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La straordinaria normalità di Matt Bonner

L’unica cosa fuori dagli schemi della sua intera carriera è arrivata probabilmente all’ultima curva, al momento del ritiro. Perché il video con cui Matt Bonner ha fatto sapere al mondo che avrebbe appeso al chiodo scarpette e canotta ha stupito tutti quelli che in lui vedevano l’uomo tutto d’un pezzo, il robot, l’uomo di ghiaccio pronto a raccogliere i gradi del miglior Agente 007 con tanto di licenza di uccidere a sangue freddo.
Non ha mai fatto male a nessuno, ma se chiedete in giro per la Lega di pallacanestro più bella del mondo, nessuno vi dirà di volerlo incontrare col sorriso. Un avversario ostico per tutti quelli che di questo gioco credono di aver capito qualcosa.

I tratti del viso lo tradiscono davanti all’evidenza; Matt nasce a Concord, con l’oceano di fronte, ma il suo ceppo parte da molto più lontano, dove quell’oceano ha fatto da limite e barriera.
Nella vita non ha mai preso copertine, ma vincere gli è sempre piaciuto: la sua High School, proprio a Concord, per tre anni ha dominato nello stato, al College di Florida, invece, ha stupito tutti diventando uno dei migliori di sempre sul campo ed un ottimo studente tra i banchi, con un QI interessante, quasi sprecato per uno che guadagnerà fior di milioni sul parquet da basket.
Quella intelligenza, però, Bonner non smetterà mai di usarla, anche se sui banchi ci starà poco negli anni successivi; i numeri sono ottimi, ma non lo spingono in alto al Draft del 2003, quello che in NBA porta gente come LeBron, Melo e Wade. Lui diventerà la classica steal of Draft, ma per dimostrarsi tale dovrà trovare la sua migliore realtà.
I Bulls lo scelgono con la chiamata 45 girandolo poi a Toronto, ma in Canada non c’è posto per lui; deve emigrare e nel suo percorso trova l’Italia e Messina, dove si trova a giocare una sola stagione. A metà della sua esperienza italiana, la squadra isolana smette di pagare gli stipendi per alcuni problemi finanziari; Bonner potrebbe lasciare e tornare in patria, come tanti altri fanno attorno a lui, ma lui che alla parola tiene più che a tutto il resto non lascia la Sicilia, chiudendo l’anno con quasi 20 punti di media.
I Raptors lo accolgono stavolta, nel 2004, e in Canada tutto sommato si fa apprezzare, nonostante i Playoff stentino ad arrivare.

Il suo QI glielo suggerisce, la giusta occasione sta per arrivare. Ed arriva, infatti, nel Texas più sperduto di San Antonio, la sua seconda casa dove passerà il decennio tra il 2006 e il 2016. In neroargento non è subito protagonista, ma coach Popovich non gli chiederà di diventarlo; Matt è il classico giocatore abile a togliere le castagne dal fuoco nel momento del bisogno. Si specializza come tiratore e diventerà per molto tempo il migliore della Lega. San Antonio ha in lui una bocca di fuoco affidabile, un giocatore capace di cambiare la partita in qualsiasi momento e non soffrire la pressione; un Agente 007.
Vince il titolo al primo anno, si rifarà nel 2014 quando avrà la meglio di quel LeBron che in NBA ci era entrato proprio col suo stesso Draft.
Coach Pop ha detto di lui: “È stato il compagno ideale per tutti, sempre apprezzato nella nostra famiglia. Mi spiace solo non essere stato nella platea durante il video in cui ha annunciato il ritiro“.
Ma forse Popovich c’era tra quei sediolini vuoti che Matt ha riempito ad uno ad uno con l’immaginazione che non gli è mai mancata.
Se ne va dalla NBA così come ci era entrato, in punta di piedi; un altro “Mamba”, white stavolta, è out.

 

 

 

 

 

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone