L'EDITORIALE - Ricordati chi sei: Pierce, Carter e l'amore cestistico
Qui i fischi non esistono. Non esistono rivalità da rissa, né tantomeno striscioni. Esiste semplicemente la voglia di spettacolo, di vittorie e di successo al termine di un percorso che si snoda in 82 partite. Sono poche, ma c’è che decide di legarsi indissolubilmente ad una squadra, magari col proposito di non separarsi mai. Che si mantenga o meno la promessa, questo poi è un altro discorso.
Di certo, quando si è in pace con sé stessi, lo si è anche con i propri tifosi. Chiedetelo a Paul Pierce. 15 stagioni a Boston, dall’accoltellamento all’anello, al nuovo sogno di Finals. Pierce è entrato nel cuore dei Celtics, per non uscirvi mai più. Trascinatore, leader, un uomo-squadra, il giocatore che prende sempre il tiro più importante, senza deludere mai. Le ragioni dell’addio hanno deluso tutto il pubblico biancoverde. Ma come si può mai serbare rancore nei confronti di The Truth? Boston è a casa sua, la città è in fibrillazione quando sa che arriva lui. E al diavolo il voler provare a vincere di nuovo andando ai Nets. A maggior ragione che ad inizio anno ha detto che si è pentito di aver fatto due anni a Brooklyn, e che sarebbe dovuto rimanere a Boston almeno quelle due stagioni. La scelta di adesso non la discute nessuno. L’età sta diventando un fattore: a ottobre sono diventate 37 le primavere di Pierce. Washington ha puntato due anni su di lui, ma a cifre contenute. Bisogna stringere un po’ la cinghia per mantenere quegli equilibri indispensabili per vincere ancora. Ma, in fondo, la canotta può essere di qualsiasi colore, il sangue rimane biancoverde.
Chi lo può capire meglio di Vince Carter? Le stagioni a Toronto per Air Canada sono state “solamente” 6. Quanto basta per far assaggiare i primi fasti del successo alla franchigia canadese e far impazzire il pubblico in coppia col cuginastro McGrady. Le giocate di Carter hanno fatto scoppiare la Vinsanity, un vero e proprio amore incondizionato nei confronti di chi, quella canotta, la suda non solo per i successi, ma per sentire la gioiosa adrenalina dei tifosi al palazzetto tutta per lui. Quella che si avvertiva tutte le volte che Vince scattava sulle molle per schiacciare. Il popolo dei Raptors non ha dimenticato nulla. Carter ha girovagato l’America, ma da nessuna parte ha avvertito lo stesso affetto. Forse, proprio l’ultimo triennio a Dallas ha ridato quelle sensazioni a Vince come ai suoi fan che non si provavano dai tempi di Toronto.
Perché non si serba rancore per chi ha dato se stesso. Perché la squadra che ti ama, antepone la tua felicità prima della propria. Perché (anche) loro ci hanno insegnato che siamo Where Amazing Happens. E il loro “amazing” è l’amore eterno cestistico che hanno giurato alla propria squadra.