L'EDITORIALE - "E il terzo giorno resuscitò, secondo le scritture..."
Con un viso come quello, la citazione biblica viene quasi naturale. Anche perché vederlo in campo in un momento topico della partita, sa tanto di miracolo. E tutti questi cerimoniali rendono bene l’idea di come tutti ci auguriamo che questo sia solamente l’inizio. Che finalmente il mondo NBA si decida a dargli spazio, perché evidentemente lo merita.
Per chi è attaccato ai numeri, anche quelli parlano chiarissimo: 10 punti, 4/5 dal campo (80%), 2/2 da tre (100%), 1 rimbalzo, 2 stoppate e +6 di plus/minus. Il tutto in 9 minuti e mezzo. Numeri che, in proporzione, fanno davvero ben sperare. Perché arrivano nel terzo e nel quarto periodo, quando il risultato non dice 40 punti di differenza. Ma, anzi, i Celtics lo cercano per provare una disperata rimonta su Orlando negli ultimi novanta secondi. Una rimonta che non riuscirà, ma chi se ne importa. Anche il tifoso nostrano di Boston è schizzato dalla sedia alle triple di Gigi. Tiri pesantissimi, che hanno fatto passare la voglia di ridacchiare anche ai telecronisti americani, che non credevano di poter vedere Datome in campo.
All’inizio, la sua gente non gli aveva dato credito e Van Gundy l’aveva proprio inchiodato a quella croce. Anche a Detroit avevano scelto Barabba, insomma. Ma adesso è partito il conto alla rovescia. Se i 9′ di ieri sono un apripista per Gigi, restano 21 partite al capitano della Nazionale per mettersi in mostra, legittimando il suo approdo oltreoceano. La sua pentecoste, per non allontanarci troppo dal parallelo iniziale. Chissà, magari rimane ai Celtics, con un allenatore che sappia realmente valorizzarlo. Perché ieri sera, il numero 70, ha dimostrato di poter vestire una canotta importante. Specialmente nei minuti che contano davvero. Con la speranza che, al termine della stagione, non ascenda ma rimanga ancora in mezzo a noi e, soprattutto, a loro. Perché ieri sera Gigi è risorto.