L'EDITORIALE - Memphis, dov'è finita la grinta?
Decisamente troppo prematuro perdersi in giudizi, dopo quattro partite. Che sia per un posto ai playoff o per la corsa all’MVP, è presto per poterne parlare con dati significativi. Non determinanti, ma quanto meno indicativi, però. E quanto fatto vedere da Memphis nelle prime quattro uscite della stagione, non è molto promettente.
Dopo una pre-season trionfale (6-1), che conta relativamente poco quando il raffronto è su base annuale, nessuno si sarebbe aspettato una partenza così remissiva. Al di là del record, che dice 2-2, dove le sconfitte sono arrivate contro le due finaliste della scorsa edizione del campionato NBA. Sconfitte tutto sommato comprensibili. Ma non giustificabili, per il modo netto in cui sono arrivate. Dov’è finito il ‘Grit&Grind’? Dov’è finita la squadra che aveva fatto vacillare i Warriors nel secondo turno dei playoff?
Sicuramente non è quella scesa in campo negli ultimi tempi. Di motivi ce ne potrebbero essere diversi. Innanzitutto, il tempo, nemico giurato di squadre che hanno nel nocciolo duro giocatori di consumata esperienza. I Grizzlies schierano un quintetto la cui età media oscilla tra i 30 anni e due mesi e i 31, in base a chi occupa il ruolo di ala piccola (se Jeff Green o Tony Allen). Ad ogni modo, la sostanza non cambia: il roster (quello attivo) complessivamente ha un’età che si aggira sui 29 anni e 10 mesi, giorno più giorno meno. Un po’ troppi. Per intenderci, il quintetto dei Warriors, quello che ha massacrato Memphis poche ore fa, ha un’età media poco maggiore di 25 anni, dove però il più venerando è Steph Curry. Che ne ha 27. Continuando, nel cuore dei tifosi del Tennessee sta tornando la nostalgia di Lionel Hollins in panca, che ha formato una delle squadre più ostiche da battere in una post-season. Joerger, il cui grande lavoro dell’anno scorso è stato sotto gli occhi di tutti, non sembra aver apportato troppe innovazioni a un gioco reso ormai prevedibile nelle scelte.
Ciò che però realmente manca, ed è il motivo per il quale maggiormente si inneggia a Hollins, è per via dell’approccio mentale. Manca la “grit”, la grinta. Quest’atteggiamento rinunciatario porta a una difesa che diventa un colabrodo e che si trova a sbagliare in continuazione la lettura da effettuare sulle singole situazioni. Un dato confermato dall’enorme mole di punti subiti in contropiede nelle partite con Cleveland e Golden State. Insomma, è una squadra allo sbando, quella che ha affrontato le finaliste, in attacco come in difesa. Con Cavs e Warriors, infatti, gli impietosi numeri dicono 72.5 punti messi a referto, 112.5 quelli subiti. Le vittorie, arrivate contro squadre ben più modeste di quelle che si affrontano da metà aprile in poi (Brooklyn e Indiana), hanno comunque visto i Grizzlies subire 194 punti nelle due partite. Per una media complessiva che al momento dice 104.7 punti subiti a gara; troppi, considerando che al termine della passata stagione regolare, chiusa come seconda miglior difesa della Lega, la media al riguardo era 95.1.
Numeri e chiacchiere, niente di serio ancora. Ma, di fatto, a Memphis c’è bisogno di ritrovare quell’ardore che contraddistingue i Grizzlies. Quella che permette di poter assistere a quelle serie di playoff che fanno innamorare della pallacanestro.