L'EDITORIALE - #FreeThePlayers: lasciateli giocare
Ne sono più di quanto si creda. Giocatori promettenti ma soffocati. Poca attitudine all’NBA? Può darsi, per qualcuno di loro. Ma di fatto questi ragazzi non hanno mai avuto modo per dimostrare il contrario. E, dopo la chiusura delle trade, non per tutti si è aperto uno spiraglio. Ma noi daremo spazio solamente a tre casi, i più eclatanti.
Ovviamente, il primo a cui va il nostro pensiero è Gigi Datome. L’ala ex Roma è passato a Boston pochi giorni fa. L’esperienza a Detroit lascia ben poco di costruttivo per il nostro, se non l’aver pienamente compreso che in NBA non si regala nemmeno un secondo di campo. La cura Van Gundy, però, è parsa molto controversa, dal momento che la situazione attuale della franchigia dopo l’infortunio di Jennings, non poneva ostacoli alla sperimentazione di Datome. Ma nessuno ci ha voluto scommettere. Così, Gigi è approdato a Boston. In linea di massima, dovrebbe rimanere fino alla fine della stagione in Massachusetts; non poche sono state le voci di un taglio per approdare in una big europea, ma le stesse non ancora trovato un fondamento. I Celtics potrebbero essere la franchigia giusta per un rilancio: un allenatore, Brad Stevens, che ha sempre valorizzato i giovani e dato spazio a tutti, in un contesto di rifondazione per riportare la franchigia più vincente di tutti i tempi ai fasti di allora. Non ci resta, dunque, che aspettare e sperare.
Di tipo diverso ma non troppo, è la situazione a dir poco paradossale che sta vivendo Doug McDermott alla corte di Thibodeau a Chicago. Proprio i Bulls avevano fatto carte false per assicurarselo al draft, con un affare last minute con Denver, così da avere un’ottima alternativa a Mike Dunleavy nel ruolo di ala piccola con doti dall’arco. Invece, l’head coach di Chicago non gli ha mai dato spazio. Nemmeno quando il povero Mike si è infortunato seriamente (adesso è rientrato, ndr); molto spazio a Snell, con Butler giocato talvolta da ala, sfruttando le sue ottime doti difensive. Non appare, dunque, del tutto chiaro la scelta di Thibodeau di ostracizzarlo in questo modo. A maggior ragione che non è stato nemmeno scambiato in questa sessione e che, in prospettiva post-season, il suo minutaggio potrebbe solamente abbassarsi.
Il terzo e ultimo caso che andiamo ad analizzare è quello di Marcus Smart, su cui la dirigenza dei Celtics non è mai stata precisa nel qualificare il suo ruolo. Spieghiamoci meglio. Al draft è stato scelto per primo da Boston. Il che lasciava intendere che sarebbe cresciuto sotto l’ala di Rondo finché il play di Kentucky non avesse lasciato i Celtics per volare altrove. Scenario che si è puntualmente verificato. Ma, al netto dell’infortunio alla caviglia che l’ha tenuto fuori diverse settimane, quand’anche Rondo abbia cambiato aria, è stato selezionato Turner come play titolare. Un problema, ma non troppo, dal momento che Turner si lascia preferire come ala: ecco che quindi comincia a crescere il minutaggio di Smart. Poi, prima della fine del mercato, ecco che i Celtics prendono Isaiah Thomas da Phoenix. Un bel punto di domanda su questo acquisto. Perché a questo punto un buon investimento poteva essere il ruolo da titolare per Smart, che personalità ha dimostrato di averne da vendere, oltre a ottime doti. Sarà tutto da vedere come verrà gestita la situazione da Brad Stevens, a cui tocca l’arduo compito di prendere per mano quel che resta di uno storico veliero alla deriva e renderlo pronto a solcare l’oceano. Al momento, Thomas parte dalla panchina. Sarà difficile tenerlo fuori dal quintetto, ma questa potrebbe rivelarsi la scelta più azzeccata per il futuro.