L'EDITORIALE - Forti con i deboli, deboli con i forti: cari Clippers, così non si vince nulla
Il titolo lascia poco all’immaginazione. E anche piuttosto volutamente. Duro, forse: ma non lo si è mai troppo.
Il salto di qualità che ci si aspettava quest’anno non sembra avere prerogative serie. Anzi, a volte guardando giocare i Clippers si ha come l’impressione che forse si stia assistendo a una fase di regresso. La squadra di Doc Rivers, infatti, non sta mostrando ancora compattezza e prontezza nelle occasioni che contano. Ed è normale che così una bella figura in post-season rimanga un miraggio.
L’anno scorso li avevamo lasciati con una semifinale di conference persa contro OKC, un po’ macchiata anche da un arbitraggio rivedibile in gara-5. Però i californiani avevano fatto vedere tante belle cose. Il problema, ora come allora, è lo stesso: la squadra quando conta viene meno, dai leader ai comprimari, nessuno escluso. Quest’anno il trend sembra ripetersi. Per una squadra che punta ad essere vincente, il non progresso spesso spinge nella direzione opposta. Specialmente quando all’interno del roster ti ritrovi giocatori elitari come Griffin, perlomeno pago per i milioni che prende, e Paul, che invece di milioni ne ha abbastanza e che vorrebbe mettere finalmente questo anello al dito, nel senso meno romantico e più cestistico dell’espressione.
Scendendo più nel dettaglio, si nota come le vittorie dei losangelini siano arrivate per la maggior parte da squadre che finiranno la propria stagione a metà aprile. O che in quel determinato frangente non potevano fare affidamento su tutti i giocatori. Pertanto, fatte le eccezioni dovute delle vittorie con Portland (in casa), Miami (trasferta) e Houston (trasferta, ma senza Howard), le altre otto sono arrivate o da squadre come Utah, Orlando, Phoenix e Charlotte, troppo giovani per impensierire realmente, o da squadre ormai derelitte e irriconoscibili, vuoi per (de)meriti personali (Lakers, Detroit) o per sciagure (OKC).
Di rimando, le sconfitte sono arrivate per l’80% da squadre che se la regular season finisse adesso, sarebbero ai play-off: Sacramento, Golden State, San Antonio, Chicago e Memphis. A conferma dei problemi di cui sopra, contro Kings e Spurs si trattava solamente di amministrare un buon vantaggio, che è stato miseramente dissipato negli istanti finali della partita.
Di certo, a Ovest è più dura. Ma se i Clippers vogliono migliorarsi ancora, eventualità che sulla carta non è così remota, devono trovare la quadratura del cerchio a cui negli ultimi anni si sono avvicinati considerevolmente. E a cui, sinceramente, con le capacità di squadra e allenatore, possono essere prossimi. Laddove non vi fosse miglioramento, sarebbe un peccato proprio sportivamente parlando: risalire dal baratro, vendicare un recente passato fatto di umiliazioni (specialmente dai cugini in gialloviola) e dimostrare sul campo di essere più forti del razzismo sono azioni che meritano un epilogo migliore. Non solo per un amorevole predeterminismo, frutto di lavoro, valori e sacrificio, ma anche come apice di un percorso di maturazione e, conseguentemente, di crescita talmente ben iniziato che sembra impossibile pensare che si arresti così.