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"LeBron and Curry, for the history": la guida ai prossimi mesi di Dario Vismara

L’età è sempre la prima voce del biglietto da visita. In un continuo scontro fra vecchio e nuovo, dilagante con l’ascesa dell’online, Dario Vismara si colloca esattamente nel mezzo, nel modo di esporre la pallacanestro; le esperienze acquisite con Rivista Ufficiale NBA, L’Ultimo Uomo e La Gazzetta dello Sport, lo rendono dunque, un punto di riferimento per tutti gli appassionati. Con la saggezza e l’equilibrio dell’anziano, ma con l’umiltà del giovane che è: per questo, abbiamo scelto proprio lui per cominciare un ciclo di scambi, più che di interviste, laddove poniamo domande pronti a (farci) fornire quell’angolazione che sfugge e che, in realtà, pare lì a portata di tutti.

E’ doveroso partire da LeBron James, visto che lei probabilmente ne è il massimo esperto. I suoi Cavaliers hanno qualche chance in più rispetto allo scorso anno di potersi opporre al dominio Warriors?
<<Prima di rispondere, dobbiamo ricostruire il mese di marzo. E’ stato un vero casino, infatti, tra tweet criptici, l’unfollow all’account di Cleveland, l’isolamento dalla stampa: una serie di comportamenti che francamente non ho capito, come se fosse un bambino capriccioso. Poi Lue l’ha preso da parte e gli ha detto di smetterla con questo atteggiamento. Ecco, da quel momento è un altro LeBron: domina in lungo e largo con quasi una tripla doppia di media.>>

Tutto questo, quindi, come si traduce?
<<Credo che sia stata una mossa per testare la squadra sotto pressione, in vista dei Playoff. E dubito che abbia avuto le risposte che si aspettava, come quando i Cavs hanno perso con Indiana e Houston – e contro i texani lui non c’era.>>

Torniamo alla domanda originaria, allora.
<<Cleveland è meno forte dell’anno scorso. Nella passata stagione, la squadra arrivò anche con tutt’altra mentalità: dopo la trade di Mozgov, ci fu quel filone impressionante di vittorie. Poi, senza Irving e Love si è avuta una maggiore attenzione difensiva. Ora manca un po’ di chimica, lo spogliatoio traballa, ci sono meno sicurezze. Insomma, non sono ottimista, ma sia chiaro che, almeno ad Est, per non arrivare alla Finals si devono eliminare da soli.>>

E’ azzardato cominciare ad immaginarlo lontano dall’Ohio?
<<Sì, si è esposto tantissimo quando è tornato a Cleveland. E ora non può andar via dopo sole due stagioni. Intanto, però, ha messo pressione alla società, quando ha fatto circolare delle voci tra i media sulla sua free agency; niente di concreto, ma che comunque poteva dar da pensare. Squadre con un assetto valido come Cleveland e che possano firmarlo, poi, non ne vedo, per non parlare del fatto che cambiare sarebbe una pessima mossa per le sue public relations.>>

L’aspetto mediatico di LeBron James ha sempre avuto un ruolo di primo piano. E stiamo parlando di un uomo che ha già caratterizzato una decade di basket. Proprio per questo, non crede che per divinizzarsi in modo definitivo, la voglia di vittorie possa prevalere sul personaggio?
<<Questa scelta era stata già fatta quando decise di andare a Miami. In quattro anni, con due titoli vinti, e la consapevolezza di non poter ottenere di più dal roster degli Heat, ha capito che a sei anelli non ci sarebbe mai arrivato. E quindi ecco perché la scelta di provare a vincere a Cleveland, dove nessuno è mai riuscito, a casa sua. Paradossalmente, un titolo con i Cavaliers ne varrebbe almeno due vinti con Miami.>>

Golden State è a una sola partita dalla storia. Ce la faranno a battere il record?
<<Assolutamente. La Oracle Arena è carica a mille, hanno battuto San Antonio a domicilio e Memphis almeno dal punto di vista difensivo può essere gestita tranquillamente.>>

