L'ennesima rivincita di Klay
Chissà, magari senza quella botta alla caviglia una notte strepitosa sarebbe potuta diventare addirittura leggendaria, anche se mancava poco meno di un minuto alla fine. E Kobe Bryant, che ultimamente non se la sta passando benissimo, si sarebbe visto sfilare il record per numero di triple realizzate in una singola gara Nba (12 contro gli allora Seattle SuperSonics, messe a segno il 7 gennaio del 2003). Invece questo sarà uno dei primati che resisteranno ancora per un pò alla furia dei Golden State Warriors, a causa dell’infortunio occorso a Klay Thompson, fermatosi a 10 (su 16) nella vittoriosa trasferta a Indianapolis. Trentaquattro minuti in cui il prodotto di Washington State ha mostrato il meglio del repertorio: 39 punti, 12/21 al tiro, 61.9 % dal campo.
Tuttavia, anche in serate così, l’impressione che si ha è sempre la stessa. E cioè che non è per niente facile essere Klay Thompson. O, meglio ancora, essere Klay Thompson e giocare alla Klay Thompson nella squadra di Steph Curry (a proposito: da ieri il figlio di Los Angelse ha agguantato proprio il ‘gemello’ e J.R. Smith per numero di partite con almeno 10 triples a bersaglio). Provateci voi a vivere costantemente o quasi all’ombra del giocatore più forte del pianeta, a essere considerato sempre il ‘minore’ degli Splash Brothers, a vedersi costretti a tirar fuori prestazioni del genere per vedersi dedicati quei titoli che, altrove, gli spetterebbero sera si sera no.
E, forse, non è un caso che la partitissima contro i Pacers cada a quasi un anno di distanza da quella contro i Kings. Lì non ci fu Curry che tenga: 52 punti, 37 nel solo terzo quarto (superando il precedente limite di 33 fissato da George Gervin) e record di triple mandate a bersaglio in un singolo periodo di gioco (ben 9):
Aveva iniziato sottotono quest’anno. Prestazioni non all’altezza della sua fama e percentuali al tiro rivedibili per uno come lui. Poi il recupero della sua dimensione e delle sue percentuali: 46.5 dal campo, 44.2 da dietro l’arco. Numeri che non vi fanno strabuzzare gli occhi solo perché c’è quell’altro che ha fatto addirittura meglio. Non una buona ragione, però, per sottovalutare l’importanza del numero 11 all’interno del sistema o, peggio ancora, per ritenerlo giusto un ottimo kicker (mutuando un ruolo comunque tra i più nobili del football) e nulla più. Soprattutto alla luce di quanto accaduto nelle ultime tappe della Warriors Streak: mai sotto i 20 nelle ultime 5 partite, con i 26 punti dell’Air Canada Center che hanno tenuto a galla i campioni nel momento più difficile della gara contro i Raptors.
Una vita passata alla ricerca di rivincite, una carriera alla ricerca del definitivo affrancarsi dal fenomeno con il 30. Sarebbe ora che qualcuno iniziasse a fargli capire che non serve, che lui è già forte così, che il grado di rispetto che raccoglie tra compagni e avversari è quello che spetta ad un campione come lui. Poi se vuole continuare così, ben venga: non saremo certo noi a stancarci di uno spettacolo del genere.