Jordan vs Nba...trent'anni dopo!
Michael Jordan debuttò nella Nba nel 1984 e, per dirla con le parole del nostro commentatore preferito, “il meteorite impattò troppo forte”. Soprattutto per quel che riguardava l’aspetto commerciale. Non tanto e non solo perché il giovane MJ con gli endorsement e i numerosi contratti pubblicitari, guadagnava già più di Magic Johnson, Larry Bird e Isiah Thomas, allora al picco delle rispettive carriere.
Le memorie storiche più attente non faranno fatica a ricordare che la lega, agli inizi della carriera del suo giocatore più rappresentativo, intraprese una dura battaglia legale con il suddetto a causa del lancio della sua linea di scarpe, le famigerate ‘Air Jordan’ che andavano contro il dress code stabilito dal regolamento. Ad ogni partita in cui Michael sfoggiava le sue sneakers personali, faceva seguito una multa di diecimila dollari da parte della Nba; liquidata senza troppi problemi visti gli introiti derivanti dal remunerativissimo accordo con la Nike.
https://www.youtube.com/watch?v=ZSuvAuCyXzo
Poi con la progressiva liberalizzazione delle sponsorizzazioni personali ai giocatori più importanti e simbolici della Nba, la questione venne gradualmente a risolversi fino ad essere archiviata. Almeno fino ad oggi.
E’ di poche ore fa, infatti, la notizia che l’ascia di guerra possa essere nuovamente dissotterrata. E il motivo del contendere sarebbero di nuovo le scarpe della linea personale dell’ex stella dei Bulls nonché attuale proprietario degli Charlotte Hornets. Secondo quanto riferito da Darren Rovell di Espn, la lega avrebbe deciso che da questo momento in poi la Jordan non potrà più stipulare accordi con i giocatori che possano andare oltre le regole stabilite dal salary cap.
Spieghiamo. Attualmente, facendo riferimento al sito ufficiale dell’azienda dell’Oregon, nella Nba sono circa 27 gli atleti che calzano Jordan, tra cui Blake Griffin, Chris Paul, Russel Westbrook e Carmelo Anthony, oltre a Michael Kidd-Gilchrist (che ha recentemente firmato un quadriennale da 52 milioni di dollari) e Cody Zeller che di Jordan sono anche giocatori, in quanto membri del roster degli Hornets. E proprio il rinnovo di Kidd-Gilchrist avrebbe fatto drizzare le antenne a Silver e compagnia. Promettere la stipulazione di vantaggiosi accordi commerciali di sponsorizzazione sfruttando la linea Jordan, in aggiunta al salario percepito attraverso i normali contratti di prestazione sportiva, potrebbe teoricamente dare agli Hornets un indebito vantaggio sulla concorrenza nel mercato giocatori. Vantaggio che, con l’aumento del salary cap, inizierebbe ad assumere proporzioni preoccupanti.
Di qui la decisione che, in ogni caso, non ha avuto ancora il crisma dell’ufficialità. Non c’è da sorprendersi: negli Stati Uniti la regolamentazione sul libero mercato e sulla concorrenza sono particolarmente complesse e le cause di questo tipo possono durare anni. Senza contare che, dal punto di vista legale, Jordan si è dimostrato,se possibile, ancor più implacabile di quando calcava i parquet, come dimostrano gli 8.9 milioni di dollari recentemente ottenuti dopo aver portato in giudizio una catena di ristorazione colpevole di aver sfruttato indebitamente il suo nome.
Obbligatorio, perciò, porsi la domanda: regolamenti alla mano, converrebbe alla Nba, da sempre attenta all’immagine e agli aspetti commerciali legati allo sport, mettersi contro il giocatore che, più di ogni altro, ha contribuito a farla conoscere nel mondo?