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L'EDITORIALE - I 240 dollari di Melo e Kobe

I giocatori hanno un costo. Più o meno proporzionale in base alle capacità e al ruolo che ricoprono in quella squadra. E nei meccanismi NBA quel costo deve equilibrarsi con tutte le altre voci del libro paga di una squadra. Non esistono proporzioni di stipendi che assicurino in qualche modo l’equazione perfetta per creare una squadra vincente. Per quello ci vogliono i nomi giusti, in campo come in panchina. E, essendo il basket uno sport di squadra, i nomi devono essere più di uno o due. Perché altrimenti si rischia la fine di Melo e Kobe, fenomeni che stoicamente fanno i conti con una squadra disorganizzata e una società che paga le scelte avventate, fatte anche nei loro confronti.

(foto da: sportsoverdose.com)
(foto da: sportsoverdose.com)

Carmelo Anthony in estate ha rinnovato le promesse fatte ai Knicks tempo fa, alla modica cifra di circa 25 milioni all’anno. Il suo non è l’unico stipendio pesante con cui fare i conti: Stoudemire prende una cifra inferiore di un paio di milioni. Questo ovviamente comporta un grosso deficit per New York, che nonostante possa contare su altri talenti, si vede come questi siano mal assortiti. La squadra ne risente, eccome. Al punto che i Knicks hanno il 29esimo record della Lega, che si traduce in un eloquente 5-21. Dunque, non proprio quello che si immaginava ad inizio anno. In questi giorni, però, in America si è tanto discusso di una trade che coinvolgesse proprio Anthony, il quale dispone della clausola di “no trade” che gli permette di rifiutare i trasferimenti altrove. Sembrava, invece, disposto a declinare questa clausola per tentare fortuna altrove. Per dare quella svolta alla carriera che a 30 anni va data, per occupare un posticino nella storia iridata del gioco. Puntuale, però, è arrivata la smentita di Melo. Con una dichiarazione che si può riassumere in “scappare è da codardi, io sono un uomo e rimango qui”, Anthony ha ricordato come nonostante l’agonismo, ci sono dei fattori in più e più importanti che formano una mentalità vincente. Perché magari il successo non è da collegare obbligatoriamente all’anello.

(foto da: finance.yahoo.com)
(foto da: finance.yahoo.com)

Tutt’altro discorso va fatto per Kobe Bryant. Fresco del record che lo consacra (ulteriormente) nell’olimpo della pallacanestro, il Mamba a suon di punti continua a trascinare i Lakers (8-16). Anche in questo caso, affianco al nome del 24 troviamo altrettanti milioni di dollari. Ma essendo l’unico stipendio pesante, le colpe di non aver allestito una squadra degna di questo nome ricade molto più sulla società, da qualche tempo decisamente allo sbaraglio. Con un occhio alla realtà, anche Kobe sa che ha esaurito il tempo per pareggiare le rimanenti voci statistiche che lo vedono sconfitto nel confronto con Michael Jordan, che comunque fra i viventi è l’unico che può reggerlo. Averlo scavalcato nella classifica degli scorer all-time, seppur con oltre 200 partite di ritardo rispetto a MJ, è stata di certo una grande soddisfazione e in qualche modo dà un senso a questa ennesima “stagione di transizione”.
La vera difficoltà sta nel mettere i campioni in condizione di vincere, non solo nel saperseli aggiudicare. Altrimenti, va a finire che prima di parlare di record, punti e vittorie, si finisce per notare subito che, mentre voi avete speso 5 minuti per leggere questo articolo, Kobe e Melo si sono appena intascati 240 dollari.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone