LA LAVAGNA - 'Pindown special': Duncan e gli Spurs sulle orme di Russell e dei grandi Celtics
Red Auerbach e Bill Russell, co-protagonisti della dinastia Celtics degli anni ’60, non erano soliti comunicare granché. Per intendersi, ad allenatore e capitano, bastava uno sguardo. E Russel non era certo una di quelle superstar che gradisse avere sempre la palla in mano per risultare protagonista: anzi, la sua leadership si avvertiva ancor più forte in quelle giornate in cui a segnare erano gli altri, ma le giocate decisive per vincere la partita in difesa erano le sue. Tuttavia il vecchio Red nel suo playbook non aveva disdegnato di inserire un gioco per Russell: ‘Number Six’, così lo aveva chiamato. Pochi fronzoli, tanta sostanza e lo sfruttamento delle capacità del suo uomo migliore di occupare il centro dell’area dominandolo totalmente.
Nella Nba moderna qualcosa del genere è rinvenibile solo e soltanto in un altro contesto, con numerose similitudini rispetto all’originale. Non siamo più, però, nel freddo Massachusetts ma nel Texas, a San Antonio. Dove, da qualche anno le due principali coscienze cestistiche sono Gregg Popovich e Tim Duncan, eredi naturali di Auerbach e Russell. E se Duncan, proprio come Russel, è uno di quei giocatori che la differenza la fanno in silenzio, senza voler essere protagonisti ad ogni costo ma risultandolo comunque, anche Popovich, proprio come Auerbach, ha riservato un gioco speciale per il suo numero 21 preferito.
Il ‘Pindown special Duncan’, come tutte le cose che funzionano bene ha una struttura di base semplicissima. In condizioni normali si tratterebbe di una chiamata per sfruttare il movimento del secondo lungo che parte dal lato debole ma, spesso, può coinvolgere anche tutti e tre i ‘piccoli’ in campo in funzione di specchietto per le allodole. Il primo dei tre (generalmente Parker) è l’iniziatore materiale dell’azione che vede poi coinvolta la shooting guard in quintetto in quel momento, pronta a ricevere in punta e a scaricare immediatamente per il lungo proveniente dal lato debole o per il terzo del backcourt: a quel punto, con parte delle rotazioni difensive già parzialmente compremesse, gli avversari tendono a collassare su quest’ultimo perdendo totalmente di vista Duncan che, nel frattempo, sfruttando una serie di blocchi, si è portato all’altezza della linea del tiro libero pronto a ricevere per un comodo piazzato piedi per terra. Un inno al ‘massimo risultato con il minimo sforzo’, con l’ulteriore possibilità di un alto-basso con il secondo lungo (e quest’anno, oltre a Diaw, c’è Aldridge…fate vobis), o la riapertura per una tripla dall’angolo sul lato debole.
Tuttavia non è certo per questo che Duncan, solo in questa stagione, ha superato i 26 mila punti in carriera e scavallato quota 950 vittorie con la stessa maglia (record all time). Come per i Celtics di Auerbach e Russell, c’è di più, molto di più: c’è una cultura del lavoro che non conosce pause, c’è il rispetto per il sacro vincolo del gioco di squadra, c’è il rispetto del ‘noi’ prima dell’ ‘io’, c’è la voglia di (ri)mettersi in gioco sempre e comunque, a prescindere dal risultato, sempre a testa alta. Così ci si consegna all’immortalità: gli anelli sono ‘solo’ un dettaglio.
E se proprio si è al cospetto dell’ultima pagina del romanzo del caraibico più forte del mondo, consentitecelo: che bel finale!