LA LAVAGNA - Un "Hammer" per il Gallo e i Denver Nuggets
Il clima migliora in Colorado e sulle Montagne Rocciose. Dopo la tempesta che si è scatenata al momento dell’esonero a sorpresa di coach Brian Shaw, che godeva della stime e della fiducia dell’intero spogliatoio dei Nuggets, le acque sembrano essersi placate, anche grazie al perfetto inserimento nel gruppo di coach Michael “Mike” Malone. Il figlio di Brendan, ex allenatore di Cavaliers e Raptors, ha giocato per quattro anni nella squadra della Loyola University Maryland, con un totale di 107 partite disputate e una media di 3.4 punti a gara, 2.6 assist e quasi un pallone rubato a sera in 18.5 minuti di impiego. Non obbligatoriamente l’epitome del giocatore perfetto. Decise subito dopo il college di intraprendere la strada del padre. La carriera da vice e head coach è molto più lunga rispetto a quella da giocatore. Inizia nel lontano 1994 sulla panchina dei Golden Grizzlies di Oakland University come vice, prima di spostarsi per tre stagione a Providence. Dal 1999 al 2001 è a New York, come vice dei Manhatta Jaspers e, nel 2001, il salto con i pro. I Knicks fino al 2005, i Cavs fino al 2010, gli Hornets nella stagione 2010-2011, i Warriors per le successive due stagioni, prima di ottenere il posto da capo allenatore a Sacramento. In maniera molto simile al suo predecessore sulla panchina dei Nuggets, viene silurato da un proprietario scellerato e nel 2015 si accasa, come detto, in Colorado. Il suo compito non era per nulla semplice: farsi legittimare da un gruppo che tutto voleva tranne l’esonero del suo allenatore. Malone è abituato a queste situazioni (se resisti a Sacramento puoi farcela ovunque!) e ha saputo conquistarsi giorno dopo giorno la fiducia di ogni singolo giocatore, passando ovviamente attraverso momenti felici e momenti meno felici, attraverso scelte difficili e attraverso vittorie convincenti.
La situazione offensiva che analizzeremo oggi prende il nome di Hammer. La completezza, legata alla semplicità, di questo schema si adatta perfettamente agli elementi del roster dei Nuggets, una delle squadre che può disporre il maggior numero di giocatori atipici in campo: da Faried, centro ma in grado di tenere anche la velocità degli esterni, a Gallinari, impiegato e impiegabile da esterno così come da ala grande, da Nelson e Foye, tiratori ma anche buoni palleggiatori, a Lauvergne e Barton. Il nostro set iniziale prevede in posizione di playmaker (1) Jameer Nelson, in posizione di esterni Foye (2) e Barton (3), come lunghi Gallinari (4) e Faried (5). Come notiamo dai nomi, sostanzialmente 1 lungo di ruolo e 4 tiratori per poter far male in diverse maniere. La partenza prevede la scelta di un lato da parte del playmaker (il destro nel nostro caso): Foye scende fino alla tacca grande in attesa di Faried a rimorchio, mentre sul lato debole abbiamo il 3 e il 4, Barton e il Gallo. Le operazioni iniziano non appena il lungo di riferimento mette piede sotto l’arco dei 3 punti e porta un blocco all’esterno che sfrutterà il vantaggio e riceverà dal suo playmaker.
Un volta uscito nei pressi del centro della metà campo offensiva, il nostro esterno con palla aspetterà quello che in gergo viene definito uno stagger, ovvero sia un doppio blocco formato da due giocatori che consentirà all’uomo con palla di essere ancor più in vantaggio. Così, il playmaker (meglio se fisicamente pronto e adatto come Nelson) e il centro si mettono in posizione per far sì che i due blocchi vengano sfruttati nel miglior modo possibile. Potremmo risultare ripetitivi, ma ci teniamo a sottolineare sempre come i concetti di timing e spacing siano fondamentali ad ogni livello del gioco: una partenza anticipata dell’uomo con palla o una posizione dei piedi troppo distanti da loro e si incappa facilmente in un fallo in attacco. Per quanto riguardo lo spacing, invece, è importante saper posizionare il blocco nella porzione di campo ideale. Se 1 e 5, i bloccanti quindi, sono posizionati troppo vicini o troppo alti, il playmaker non riuscirà a prendere il vantaggio che prenderebbe se i blocchi fossero posizionati in maniera scalata, quasi da formare una curva. Solo così la point guard uscirà dai blocchi certa di non aver il suo diretto avversario davanti. La X indicata in rosso sarà il primo punto d’arrivo del nostro 2 con palla. Va ricordato, come dimostra la grafica, che il 5 in questa situazione peculiare non è chiamato a rollare, ovvero sia a girarsi dopo il blocco e andare verso il canestro. Il perchè lo capiremo poco più avanti. Nel frattempo si è creato un vantaggio per il nostro Foye che, a questo punto, ha la prima opzione offensiva: attaccare il cambio difensivo che si è venuto a creare dopo lo stagger. Quasi sempre poco esplorata viste le dimensioni fisiche dell’ex guardia dei Clippers. A questo punto l’intero gioco si sposta sul lato debole. Barton e Gallinari, apparentemente immobili sul versante lontano dalla palla, diventano i fulcri dell’attacco dei Nuggets. Il blocco cieco dell’ala italiana dovrà liberare Barton in angolo, offrendo la prima linea utile di passaggio al playmaker. Se non abbiamo un attacco in 1vs1 dopo il cambio difensivo, dunque, Randy Foye attacca sulla linea di fondo e ha come prima opzione lo scarico per il tiratore nell’angolo.
Il blocco cieco di Gallinari non ha solo una funzione di smarcamento per Barton ma ha soprattutto il merito di far muove la difesa in maniera piuttosto innaturale. Essendo un blocco cieco, la difesa è chiaramente in emergenza e dovrà ripiegare immediatamente e con ogni forza su un tiratore lasciato da solo in angolo. Molto spesso capita che pur di chiudere quella comoda linea di passaggio, i difensori vadano in due anziché in uno a cercare di evitare uno scarico dal quale potrebbe scaturire un tiro comodissimo con i piedi per terra. La chance che si crea per il Gallo si rivela l’obiettivo principale dell’attacco Hammer. Con due difensori sul lato debole a marcare un solo giocatore nell’angolo e i difensori di 1 e 5 che non possono staccarsi troppo perchè la palla è ancora su quel lato, Gallinari ha uno spazio infinito in area per poter ricevere.
Come vediamo bene dall’immagine, il talento da Sant’Angelo Lodigiano va ad occupare una porzione di campo completamente aperta e vulnerabile di una difesa che è stata costretta fin dal primo blocco a muoversi in maniera innaturale. La continua rincorsa dopo i blocchi fa della difesa un reparto non organizzato per quanto possano riuscire bene le rotazioni. Nell’immagine in basso vediamo come Foye, ha ben 3 opzioni offensive: la prima (in rosso) corrisponde allo scarico in angolo per un tiro piazzato dei vari Barton, Miller, Mudiay; la seconda (in blu) corrisponde ad un lay up rovesciato, magari con l’ausilio del tabellone (soluzione nelle corde di ogni playmaker o esterno dei Nuggets); la terza, la più ragionata e di conseguenza anche la più “difficile” da leggere in un attacco dai ritmi alti come quello di Malone, è il passaggio a centro area per Gallinari che può comodamente segnare due punti in mancanza di rotazione che dovrebbero arrivare dal lato forte che, spostandosi la palla, diventerebbe lato debole. Un attacco semplice ma spesso efficace, non a caso usato solitamente nei finali di gara dai Denver Nuggets.