LA LAVAGNA, Princeton Continuity Offense: i Cavaliers alla ricerca dell’attacco migliore
Nasce in Pennsylvania nel 1930, a Bethlehem, una cittadina che conta poco più di 70.000 abitanti. Il suo nome è Peter Joseph Carril, ma viene chiamato da tutti Pete. Solito bianco canuto, pochi capelli e un IQ cestistico probabilmente di un altro pianeta. La sua carriera da giocatore dura veramente poco e decide, così, di allenare. La strada non è semplice, in quegli anni si gioca una pallacanestro molto diversa da quella che vediamo noi oggi, con tecniche diverse, con interpreti diversi e con una visione del gioco in generale radicalmente asimmetrica rispetto a quella odierna. Inizia ad allenare nell’università della sua città, alla Lehigh University (7.000 studenti), vincendo 11 partite e perdendone 12. Matura in Pete un qualcosa che prima non si era mai visto, quella percezione che hai del gioco in maniera opposta ai tuoi colleghi. Si ma alla prima esperienza non si può già mettere in pratica una roba rivoluzionaria. Nel 1967 viene scelto dalla Princeton University, una delle più prestigiose università del mondo. Si trasferisce nel New Jersey dove vi rimarrà per la bellezza di 29 anni, potendo mettere in pratica e sperimentare la sua innovativa visione che, guarda caso, prenderà il nome di Princeton Offense. Tanti concetti di base, tanti principi fondamentali richiesti e tanta applicazione per uno degli attacchi più imprevedibili e “variabili” della storia del gioco. Non è un caso se, dopo il perfezionamento, anche coach Thompson a Georgetown e Rick Adelman nella NBA hanno utilizzato questo sistema di gioco. Tuffiamoci nella Lavagna e cerchiamo di capire tutto sulla Princeton Offense. Come si evince anche dal titolo, tra la parola Princeton e Offense c’è un concetto chiave per questo set offensivo, ovvero sia la CONTINUITA’. È un fondamentale sul quale coach Carril ha lavorato per anni, coinvolgendo ogni giocatore in campo (il famoso Tai Chi) e dando, appunto, sempre e costantemente continuità alle scelte e ai movimenti offensivi. Esistono 3 modalità di accesso a questo gioco: si può iniziare passando la palla su un lato del campo, si può cominciare direttamente dal palleggio e si può anche iniziare dal post alto. La varietà delle scelte, lo ripetiamo ancora una volta, sarà la prerogativa principale dello schema. Analizzeremo, per questioni di semplicità, la seconda opzione, ovvero sia l’inizio del gioco attraverso il palleggio.
Come vediamo dalle immagini, ci sono 4 giocatori sul perimetro e un solo lungo al di sotto della linea dei 7,25m. La prima mossa da fare per chi ha la palla, il play nella stragrande maggioranza dei casi, sceglie un lato del campo, possibilmente privilegiando la parte di campo dove è posizionato il numero 5. Scelto il quarto di campo da utilizzare, il playmaker palleggia in direzione del numero 2, al quale consegna il pallone (hand-off dribble). Non appena la palla viene affidata alla guardia, il centro sale in post alto, lasciando la profondità che si era guadagnato. Naturalmente, dopo l’hand-off, il numero 2 e il numero 1 si scambieranno posizione, con la point guard che si posizionerà sul lato, mentre la guardia salirà in punta. Simultaneamente, sia per tener coinvolti i due giocatori sul lato debole, sia per tenere occupati i relativi difensori, 3 e 4 si scambiano la posizione, costringendo la difesa a lasciare per un secondo gli occhi dalla palla. Il nuovo posizionamento, dunque, sarà: 1 e 4 sul prolungamento della linea del tiro libero, il 5 in post alto, mentre in punta avremmo i due esterni (2 con palla e 3). Da questo set si iniziano a intravedere le mille sfumature di un attacco molto complesso. Il 3 ha la possibilità di mettere in pratica quella continuità alla quale si faceva riferimento prima. La guardia, infatti, esegue un taglio back-door che è la prima soluzione per andare a canestro. Naturalmente l’efficacia dipende da tanti fattori, dal timing del passaggio, dalla posizione del difensore, dalla rapidità di gambe dei giocatori, dalle letture degli eventuali aiuti e non è detto che il passaggio debba essere obbligatorio. Nel caso in cui non ci fosse questo passaggio, l’ala (4) rimpiazzerà in punta, mentre il tagliante andrà ad occupare lo spazio del prolungamento del tiro libero. La palla, dunque, è ancora nelle mani del due che, come abbiamo detto, o serve il taglio back-door oppure il 4 che rimpiazza. Stesse posizioni ma a ruoli invertiti: 1 e 3 sul prolungamento, 2 e 4 in punta e 5 sempre lì. È il momento di muoversi anche per il centro che ha due possibilità: la prima è quella di portare un blocco cieco al 2 per consentirgli di prendere un vantaggio sul taglio seguente; la seconda, invece, è più semplice, ovvero sia cambiare solamente lato del gomito (passando da quello destro a quello sinistro). Ritorna ancora lo stesso concetto di prima in quanto se si riesce a servire il tagliante è bene, altrimenti il numero 1 rimpiazza il 2 e la guardia ritorna sul lato dopo il taglio. Supponiamo, dunque, che il passaggio non sia sicuro e che il 4 mantenga il possesso; il 5 si sposterà, cambiando lato del gomito, e avremo nuovamente la stessa identica situazione iniziale. Come in precedenza, quindi, abbiamo successivamente l’hand-off tra il numero 4 e il numero 3 (sul lato sinistro del campo nelle immagini). Il perno centrale dell’attacco ora diventa il 5 che non ha più due scelte ma deve bloccare per il 3 che riceve palla. Mentre su quello che in gergo viene definito lato forte accade ciò che abbiamo appena descritto, sul lato debole, ovvero sia quello opposto alla palla, 1 e 2 si scambiano posizione, per gli stessi motivi di cui sopra. In questa particolare situazione, dobbiamo specificare come il timing del roll del lungo e dello scambio di posizione tra gli esterni sia, ancora una volta, determinante. La particolarità di questo schema offensivo è la sua infinita applicazione; in altre parole, il Princeton Offense non ha una fine, non ha un momento in cui, se non riescono tutte le soluzioni viste prima, si attacca in maniera confusionale. Il gioco potrebbe andare avanti in eterno, fino a quando non si riesce a trovare quel passaggio smarcante, quel passaggio che serve l’uomo libero, quello spacing per creare lo spazio necessario per concedere un 1vs1. L’attacco dei Cleveland Cavaliers ha bisogno di questo tipo di gioco? Probabilmente sì, visto e considerato che al momento, non essendo il Princeton Offense la prima scelta d’attacco, si fa un abuso smisurato di semplici pick&roll. È giustissimo considerare ogni schema alla portata di quei grandissimi giocatori di cui dispone Cleveland ma le difese dopo 1, 2, 3 azioni sanno come adeguarsi e sanno come evitare le stesse conclusioni. La squadra, tra le altre cose, si presta perfettamente a questo tipo di soluzione offensiva, avendo Love in posizione di 4 con mani educatissime (sia tiro che passaggio) e avendo esterni rapidi, scattanti ed anche atletici. La continuità è quella che potrebbe far sbloccare definitivamente le intese tra i giocatori dei Cavaliers e non vi abbiamo mostrato un modo per farlo. Chiaramente, non pretendiamo di insegnare la pallacanestro a coach David Blatt ma è piuttosto eclatante, anche dopo la quarta sconfitta arrivata in nottata contro i Toronto Raptors, che c’è un problema.