A trovare i punti di forza di questa squadra, riusciamo tutti. Punti deboli ce ne sono davvero pochi, però ci sono. Ad esempio, nei finali di partita c’è la tendenza a staccare la spina.
<<E’ vero, succede spesso, che poi Kerr è costretto a rimettere tutti dentro per chiudere le gare. Ma penso che sia umano, e che ai Playoff non succederà nulla di tutto questo. A mio avviso, sono vulnerabili quando Curry e Green non sono in campo, perché le riserve che giocano bene rendono grazie a loro. Il problema è che sono talmente pochi i minuti senza i due, che è difficile creare un vantaggio tale che possa permettere di batterli. Un altro, che mi viene in mente proprio per quanto visto nell’ultima partita con gli Spurs, è il rimbalzo offensivo. Finché San Antonio è riuscita a catturarne con continuità, sono stati in partita. E’ un prezzo da pagare, per Golden State, che sceglie sempre un quintetto estremo: si cambia su tutti, ma manca la verticalità.>>

Da Golden State a Curry, il passo è breve. Quest’anno i paragoni arditi non sono mancati. Ma a differenza di tutti i grandissimi di questo sport, le cui potenzialità erano più o meno già note, l’esplosione di Steph arriva con qualche anno di ritardo. E allora, siamo davvero davanti a uno da Mount Rushmore?
<<Che Curry avesse qualcosa di buono, lo si intravedeva già quando era a Davidson, al college. Più che altro, l’impressione era che oltre a un romantico paragone con Pete Maravich non si potesse andare. Poi, ha fatto il più grande salto di qualità mai visto. E’ riuscito nell’impresa, secondo me la più complessa, di confermarsi MVP migliorandosi ulteriormente. Intendiamoci, sono 3-4 stagioni che aggiorna i suoi record. Se continua così per almeno tre anni, avrà anche rivoluzionato questo gioco. Che già comincia a vedere altri giocatori simili: Lillard, ad esempio, è molto “curryano”.>>

Kevin Durant tra pochi mesi dovrà decidere del suo futuro, se rimanere o meno ad OKC ed eventualmente dove andare. Vorrei da lei una lettura oggettiva della questione, ma anche una soggettiva.
<<I due punti di vista coincidono. La cosa migliore per Durant è riflettere un attimo su ciò che ha già ad Oklahoma City: c’è Westbrook – che è tra i primi 6-7 giocatori al momento, c’è una cultura di squadra che già conosce. E parliamo della terza o quarta potenza della Lega, quindi se l’intenzione è quella di cambiare per vincere, vorrà dire che saranno ascoltate solo le offerte delle prime. Se escludiamo gli Spurs dove non c’è spazio, i Cavaliers per la presenza di LeBron, rimangono i Warriors ma per firmarlo dovrebbero rinunciare ai rinnovi di Barnes, Bogut e Iguodala. Anche se poi il quintetto sarebbe Curry, Thompson, Durant, Green e un centro.>>

C’è un attimo di silenzio in cui si immagina la potenzialità di una squadra del genere.

<<A quel punto, la panchina diventerebbe un fattore relativo. Tuttavia, fossi in lui, preferirei rimanere ai Thunder e crescere ancora. Probabilmente a fine anno firmerà un contratto annuale, come LeBron James l’anno scorso: in questo modo, nel 2017, potrà firmare un contratto anche da 40 milioni annui, potendo avere di diritto il 35% del salary cap, che matura al decimo anno di NBA. Inoltre, l’anno prossimo anche Westbrook e Ibaka saranno free agent, per cui potranno decidere insieme il da farsi.>>

Tra Golden State, San Antonio e Cleveland, i Playoff quest’anno potrebbero regalare davvero poche sorprese.
<<Sono carico in vista della post-season, ci sarà da divertirsi. A Ovest, bypassiamo il primo turno; al secondo i Warriors, che restano favoriti per la vittoria finale, beccherebbero i Clippers e potrebbero incappare in tante difficoltà, a cominciare dalla difesa sempre efficace di Paul su Curry. E in un’eventuale serie con San Antonio a mio avviso è necessario vincere almeno una gara in Texas, un’impresa davvero complicata. A Est, è una tonnara: dalla 2° all’8° posizione non c’è una superiorità schiacciante; se il primo turno andasse tutto a finire a gara-6 o gara-7 non mi stupirebbe. Sarà un equilibrio divertente.>>

