IL SESTO SENSO: Steve Kerr, l'uomo giusto al momento giusto
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O amore dei giorni
Ritorneranno, o Beirut
I giorni ritorneranno. »
Così cantava Fairouz, conosciuta anche come “Nostra ambasciatrice presso le stelle”, la pagina più bella della musica araba del ventesimo secolo. Malcolm Kerr lavora per conto del governo americano a Beirut, nei terribili anni della guerra civile Libanese, dove verrà poi assassinato nel 1984. Porta con se il figlioletto Stephen Douglas, che proprio un anno prima del crimine commesso da un militante nazionalista libanese era stato scelto per il College di Arizona University. La storia di Stephen, conosciuto anche come Steve, è simile a quella di Beirut, la città in cui è cresciuto. Messa in pericolo, bombardata, distrutta dalla guerra civile, in pochi anni è tornata ad essere la capitale economica e sociale del Vicino Oriente. Hanno provato a fermarlo in ogni modo, Steve Kerr. Per la sua stazza, non da NBA dicevano. Per la sua personalità, quando per metterlo alla prova gli fecero fare un test match 1vs1 contro uno quasi della sua età, della sua stazza e bianco come lui. Perse malamente, peccato che quello era un certo John Stockton. Fu scelto nel 1988 anonimamente al secondo giro da Phoenix, che l’anno dopo si liberò di lui mandandolo a Cleveland. Parentesi incolore, come quella successiva ad Orlando, e poi l’approdo ai Bulls. Come in tutta la storia di Kerr, si parte da una ricostruzione. E non esiste ricostruzione più difficile di quella dopo il ritiro di Michael Jordan. Dopo due stagioni transitorie, però, Jordan torna e Chicago gioca una stagione da record con 72 vittorie e 10 sconfitte, e Kerr strameriterebbe il titolo di miglior sesto uomo, vinto poi da John Starks dei New York Knicks. Quella stagione, in cui arriverà il titolo contro Seattle, è celebre anche perchè durante una lite in allenamento, Jordan colpì con un pugno in faccia Steve Kerr. Jordan arrivava al campo in Rolls Royce e Steve Kerr in metropolitana, si passavano tanti centimetri e tanti chili. Ma Steve non ebbe paura,e fu lì che conquistò a pieno il rispetto di Michael. Alle Finals dell’anno successivo contro Utah, nel momento in cui Malone, Stockton e compagni credevano di poter mettere le mani sul titolo, Jordan (triplicato ossessivamente) si fidò di Kerr, appostato in angolo. Il ragazzo di Beirut, quello sempre denigrato e scartato, a cui era stato assegnato il ruolo di comparsa a vita, diventa improvvisamente protagonista prendendosi la scena e decidendo un titolo NBA. Ne arriverà un’altro l’anno successivo. Nella stagione 1998-99 Chicago perde Jordan e vuole rifondare. Pensa innanzitutto di disfarsi di Steve Kerr, ritenuto vecchio ed arrivato. E’ l’ennesima rivincita di Steve contro chi non ha creduto in lui. Firma per i San Antonio Spurs e vince il titolo, il primo per la franchigia, al primo tentativo. E’ il quarto trionfo consecutivo, mai nessuno aveva vinto con questa continuità dai tempi dei Boston Celtics di Bill Russell. Dopo una breve parentesi a Portland, torna agli Spurs. Sembra un ritorno di quelli romantici, che hanno poco a che fare col basket giocato. Ma Steve,a 38 anni suonati, ha ancora voglia di stupire e in finale di Conference nel derby Texano contro Dallas mette un altro canestro decisivo, risultando il vero uomo in più di Coach Popovich. Arriva il quinto titolo. E’ il suo canto del cigno, e come tutti i più grandi lascia da vincente. La sua grande conoscenza del gioco è testimoniata dal fatto che sarà un apprezzatissimo commentatore di TNT, poi diventerà presidente di quei Phoenix Suns che l’avevano scelto al Draft 1988, dove guida la squadra dei 7 seconds or less di Mike D’Antoni e del duo Nash-Stoudemire, e nel 2014 diventa capo allenatore dei Golden State Warriors di Steph Curry e Klay Thompson. Una carriera passata a rincorrere, a rialzarsi, a far ricredere chi non credeva in lui, a stare dietro le quinte aspettando il suo momento e potendo contare solo sulle sue forze. Aveva il genio nelle mani ma soprattutto nella testa. D’altronde non si diventa 5 volte campione NBA e Head Coach con il miglior record della lega al primo anno se non si ha dentro qualcosa di speciale. Come una fenice in grado sempre di rinascere dalle ceneri e spiccare il volo. Come cantava Fairouz.