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L'EDITORIALE - Dallas si reinventa, Houston fa fatica: quando il coach è determinante

“Nella Western Conference può succedere qualsiasi cosa”: l’avremo sentita tante di quelle volte, che ormai nessuno si sorprenderebbe più se effettivamente accadesse l’incredibile. E l’inizio pure sembra prendere la piega dell’anno scorso: Golden State scappa, le altre inseguono formando un gruppone omogeneo nelle prime posizioni. Nulla di nuovo, dunque, per le grandi linee.

Se non fosse, però, che le protagoniste sono cambiate così radicalmente, da farci fare ben più di una domanda. Se negli episodi precedenti abbiamo cercato le cause di un avvio così stentato di Memphis, c’è da chiedersi adesso perché i Rockets stiano facendo tutta questa fatica. E come, a questo punto, Dallas si trovi così in alto, con un roster che tutto sommato pareva indebolito sulla carta, dopo l’affare Jordan. Procediamo con ordine.

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Houston aveva deciso di cambiare un po’ filosofia di gioco, almeno in teoria. Niente più “palla ad Harden, che la passa ad Harden per il tiro/fallo subito di Harden”: Beverley si riposa in panchina e arriva direttamente da Denver l’imprevedibile Ty Lawson, un mucchio di talento riposto in una mente non troppo sopraffina. L’idea era sperare in una maturazione visto il cambio di obiettivo stagionale, un po’ come successo con JR Smith a Cleveland. Così, dunque, con un playmaker di tutto rispetto, Harden poteva concentrarsi un po’ meno sulla costruzione del gioco, non necessariamente il fondamentale migliore del Barba. Ma il rovescio della medaglia è impietoso. Lawson non mette l’intensità difensiva che quantomeno era in grado di garantire Beverley. Un avvio troppo alterno di Harden e i tanti infortuni stanno facendo il resto, mettendo Houston alle corde.

Motiejunas e Jones non sono ancora recuperati appieno, Howard ormai non ricordiamo nemmeno più quand’è che l’abbiamo visto l’ultima volta senza problemi fisici. Ma che dire di un Superman, che viaggia a medie decisamente buone visti gli acciacchi. Aleggia così un po’ di mistero sul calo verticale degli uomini di McHale, che si trovano confinati al 12° posto della conference occidentale, con un eloquente 4-6.

L’altra faccia meno gloriosa del Texas tiene il passo delle prime. I Mavericks, che si sarebbero a stento giocati un posto ai Playoff quest’anno, al momento continuano a inseguire in terza posizione, pari merito con Clippers e Thunder. L’incognita Matthews dopo l’infortunio e l’arrivo di Pachulia in luogo di Jordan spingevano molto in questa direzione. Per non parlare dell’invecchiamento inevitabile di Nowitzki o di come Deron Williams si sarebbe inserito in un contesto nuovo, caviglie permettendo. Proprio tutti quelli che erano i dubbi, si sono trasformati in positive certezze.

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Senza Ellis e Rondo, Dallas ha riscoperto un gioco necessariamente più perimetrale per valorizzare le guardie; Williams al momento non prende troppi tiri e non gioca molti minuti, vista una panchina che nel ruolo è decisamente profonda. Nowitzki, peggio del vino, quasi migliora col tempo, mantenendo circa 18 punti di media. Pachulia fa registrare un’onesta doppia doppia di media da 10-10, per concludere il quadretto. Grande lavoro di Carlisle, dunque, che ha avuto le idee giuste per reinventare la squadra, mantenendo inalterata l’identità del gioco. Proprio quella che McHale deve in un modo o nell’altro migliorare, in un gioco stantio che si compone solo di tiro da tre o nel pitturato.

Queste due squadre si sono affrontate sabato notte. Magari i più superstiziosi ci potrebbero aver visto un vero e proprio passaggio di testimone, con i Mavs che le suonano a domicilio ai Rockets, con Nowitzki tenuto a riposo e senza Parsons. La scorsa primavera, proprio loro si erano rese protagoniste di una delle serie di playoff meno divertenti degli ultimi anni, un massacro già scritto dopo la grande stagione di Houston. Parliamo sempre con il senno di poi ma, memori della passata stagione, anche i Rockets conoscono l’importanza di vincerne il più possibile per un accoppiamento più vantaggioso a fine stagione. E questo sicuramente non è il trend da tenere.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone