiunto il nativo di Spalato.
A salire sul palco, poi, è stato Ben Wallace, il quale ha incentrato il suo discorso sulle lezioni di vita imparate grazie al basket e le difficoltà che ha dovuto affrontare e superare nel suo cammino: “Ringrazio Dio per prima cosa, mia mamma per non avermi mai lasciato, la mia famiglia, i miei amici, i miei coach. E ringrazio il Basket, voglio essere onesto con lui, dato che non era il mio percorso normale di vita. Ma me lo sono preso con la forza, creandomi da solo questo percorso“. “Quando la vita mi ha dato una chance, ho visto che potevo lottare, vincere ed avere successo, potevo insegnare e anche restituire” – continua – “La vita non è solo ‘prendere’, non è solo ‘conquistare’. La vita è competere, lottare. La vita è preziosa, divertitevi e godetevela. Siate forti, trovate la vostra motivazione…“. Conclude Wallace: “Vincere sembra bello, ma quale eredità lasci dietro? Ecco la mia: non ero il benvenuto, ero considerato troppo basso e non potevo giocare nella maniera che loro volevano, era come se non potessi avere successo. Ma datemi la giusta chance e vi farò vedere chi sono“.
Giunge quindi il turno di Paul Pierce, accompagnato da Kevin Garnett, che ha raccontato alcuni aneddoti divertenti della sua carriera, per poi diventare più serio, ‘ringraziando’ innanzitutto le franchigie che, al Draft 1998, lo saltarono, facendolo finire dalla possibile #2 secondo molti esperti alla #10 con cui venne selezionato dai Celtics: “Voglio ringraziare Clippers, Grizzlies, Nuggets, Raptors, Warriors, Mavericks, Kings, Sixers e Bucks; le nove squadre che non mi hanno chiamato al Draft, grazie per aver gettato ancora più benzina sul fuoco delle mie motivazioni“. Non poteva mancare il grazie ai Celtics e a Danny Ainge: “Quando arrivò credevo davvero che mi avrebbero scambiato; invece hanno avuto fiducia in me, passando è vero momenti difficili, ma restando sempre vicini. Danny, ci hai messo dieci anni per portare da noi questo ragazzo (indicando KG); dal 2006 vi dicevo che con lui avremmo vinto“. Infine il suo rapporto con coach Doc Rivers: “Doc, non abbiamo iniziato col piede giusto! Sapevo che anche tu volevi venissi scambiato, ne sono convinto! Ero testardo, pensavo che potessi fare ciò che volevo, senza ascoltare nessuno. Ma quando ho iniziato a seguirti e a dare senso alle tue critiche, è lì che sono davvero migliorato. Perciò grazie di tutto“.
In conclusione, ecco Chris Bosh, accompagnato sul palco da Pat Riley, con la presenza in platea di LeBron James, Dwyane Wade e Ray Allen: “Quando incontrai Pat durante la free agency del 2010, per convincermi usò tutti i trucchi del mestiere. Quando stavo per alzarmi e andare via, tirò fuori un sacchetto di velluto pieno di anelli NBA, gettandoli sul tavolo. Ne ha preso uno, del titolo 2006 degli Heat, mi guardò dritto negli occhi e mi disse ‘Me lo restituirai quando ne vinceremo uno insieme’. Pazzesco, con lui vincemmo un anello, anzi due, ma non ho mai restituito quello che mi ha prestato. Volevo aspettare il momento giusto e ho pensato che sarebbe stato questa l’occasione“. Un ricordo anche per il compianto Kobe Bryant: “Mentre sono grato che siate tutti qui oggi, penso anche a quelli che non ci sono, specialmente a Kobe Bryant. È stato d’ispirazione per la mia generazione e, ne sono certo, per tutti i presenti in quest’aula“.