LA LAVAGNA - I Blazers e la "Pistol": un'infinita varietà di "pallottole"
Dicendo “Pistol” e “Nba” nella stessa frase il primo pensiero, come è normale che sia, corre a Pete Maravich, l’immortale campione che, a cavallo degli anni ’60 e ’70, riscrisse i canoni di questo gioco che ci fa impazzire. Il suo soprannome era, appunto, “The Pistol”, per via di una peculiare caratteristica che, fin da bambino, gli aveva fatto assumere una posizione di tiro sui generis, partendo dal fianco: un movimento che ricordava l’estrazione di una pistola dalla fondina.
Da qualche anno, però, “Pistol” è anche il nome di uno dei giochi preferiti dai Portland Trail Blazers di coach Terry Stotts. Dall’esecuzione semplice solo all’apparenza, si tratta di uno schema dalle molteplici applicazioni, esperibile in qualsiasi fase della partita e con ogni tipo di quintetto, piccolo o lungo che sia. Una varietà che accresce sensibilmente il numero di “pallottole” del “pistolero” in panchina, che può così decidere come e quando “sparare” per colpire nel cuore della difesa avversaria. Ma vediamo nel dettaglio.
La prima variante è un possibile in situazioni di “small ball”, vale a dire senza la contemporanea presenza sul parquet dei due lunghi. Anzi, in alcune situazioni, la presenza del centro o dell’ala grande risulta del tutto superflua. Di base si tratta di un gioco a due tra le guardie, con un “consegnato” che consenta di andare a concludere rapidamente a canestro. A patto, però, che l’esecutore finale sia dotato di una grande velocità di base sul primo passo. In tal caso l’interlocutore ideale risponde al nome di Damian Lillard che, può scegliere, se prendere la linea di fondo proteggendosi con il ferro o penetrare centralmente. Senza contare che le successive rotazioni difensive potrebbero generare una situazione tale da liberare uno degli esterni per un comodo tiro perimetrale dal lato debole (Batum nome non a cas0). Che si opti per la prima, la seconda o la terza soluzione è fondamentale che tutto venga eseguito alla massima velocità possibile, senza che venga dato alla difesa il tempo di occupare il pitturato.
L’imprevedibilità, in ogni caso, è assicurata proprio dall’esterno che, in un’inedita posizione da “4”, oltre al ruolo di passatore, può svolgere la funzione di bloccante atipico (immagine a destra), consentendo al portatore di passare sotto al blocco e liberarsi per una comoda conclusione all’altezza della linea del tiro libero o, in alternativa, servire il compagno portatosi in angolo. Niente esclude, inoltre, la possibilità per la guardia di optare per il piazzato dalla media-lunga distanza, con uno spazio di tiro ragionevolmente ampio.
Ma cosa fare quando le linee di penetrazione sono occupate e gli avversari riescono a leggere la situazione? La contromisura sta nell’inserimento del lungo e nella sua capacità di capire quando e dove portare il blocco per lasciare campo libero al playmaker. In questo caso l’intelligenza cestistica, troppo spesso sottovalutata, di uno come LaMarcus Aldridge risulta fondamentale: portato appena poco dopo la linea che delimita l’area (immagine a sinistra), il blocco è in grado di generare non solo due conclusioni da tre relativamente comode (da parte del play o della guardia che sfrutta l’azione del bloccante) ma anche una possibile linea di passaggio per l’esterno che ha tagliato al centro del pitturato. Come detto il più adatto a eseguire un blocco di contenimento di questo tipo è Aldridge; certamente più di Robin Lopez, maggiormente a suo agio in situazioni di “pick and roll” classico e poco avvezzo ai movimenti senza palla oltre i 7 metri e 25. Non che il numero 42 non riesca a trarre qualche vantaggio da questo gioco: tutto dipende dall’altezza dove il blocco viene portato e non è raro vedere “RoLo” giocare a due, in rapidità, con il passatore del caso (saltuariamente Lillard, molto più spesso Matthews).
Come si può osservare varianti ed applicazioni della “Pistol” sono pressoché infinite. Trovare, di volta in volta, un giubbotto antiproiettile per questa Colt sempre fumante, è molto difficile.