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Kobe, una vita per la pallacanestro che non finirà dopo stanotte

“Se mi vedete combattere con un orso, preoccupatevi per l’orso”. Basterebbe questa massima – una delle tante – ad individuare il tipo di persona. Sono convinto che in giro per il mondo esista una lingua comune, un moderno esperanto, capace di far interagire razze, culture, soggetti semplicemente diversi e lontani fra di loro. Una parola di questa lingua è sicuramente “Kobe Bryant”. Come un assioma, un postulato fondamentale. Come un apriporte, un lasciapassare capace di fare breccia in giro per il mondo. Dagli Stati Uniti (dove ha fatto fortuna) alla Cina (primo giocatore realmente globale a sfondare ad Est), dall’Italia (dove è cresciuto insieme a papà Joe) al Sudamerica (dove, insieme con Ginobili, è considerato una sorta di divinità maggiore).

Kobe Bryant è la pallacanestro
e la pallacanestro è stata per anni Kobe Bryant. Per 20 anni, più o meno, da quando il ragazzino con la numero 8 passava dall’high school ai Lakers – via Charlotte – fino a questa notte, l’ultima della sua vita sul parquet.

L’ultima? Si, perchè nell’infinito parallelo tra il Black Mamba e il Jordan che l’ha preceduto a mancare sono due cose: un sesto anello ed un ritorno dopo il primo ritiro. Certo, il paragone in entrambi i casi sarebbe inutile: innanzitutto perchè con questi Lakers il sesto trionfo è stato impossibile e poi perché per MJ il ritiro arrivò a 30 anni, con conseguente rientro nella NBA un anno e mezzo dopo. Il Kobe che stanotte attaccherà le scarpette al chiodo recita 38 anni sulla carta d’identità ed una carriera che non sembra fermarsi a metà, ma anzi aver dato tutto quello che aveva. Come per Jordan, però, si è sempre sperato un secondo rientro in Lega a 50 anni, sarebbe impossibile anche per Kobe non cullare un così dolce sogno.

Al di là delle speranze personali, va a chiudersi stanotte un percorso che sa di occasione rara. Quanti Kobe ancora ci capiterà di vedere sul parquet? Pochi. Talenti puri e caratteri paurosi, capaci di portarsi sulle spalle il mito di chi li aveva preceduti senza quasi sentirne il peso e provando ad emularne le gesta. Nessuno dei fenomeni attuali ci è ancora riuscito: non lo ha fatto LeBron a cavallo tra Cleveland e Miami, non lo ha fatto Durant ancora a secco di anelli, non lo ha fatto Curry per evidenti limiti temporali. 
Con Kobe se ne va una generazione che in NBA lascia ancora poche cartucce; alcune di queste le vedremo ai Playoffs tra pochi giorni (Duncan, Ginobili, Carter, Nowitzki), altre resteranno a guardare da casa e magari proveranno il prossimo anno ancora un’ultima occasione (Garnett), ma di quei ragazzi che hanno fatto faville a cavallo tra vecchio e nuovo millennio Kobe è stato farò, esempio, leader. 

Che sia con la 8 o la 24, il suo nome non smetterà di farsi sentire in giro per il mondo. Nell’eterno duello con Jordan, vorrà emularlo anche una volta che il parquet non sarà più primo pensiero. Una squadra da gestire? Un ruolo all’interno dell’organizzazione Lakers? Un Brand da portare avanti in giro per il mondo? Magari tutto insieme, perché Kobe Bryant è stato la pallacanestro e non vuole smettere di esserlo. Neanche dopo stanotte, quando la sirena finale farà calare il sipario sulla vita cestistica di uno dei più grandi cestisti della storia del Gioco.

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Salvatore Malfitano Classe ’94, napoletano, studente di legge e giornalista. Collaboratore per Il Roma dal 2012 e per gianlucadimarzio.com, direttore di nba24.it e tuttobasket.net. Appassionato di calcio quanto di NBA. L'amore per il basket nasce e rimarrà sempre grazie a Paul Pierce. #StocktonToMalone