IL SESTO SENSO: "Big Shot Rob" Robert Horry
Sembrerebbe assurdo inaugurare una rubrica che parla del Sesto uomo, ovvero di quello che in teoria sarebbe un panchinaro, raccontando di Robert Keith Horry. Giocatore ad avere più anelli senza militare nei Celtics degli anni 60, ben 7, unico giocatore insieme a John Sailey(ex Bad Boy dei Pistons di Isiah, compagno di Jordan ai Bulls e compagno proprio di Horry ai Lakers nel 2000) ad aver vinto anelli in 3 franchigie diverse. Altezza da centro, mani da point guard,difende che è una bellezza ed ha la freddezza di un serial killer. Dopo aver frequentato il college di Alabama viene scelto da Houston alla 11 nel draft del 1992. Ai Rockets vince i primi due titoli partendo in quintetto da ala grande,decide la gara 1 della finale della Western Conference con un tiro a 6 secondi dalla fine contro i San Antonio Spurs e gara 3 della finale NBA contro i Magic a 14 secondi dalla fine. Gioca con Hakeem Olajuwon, che considererà il più grande centro della storia (nonostante abbia giocato e vinto con Shaq e Tim Duncan). Poi i Rockets lo scambiano con i Suns per prendere Charles Barkley, ma la sua avventura in Arizona dura pochissimo,e viene girato ai Lakers. Alla prima stagione si presenta stabilendo un record di 7 triple senza errori in una partita play off. Al terzo anno vince il primo titolo da sesto uomo. Per Phil Jackson non è importante chi inizia la partita,ma chi la finisce. Giocare contro le riserve avversarie gli consente di dominare in difesa ed essere micidiale in attacco. E nei finali di partita, il suo terreno di caccia preferito, con le difese avversarie concentrate su Shaq e Kobe gli lasciano spazio e lui raramente perdona. Nel 2001 uno stellare Allen Iverson e i suoi Philadelphia 76ers ricevono i Lakers sull’1 a 1 nella serie finale per tentare l’allungo decisivo,dopo la leggendaria partita di The Answer da 48 punti allo Staples. E proprio con la partita in bilico e Shaq in panchina per falli, la palla arriva ad Horry che infila la tripla, facendo esplodere il commentatore americano nel soprannome che lo accompagnerà per tutta la carriera,Big Shot Rob. Ma il massimo capolavoro di Robert avviene un anno dopo, nella finale della Western Conference contro i Sacramento Kings,prima squadra della lega in Regular Season. La serie è accesissima, la tensione si taglia a fette. Stojakovic,Divac e compagnia conducono 2 a 1 e dominano per 4 quarti allo Staples. I Lakers sono sotto di 2 quando ad un secondo dalla fine Divac stoppa Shaq, la palla va in angolo da Horry che infila la tripla e tiene vivi i gialloviola,che vinceranno alla settima una gara contestatissima con le dichiarazioni dell’arbitro Donaghy che disse di aver favorito i Lakers e le canotte gialloviola bruciate all’ARCO Arena. Ancora cambio canotta, stavolta la neroargento di San Antonio,per stare più vicino ai familiari. Ma il risultato non cambia. Ancora finale NBA,contro i Detroit Pistons dei Fab Four di Larry Brown. Gara 5 è quella che gira la serie,e su assist di un altro grande sesto uomo, Manu Ginobili,Horry infila la tripla a 6 secondi dalla fine e zittisce tutto il Michigan. Ancora Big Shot Rob. Si potrebbe parlare di lui come record di presenze nei Play Off,record di triple messe nelle finali, come primo a raggiungere 100 rubate,stoppate e triple in una stagione. O che insieme a Rodman e Harper è stato l’unico a fare due back to back con due squadre diverse. O che con Steve Kerr (altro grande sesto uomo) si è diviso i titoli di un intero decennio. Ma la verità è che i numeri quasi offendono la grandezza di questo giocatore. Era un giocatore normalissimo nella regular season, totalmente a disagio in un All Star Game,restio alle telecamere e alle prime pagine,sornione e quasi timido nei primi 3 quarti. Ma quando il gioco si fa duro,inizia a giocare Mr Clutch. Ti entrava sottopelle in difesa, era spietato in attacco. Gli bastava un attimo ed un millimetro, ed amava essere sottovalutato. Era un principe nello scegliere il momento scenico. I fischi lo caricavano, le mani in faccia dei difensori e il tempo che scadeva lo rendevano invincibile. Umile senza essere mai succube, leader senza essere mai oppressivo. E se i compagni non sapevano a chi darla all’ultimo possesso, e che problema c’è, BIG SHOT ROB!