L'evoluzione del playmaker: da Bob Cousy a Russell Westbrook
E’ considerato un pò come il numero 10 nel calcio, il playmaker, chiamato anche numero 1 o point guard, è in genere il giocatore in possesso della palla per più minuti, colui che gestisce l’attacco della squadra, controllando il pallone e chiamando gli schemi. Il ruolo del playmaker, così come gli stereotipi e i dogmi legati ad esso, sono stati stravolti e spazzati via dall’evoluzione del gioco. La prima vera superstar in quel ruolo fu sicuramente Bob Cousy, fuoriclasse dei pluridecorati Boston Celtics di Bill Russell. Cousy rappresentava il perfetto prototipo di play: fisico minuto,atletismo estremamente modesto, grande tiratore da 3 e freddissimo ai liberi e spettacolare passatore. Nel giro di un paio di decenni arrivò sulla scena NBA un tale Earving Johnson, conosciuto meglio come Magic. Rivoluziona completamente l’idea di playmaker, diventando con i suoi 2,06 centimetri il piu alto di sempre in quel ruolo, ma al tempo stesso delizia la platea perfezionando giocate come l’alley oop e i passaggi no-look. Il decennio successivo sarà quello dei grandi playmaker,che si avvicinano allo stile di Cousy e del play anni ’60. A livello di statistiche i numeri sono impietosi: il più grande in quel ruolo è stato sicuramente John Stockton, primo per distacco per assist e recuperi. La sua era una pallacanestro velocissima, fatta di classe cristallina e tanto altruismo, grazie a cui il compagno Karl Malone diventò il secondo marcatore NBA di sempre. Si ricorda Isiah Thomas, point guard che ha stracciato tutti i record a Detroit, nemico giurato di Jordan e unico a cui era concesso usare il fioretto nei Bad Boys dei Pistons di fine anni ’80,che preferivano decisamente la sciabola. Poi all’inizio del nuovo millennio è iniziata l’era di Steve Nash, canadese due volte MVP con i Phoenix Suns e perfetto direttore d’orchestra del 7 second or less D’Antoniano. Da Nash in avanti la figura del play è decisamente cambiata. Dapprima toccò ad Allen Iverson, con una pallacanestro fatta di atletismo, istinto offensivo, forzature e penetrazioni continue. Poi nei Detroit Pistons dei Fab 4 di Larry Brown, Chauncey Billups, che fu anche MVP delle Finali NBA vinte nel 2004, iniziò a muoversi in post, cosa totalmente estranea ai play fino ad allora. Fino ad arrivare ai play dei giorni nostri, gente capace di dare 5 stoppate a partita come Derrick Rose(cosa assolutamente impensabile per un play fino a qualche decennio prima), o di fare triple doppie in continuazione come Rajon Rondo, capace di rimbalzi e recuperi impossibili ma anche di 30% ai liberi. Oggi il playmaker dominante è sicuramente Russell Westbrook, ma chiamarlo playmaker quasi lo offenderebbe, certamente lo limiterebbe. Un giocatore, nelle rarissime circostanze in cui ne ha voglia, capace di marcare un 3 o un 4, capace di prendere ogni rimbalzo sulla faccia della terra, di fare 28 metri di contropiede in un batter di ciglia, di stoppare, di giocare in post, di fare 15 assist in un tempo, di prendere 40 tiri a partita, che potrebbe vincere tranquillamente la gara delle schiacciate e quella dei tiri da tre punti e che potrebbe farti perdere la partita in ogni istante. Quanto è cambiato, o meglio quanto si è evoluto il ruolo del playmaker. Ma al di la delle caratteristiche il play resterà sempre come il numero 10 nel calcio: il ruolo di chi segna e fa segnare, il ruolo di chi sogna e fa sognare.