Se dovesse scegliere un outsider, chi le piacerebbe vedere vincere un titolo?
<<Da tifoso, dico Cleveland (ride, ndr). Sarebbe una storia di basket incredibile ma non credo che andrà a finire così. Un outsider che non mi dispiacerebbe sarebbe OKC: una squadra sfortunata, che non è mai più tornata ai livelli del 2012.>>

Facciamo il punto sugli italiani. Bargnani in stand-by, Belinelli alla sua peggior stagione di sempre dal punto di vista statistico, Gallinari in una dimensione che lo acclama ma che dista anni luce dall’essere vincente.
<<Per quanto riguarda il Mago, temo che i suoi giorni in NBA siano finiti dopo quest’anno. Ha provato con i Nets, ma nemmeno loro erano così convinti; Bargnani, poi, non ha dato tutto se stesso per rimanere nella Lega. Quella di Belinelli, invece, è stata una scelta di carriera, ma credo che neanche lui potesse immaginare che la situazione a Sacramento fosse così delicata. Al momento la cosa migliore per entrambe le parti, sarebbe quella di trovare un acquirente, magari i Clippers, dove troverebbe Chris Paul che è sempre stato il suo main sponsor. Gallinari, invece, si trova in una squadra che ha giocatori giovanissimi: Denver è l’unica ad aver fatto giocare più di 1000 minuti a tutti gli under 21 in squadra. Solo che Danilo va per i 28 anni, e dalla prossima stagione potrebbe rendersi free agent perché sull’ultimo anno di accordo c’è la player option. Per cui, i Nuggets potrebbero scambiarlo quest’estate, così da non perderlo a zero; credo che se arrivassero di nuovo le offerte di Celtics o Clippers, le accetterebbe, anche se in queste scelte subentrano sempre tanti altri fattori, altrimenti non si spiegherebbe la scelta di Marc Gasol di rimanere a Memphis.>>

Concludiamo con i Vismara Awards. Per MVP e rookie dell’anno, puoi dirmi direttamente il secondo in graduatoria.
<<Come MVP, dopo Curry dico Kawhi Leonard. Steph potrebbe anche vincere il Most Improved, ma credo che alla fine sarà premiato McCollum. Sesto uomo scelgo Iguodala.>>

Scelta singolare. Crawford e Kanter sembrano candidati molto più credibili per questo premio.
<<Non sono dell’idea che il sesto uomo si debba valutare sulla quantità di punti in uscita dalla panchina del singolo giocatore. Credo che ne vada valutato l’impatto. Per intenderci, Iguodala conclude quasi tutte le gare in campo, a differenza di Crawford e Kanter.>>

Ok, proseguiamo allora.
<<Per il coach dell’anno voto Kerr, glielo devono dopo una stagione così straordinaria. Come rookie, dopo Towns, il mio candidato è Nikola Jokic.>>

Un’altra sorpresa. E Porzingis?
<<Il lettone ha iniziato forte e si è staccato subito di dosso l’etichetta di “soft bianco ed europeo”, e questo è stato molto importante, specialmente in una piazza come New York; poi è calato, e non solo per demeriti personali. Ma Jokic si è imposto come titolare di livello per i prossimi dieci anni.>>

Prego, concluda.
<<General manager voto Buford: gli Spurs hanno una panchina profondissima, con 15 giocatori che sono da rotazione. Per finire, il miglior difensore potrebbe essere uno tra Kawhi Leonard e Draymond Green. E’ uno scontro alla pari.>>

Con lo stesso augurio di Dario, che ringraziamo per la disponibilità e la cortesia, ci salutiamo dopo il primo di questi appuntamenti: buoni Playoff a tutti i nostri lettori.

 

About The Author

Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone