L'importanza delle panchine: una stagione giocata sui dettagli
“Nessuno vince da solo”. In regular season e, tanto più, alle Finals. Sul palcoscenico supremo a brillare, oltre quelle 2-3 superstar di livello assoluto, devono essere anche i gregari. Quelli chiamati ad alzarsi dalla panchina per dare un contributo. Per un minuto o un secondo poco cambia: una stagione intera finisce per giocarsi sui dettagli. E, talvolta, non è raro che un coach trovi l’uomo che fa la differenza tra quelli che stanno guardando la partita accanto a lui. E Warriors e Cavs hanno nella profondità del roster quelle armi in più che hanno permesso loro di arrivare fin qui.
PANCHINA CLEVELAND – Partiamo dagli “sfidanti” al titolo. Che non hanno nei minutaggi alti e nelle qualità offensive le caratteristiche migliori dei comprimari. I soli Jefferson (8.6 punti di media con il 57.8% da 3 nei playoff) e Frye (5.8 a serata in post season) garantiscono quel quid in più di punti, in particolare dall’arco.
La musica, però, cambia radicalmente quando si parla dell’impatto difensivo. Quest’anno in molti avranno notato il cambio di intensità all’interno dei propri 14 metri che ha subito Cleveland nella seconda parte di stagione: maggiore copertura sulle transizioni offensive avversari e rivali costretti scientemente all’isolamento e alla ricerca di soluzione forzate. Pochi tiri facili e protezione del pitturato molto più estremizzata rispetto al recente passato: con Matthew Dellavedova primus inter pares quando si è trattato di mettere ogni singols stilla di energia sul parquet.
Non mancano, però, le note negative, con Mozgov e Mo Williams, un pò fuori dalle rotazioni e che non stanno rendendo come dovrebbero. Le loro doti offensive, soprattutto quelle del centro russo, potrebbero davvero far vacillare la difesa dei Warriors, sprovvista di lunghi puri e in netta difficoltà davanti ad elementi con caratteristiche molto simili a quelle di Steven Adams.
PANCHINA GOLDEN STATE – Rispetto a quanto detto sui Cavaliers, la panchina dei Warriors appare di livello superiore, con comprimari importanti che, come si suol dire in questi casi, giocherebbero titolari ovunque. E i primi nomi che dovrebbero venirvi in mente sono quelli di Iguodala, Barbosa e Livingston.
Dando un’occhiata alle statistiche, ciò che colpisce è sicuramente la media punti e le percentuali dal campo di alcuni panchinari. In particolare, il già menzionato Shaun Livingston: 8.1 punti con quasi il 50% dal campo e 3.6 rimbalzi nei playoff. A dimostrazione di come i problemi fisici di un tempo siano ormai un ricordo di quanto Steve Kerr conti su di lui anche nei momenti di massima difficoltà (si veda, ad esempio, gara 6 contro i Thunder).
Anche nella Baia, come per Cleveland, dalla panchina si alzano elementi che fanno tutta la differenza del mondo in difesa. Partendo da Iguodala (8.8 punti e 1.6 palle rubate), per arrivare a Barbosa e Speights: fisicità, concentrazione, cattiveria e anche quella discreta precisione dalla media/lunga distanza che non guasta mai.
Più ingrato, ma comunque prezioso, il lavoro dei vari Clark, Ezeli e Rush che quando vengono chiamati in causa non fanno mai mancare il loro contributo di intensità e relizzazione nelle pieghe della partita in cui è necessario ampliare le rotazioni sui due lati del campo.
Un’ultima nota positiva della panchina di Golden State è racchiusa in un nome e un cognome: Anderson Varejao. L’esperto centro brasiliano, voluto da Kerr negli ultimi giorni di trade, è il leader perfetto, dentro e fuori dal campo. Relativamente importante in attacco, sa dare quell’equilibrio unico in difesa, nei blocchi e nei giochi a due che tanto fanno soffrire Curry nell’1vs1.
Dettagli, minuzie, aggiustamenti. Una stagione da 100 partite tutta in queste piccole grandi cose. Non chiamateli panchinari. potrebbero essere proprio loro a garntirvi la vittoria.