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L'altra faccia dell'Nba

Come fa un modello considerato perfetto ad essere sull’orlo del tracollo? Chiedere all’Nba e ai suoi dirigenti, che si ritrovano nel 2014 a rivivere una disparità tra Est e Ovest che influisce negativamente sul mercato e sullo spettacolo. Anche nella stagione corrente, com’era già capitato negli ultimi anni, il dislivello che passa tra le due Conference è netto e a tratti abissale: la parte occidentale del paese a stelle e strisce domina in lungo e in largo. Se guardare all’albo d’oro può non appoggiare questa teoria (grazie anche alle vittorie di Boston e Miami) e i nomi presenti ad Est la boccerebbero del tutto, la realtà che viene fuori dai dati è inconfutabile. LeBron, Rose, Anthony e George non riescono ad invertire l’idea che chi di loro arrivi alle Finals abbia effettivamente un cammino più agiato rispetto ai tantissimi scontri incerti che si trovano nel lato opposto. A eliminare ogni dubbio è la classifica odierna dell’Nba, che tenendo conto di tutti e 30 i team, mette in evidenza una top 10 altamente preoccupante:

  1. Memphis Grizzles 0.857
  2. Toronto Raptors 0.857
  3. Golden State Warriors 0.833
  4. Portland Trail Blazers 0.786
  5. Houston Rockets 0.786
  6. Washington Wizards 0.75
  7. San Antonio Spurs 0.692
  8. Dallas Mavericks 0.667
  9. Chicago Bulls 0.643
  10. Sacramento Kings 0.615

Allo stato attuale delle cose, nelle prime 10 ci sono solo 3 società che competono nella Eastern Conference e il record di cui dispongono le altre 5 (Miami, Atlanta, Milwaukee, Cleveland e Indiana) non basterebbe a mandarle in post-season nel paragone con i “cugini” occidentali. Il problema principale è la poca competitività: ad Est troppe squadre terminano l’anno con una media sotto lo 0.5 . Questo favorisce sia il predominio di pochi team attrezzati, sia l’ampliarsi del distacco dall’altra Conference. La situazione non può che peggiorare negli anni a seguire e crescite di franchigie storicamente poco vincenti come Golden State o Memphis di certo non aiuta.

La prima soluzione è drastica, ma storicamente attuabile: come già successo in passato, bisogna rimescolare le carte. Infatti verso la fine degli anni 70’, l’Nba dovette già affrontare la difficile decisione di spostare squadre come Houston, Golden State e Utah da Est ad Ovest, mentre ad intraprendere il viaggio opposto furono Indiana, Chicago, Detroit e Milwaukee. Sfruttare la posizione centrale di alcune città statunitensi non dovrebbe far esitare gli uomini al comando, sostituendo magari un team con un progetto importante come i Mavericks, con uno meno ambizioso come i Pistons, per fare un esempio. Certo è che sta diventando inaccettabile vedere che cestisti di enorme spessore (il più incalzante risponde al nome di Anthony Davis), si ritrovino costretti a terminare la stagione in anticipo nonostante abbiano portato i compagni ad avere record di gran lunga superiore a chi invece partecipa alla post-season.

La seconda proposta è probabilmente troppo eccessiva, ma a mio avviso potrebbe essere quella definitiva: formare un’unica grande lega che classifichi tutte e 30 le franchigie Nba secondo il record finale. In questo modo accederebbero ai playoff solo i più meritevoli e non ci sarebbero dubbi sul fatto che chi arriva in finale è effettivamente il migliore. Il problema si creerebbe solo per l’eccessiva distanza tra alcune città, ma nel 2014, con tutti i mezzi economici e non a disposizione, qualsiasi idea concreta può diventare realizzabile.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone