La consacrazione
Kyrie Irving ha sempre portato con sé delle componenti di incompletezza, di incompiutezza che non gli hanno mai permesso di essere catalogato, come meriterebbe, tra le migliori point guard della lega. Fare una classifica dei giocatori che lo precedono sotto diversi punti di vista è impresa ardua ma ad inizio stagione Joe Boozell di NBA.com ha stilato una Top10 delle più forti PG della stagione. Il figlio di Drederick è solo all’ottavo posto, dietro a Steph Curry (1), Russell Westbrook (2), Chris Paul (3), Kyle Lowry (4), John Wall (5), Damian Lillard (6) e Mike Conley (7). Alla 8 c’è lui, davanti a Tony Parker (9) e Jeff Teague (10). Non ci permettiamo di mettere in discussioni gusti personali o analisi statistiche combinate che forse darebbero questo tipo di lista. L’opinione, o gli studi se preferite, di Boozell oggi li mettiamo da parte ma constatiamo una diffidenza che non riguarda evidentemente solo noi. Le condizioni fisiche precarie mostrate la scorsa stagione, le iniziali difficoltà nel giocare per la prima volta accanto ad una superstar come LeBron James sono componenti che vanno sicuramente ad appannaggio delle nostre “Teorie dell’incompletezza” (che in realtà appartengono al matematico Kurt Gödel). Conterà il giusto nelle valutazioni ad ampio raggio ma la sua mancata convocazione per l’All Star Weekend 2016 di Toronto denota come anche il sistema NBA non veda in Irving una personalità forte sulla quale poter far perno. Chi, invece, fa magicamente perno ormai da 5 anni a questa parte è la città di Cleveland. Arriva da prima scelta e si conferma tale, giocando in maniera straordinaria (ma nel nulla cosmico) per tutte le prime 3 stagioni senza una vera star accanto. La sua storia fa il giro del mondo per la sua complessità, per la sua peculiarità ma quello che nel frattempo è diventato Uncle Drew grazie ad una serie di fortunati spot della Pepsi non riesce a scaldare i cuori dei più scettici. I punti critici sono quelli che abbiamo citato in precedenza: condizioni fisiche non sempre eccellenti (non ha mai completato una stagione regolare da 82 partite), discontinuità in alcuni tratti di regular season, poca disponibilità a condividere con i compagni – non quelli di adesso, ma quelli di 3/4 anni fa – la palla, di cui è follemente innamorato, e infine una funzionalità all’interno di un sistema ancora sconosciuta a molti. E’ cresciuto, come quasi tutte le ultime prime scelte, in un contesto perdente e su questo aspetto si è spesso interrogata anche la lega ma senza cambiare i regolamenti. Far crescere giovani promesse in contesti in cui c’è poco da poter coltivare è un danno enorme sia per la lega, sia per i giocatori stessi, chiamati a ricoprire ruoli che forse ancora non gli competono del tutto.
La situazione finora rappresentata non è delle migliori ma con l’arrivo di James ci si aspettava un salto di qualità da parte di tutti i Cavs rimasti a roster dopo la LeBron Revolution, tra cui proprio Kyrie Irving. Il rendimento con LBJ accanto è indiscutibile: nella stagione 2014-15 segna 21.7 punti di media con 4.7 assist in 75 partite, viaggiando con più del 40% da 3, ma anche qui la sua integrità fisica viene meno. Si infortuna durante l’overtime di gara 1 delle Finals 2015 e chiuderà prima del tempo la sua comunque positiva stagione. Anche in questo caso, sensazione di stagione incompiuta. L’apporto che dà alla sua squadra quest’anno non è da meno: 19.6 punti a sera con 4.7 assist, numeri eccellenti che consentono ai Cavs di arrivare ancora primi in una Eastern Conference più agguerrita. E’ un altro il numero che preoccupa: 53, come le partite che ha giocato. La ripresa dalla rottura della capsula del ginocchio rimediata alle scorse finali è molto lenta e Kyrie ritorna a giocare solo a dicembre inoltrato, saltando la prima parte della regular season. Stagione nuovamente da punto interrogativo? No, stavolta non abbiamo avuto questa percezione. Non è sempre semplice specificare il momento in cui un giocatore compie un salto in termini qualitativi, vista la progressività del processo, della sua “metamorfosi”. Eppure con Kyrie ogni tipo di ragionamento sembra essere diverso, quasi come il suo gioco in campo: rapsodico, spesso fuori da ogni logica, forzato ma sempre efficace. Abbiamo ancora negli occhi l’incredibile performance di gara 5, una prova di forza di volontà for the ages: 39 minuti e spiccioli sul parquet, 41 punti con 7 errori dal campo su 24 tiri, un preciso 5/7 dall’arco dei 7.25, percorso netto ai liberi (2/2), 3 rimbalzi, 6 assist, 2 recuperi, 4 palle perse, 1 stoppata e un plus/minus di +20, il migliore dei Cleveland Cavaliers. Non è solo il differenziale di punti quando Uncle Drew è in campo a dirci chi è il vero MVP di gara 5, i numeri il più delle volte raccontano il giusto di una prestazione perchè non possono essere “pesati”, non cambiano valore in relazione al momento in cui sono stati messi a referto, in relazione al modo in cui sono stati realizzati. In quei 41 punti, distribuiti perfettamente tra primo e secondo tempo, c’è la voglia di un ragazzo di non smettere di sognare, di non permettere agli altri di avere la meglio in maniera così, senza lottare. La raffica finale, nella stretch run decisiva per l’allungo dei wine-and-gold, porta la sua indelebile firma, con un fallo-e-canestro (con tanto di imprecazione di Klay Thompson!), con un altro canestro in zingarata attaccando il ferro e con l’ennesima tripla in transizione che permette ai suoi Cavs di raggiungere il +13 ad una manciata di minuti dalla fine. La prestazione di Irving va oltre i 40 e passa punti, va oltre le magie in penetrazione, va oltre le triple e va oltre ogni immaginazione. La prestazione di Kyrie è quella delle definitiva consacrazione perchè in pochi possono vantarsi di aver segnato 30+ punti in 3 partite consecutive (30, 34, 41) ad una difesa come quella dei Golden State Warriors. Ma, come detto in precedenza, non contano i punti. Contano gli occhi, conta il comportamento e l’atteggiamento che si sceglie di avere in campo, da leader e da guida al primo elimination game della carriera. Queste sono le vere cose che consacrano un fenomeno come Kyrie Andrew Irving.