NBA FINALS MATCHUPS - Green vs Thompson
Fu Michael Jeffey Jordan a pronunciare una delle frasi più vere cestisticamente parlando: “Il talento ti fa vincere un partita. L’intelligenza e il lavoro di squadra ti fanno vincere un campionato”. E’ sempre il collettivo a spingerti fino alla vittoria finale, è sempre il gruppo che ti porta alla vittoria comune, è sempre l’intera squadra a vincere e mai il singolo. Michael, che per più anni ha sperimentato il concetto su di sè, la sapeva lunga. Il nostro intento è partire dal collettivo per poi scendere nello specifico, nei dettagli che caratterizzano la serie, in quei matchup che presi singolarmente potranno fare la differenza. Dal collettivo al singolo, senza perdere di vista l’obiettivo che accomuna i Golden State Warriors e i Cleveland Cavalier: l’anello. Un altro atto della nostra analisi passa per il pitturato, andando a studiare quello che forse potrebbero essere considerate le più sorprendenti sorprese dei playoff e delle stagioni di Warriors e Cavaliers, ovvero sia da un lato Draymond Green e dall’altro Tristan Thompson. Diamo la precedenza a chi ha vinto la Western Conference con il miglior record NBA stagionale.
Fin dalla sua prima apparizione con la maglia di MSU (Michigan State University) il soprannome che gli fu affibbiato fu “The Dancing Bear” per ovvi motivi caratteriali e fisici. Anche se questo soprannome probabilmente non l’ha mai convinto fino in fondo, è una perfetta base di partenza per spiegare uno dei giocatori più “inspiegabili” dei Golden State Warriors dopo il #30. Il nickname di “orso ballerino” deriva da due caratteristiche, una quasi genetica, sempre avuta, e l’altra affinata nel tempo, fin da quando nella Baia professava il reverendo Jackson. Stiamo parlando della sua potenza fisica (2 metri per 104 kg) e dei suoi piedi effettivamente rapidi come quelli di un ballerino. Come porti a spasso quel corpo da orso e con quale delicatezza riesca a farlo resta e resterà probabilmente un mistero; fatto sta che sul parquet, oltre ad incutere timore come un grizzly, è uno dei “peggiori” da marcare per le difese: atipico, duttile, molto fastidioso, classico giocatore che vorresti avere in squadra per amarlo ma da avversario preferiresti non averci mai a che fare.
La grandiosa stagione da esordiente di coach Kerr non a caso è coincisa con l’esplosione di Draymond Green, un giocatore che è passato da un minutaggio di 21.9 a sera nella stagione 2013-2014 ad uno di 31.5 nella stagione 2014-2015. Un netto cambio, un incremento di minuti dovuto sicuramente alla sua crescita personale ma anche ad una perfetta posizione nello scacchiere di coach Kerr. La sua postseason è di tutto rispetto, soprattutto perchè in diversi casi è stato quasi costretto a marcare giocatori molto diversi da lui, sia per fisicità che per abilità. Gasol, Davis, Howard i 3 più difficili che ha contenuto e tutti e 3 sono stati costretti ad andar sotto, se non fisicamente, mentalmente col l’orso ballerino della baia. Nelle 15 partite giocate dai Warriors in questi Playoff, il minutaggio continua a salire, toccando il massimo in carriera e 37.5 minuti a gara, tirando con quasi il 43% dal campo (eccellente percentuale se consideriamo i quasi 5 tiri da 3 a sera) e andando in media sempre in doppia doppia per punti e rimbalzi (14 punti e 10.8 rimbalzi ad allacciata di scarpe). Uno dei numeri che lasciano perplessi i coach che preparano le partite contro i Warriors non sono i punti, non sono i rimbalzi e nemmeno le percentuali dal campo. Sono gli assist: i 5.3 assist di media impauriscono le difese non solo perchè l’orso ha anche le mani da pianista ma anche perchè quelle stesse mani impediscono alla difesa di prendere decisioni ragionate. La capacità di essere una potenziale triplice minaccia disorienta ogni difesa che a sua volta dovrà scegliere il male minore. La scelta più logica, stando anche alle percentuali di questi Playoff, sarebbe quella di concedergli il tiro dalla media/lunga distanza, proteggendo così il ferro da eventuali comodi scarichi e penetrazioni particolarmente efficaci per il prodotto di MSU. Nei due precedenti in RS contro i Cleveland Cavaliers ha giocato 34 minuti, realizzando 13 punti di media, catturando 9.5 rimbalzi e alzando la cifra degli assist a gara, arrivando a quota 6. Curry e Thompson sono sicuramente gli uomini più pericolosi dei campioni della Western Conference ma subito dietro c’è The Dancing Bear che scalpita.
Una crescita quantomeno simile la si può riscontrare in Tristan Trevor James Thompson, per gli amici DoubleT, l’altro lato della medaglia di questo matchup. Per chi lo conosce davvero, il vero soprannome, mai decollato fino in fondo quasi per ovvie ragioni, è Tigger, ovvero sia il corrispettivo americano di Tigro, personaggio del cartone animato che vede come protagonista Winnie The Pooh. Perchè questo insolito nickname? La risposta ufficiale sarebbe “perchè spesso assume compiti con gusto, è sempre pieno di energia ed ottimismo e le sue azioni, a volte, hanno messo nei guai i suoi compagni”. L’ultima accezione appartiene però alla scorsa stagione, quando Cleveland, cancellata dalla mappa delle grandi franchigie NBA, veniva vista più come un passatempo, di certo non come una squadra entro la quale fare sul serio. Ma anche questo cambiamento era dietro l’angolo, è avvenuto a Miami all’arrivo di LeBron, è riavvenuto in Ohio con il ritorno a casa del figlio prediletto di questa terra.
L’evoluzione e i progressi di Thompson forse sono anche un pizzico più evidenti di quelli di Green: il talento canadese, classe ’91, è alla sua quarta stagione NBA e se la forza dell’evoluzione di Green sta nei numeri, non si può dire lo stesso per Thompson che è migliorato tantissimo sotto altri aspetti, quelli più importanti per essere protagonista a certi livelli nella NBA moderna. Iniziamo dal senso della posizione: la doppia doppia sfiorata (9.4 punti e 9.9 rimbalzi di media) non è di certo casuale, perchè sia coach Blatt che “coach” LeBron hanno lavorato molto sull’intelligenza ancora da plasmare di DoubleT, facendo perno sulle sue caratteristiche innate come l’agonismo, l’intensità e un’eccellente fisicità. Già quando faceva parte di Texas, al college, le sue prerogative fondamentali teoricamente erano la grande propensione al rimbalzo, la verticalità difensiva e l’intensità sui due lati del campo. La prima è stata confermata anche tra i professionisti, definendo questa come la stagione della consacrazione (viaggia a 8 rimbalzi di media, aumentando le sue cifre in postseason), mentre le altre due sono da plasmare ma siamo ad un livello già abbastanza avanzato. La trasformazione da “concetto” a “pratico” non è semplice ma partita dopo partita Tigger fa passi da giganti. L’aspetto sul quale ha lavorato tanto, specialmente con James che lo vorrebbe un Cavalier a vita, è la visione di gioco, non tanto in termini di passaggi ma in termini di letture e spaziature. Negli ultimi anni, soprattutto prima dell’arrivo di Kyrie Irving, l’attacco dei Cleveland Cavaliers era un vero e proprio disastro, con giocatori che si muovevano senza una logica sul parquet. Ora le cose sono radicalmente cambiate: ognuno ha un ruolo definito, ognuno sa come muoversi, specialmente i lunghi, sempre i più delicati in questo argomento. Le schiacciate perentorie che ogni partita mette a referto Thompson non derivano solo da una fisicità che continua a crescere ma da un miglioramento per quanto riguarda il sapersi muovere nei giusti spazi e coi tempi giusti. Non possiamo non accennare, anche un minimo, alla “casualità” di quanto appena detto. Senza l’infortunio alla spalla di Love, il minutaggio di Thompson non sarebbe passato dai 26 in RS ai 25 nei PO e probabilmente se non fosse stato adattato nel ruolo di ala grande, o 4 se preferite, non avremmo potuto analizzare tutte queste sue fasi di gioco. A Cleveland mancava un 4 puro, ammesso che LeBron non sia un 4 puro, e coach Blatt ha deciso di andare per il Tall Ball, ovvero sia il quintetto lunghi con Mozgov e Thompson insieme sul parquet. La scelta ha pagato finora, con appena 2 sconfitte in postseason, e chissà se non possa essere decisiva anche nelle Finals. Per parcondicio, è giusto riportare anche le cifre dei Playoff di Tristan Thompson: in 14 partite ha giocato 34.3 minuti in media, realizzando 9.4 punti, catturando 9.9 rimbalzi, con quasi una stoppata e mezzo a gara, il tutto tirando con il 59.3% dal campo e un rivedibile 58.1% dalla linea della carità.
Il matchup che abbiamo cercato di raccontarvi nei minimi dettagli è di estrema importanza perchè se da un lato siamo certi dell’apporto dei vari esterni come Curry, LeBron, Irving, Thompson, Smith, Shumpert, dall’altro sono i gregari come Green e Thompson che ti conducono all’anello.