Il curioso caso di Ricky Rubio e del suo "Guru Shooting" Mike Penberthy
Potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta: c’è uno spagnolo, un guru e i Minnesota Timberwolves. No, non vogliamo raccontarvi nessuna barzelletta ma semplicemente una storia che ci ha incuriosito particolarmente. Ricard Vives Rubio, che forse molti di voi conosceranno meglio col nomignolo di Ricky, si rende eleggibile per il draft del 2009, dopo molti rumors che lo vedevano bene dall’altra parte dell’oceano a sfornare quei cioccolattini che hanno fatto impazzire prima i tifosi della Joventut di Badalona e poi quelli del Barça. La scelta, in verità, non ha dei nodi problematici così semplici da risolvere: il suo contratto con Badalona scade nel 2011 e il buyout è fissato a 5.7 milioni di euro, non proprio spiccioli. Nonostante tutto, nel 2009 i Minnesota Timberwolves decidono di sceglierlo alla quinta chiamata assoluta ma per la regola NBA che nega ad una franchigia di pagare una somma superiore ai 500.000 dollari per liberare un giocatore, Ricky resta in Spagna, trasferendosi con i blaugrana, firmando un contratto di 6 anni con la solita clausola NBA Escape. Il 17 giugno del 2011, il playmaker iberico annuncia che nella stagione prossima vestirà finalmente la maglia dei Minnesota Timberwolves, lasciando prima del previsto la sua terra natia. Ed è proprio qui che inizia la nostra storia, con la sua avventura oltreoceano, in quella lega che secondo molti era perfetta per un giocatore fantasioso, visionario e spettacolare come lui. Flip Saunders freme per averlo a disposizione e per mostrare a tutti quegli addetti ai lavori miscredenti che aveva ragione e che sceglierlo così in alto era un rischio che valeva la pena correre. Risultati iniziali? Modesti, molto modesti, per non scendere in quel senso di delusione che siamo sicuri abbia toccato più e più volte tifosi e dirigenza dei Timberwolves. I problemi non sono tanto nelle medie, perchè nonostante le difficoltà da rookie che Rubio ha avuto, parliamo di 10.6 punti, 4.2 rimbalzi e 8.2 assist di media a sera, per un totale di 41 partite giocate (31 da titolare). Ciò che più preoccupa sono le scelte, le percentuali al tiro, la pericolosità che il giocatore in sé può incutere negli avversari. Dopo un sostanzioso numero di partite, i coach avversari decidevano di “battezzare” (ovvero sia lasciar più libertà di tirare) Ricky, escludendolo quasi dal gioco. La sua miglior caratteristiche negli anni spagnoli era quella di saper inventare qualcosa di straordinario nel momento di massima pressione, nel caos più totale, nella confusione di un’area pitturata affollata magari. Con le nuove scelte tattiche degli avversari, dovute a percentuali scadenti (36.3% da 2 e 34% da 3), Rubio prendeva sempre più le sembianze di un oggetto misterioso in casa T’Wolves. La storia non cambia nelle stagioni seguenti: stessi lampi di gran gioco, di una eccellente visione ma poca incisività, poca considerazione difensiva degli avversari nei suoi confronti. Lo spazio che gli veniva concesso era tanto e quel vantaggio apparente che aveva veniva sfruttato quasi nel peggiore dei modi. La strada NBA è fatta di ostacoli, problemi, difficoltà, etichette, e quando vieni definito o appunto etichettato in un certo modo, non c’è cosa più difficile di scrollarsi quella immagine che tutti hanno di te.
Dopo stagioni anche più mediocri della prima che vi abbiamo descritto, le voci sul conto del piccolo Ricky viaggiano velocemente, passando dalla voglia di cambiare aria fino ad arrivare alla probabile cessione. Rumors o non rumors, la stagione iniziava decisamente in salita per Rubio, come forse non aveva mai iniziato. Critiche su critiche, anche da parte di quegli stessi tifosi che lo osannavano, probabilmente stanchi di vedere sì spettacolo ma chance di vittorie che rasentano lo 0. Lo scambiano, lo tengono, rifondiamo da lui, rifondiamo dai soldi che potremmo guadagnare con la sua cessione. Questi sono stati gli interrogativi più importanti che ha dovuto affrontare Flip Saunders che, intanto, dalla scrivania di presidente è sceso più in basso, per rivestire i panni da head coach. Questo passaggio è stato fondamentale per capire le dinamiche interne della squadra e per operare in maniera più giusta e più efficiente sul mercato. Dopo l’addio di Kevin Love, trasferitosi a Cleveland in cambio di due prime scelte come Anthony Bennet e soprattutto Andrew Wiggins, il presidente-allenatore si è dovuto risedere con lo staff per capire da chi e in che modo ripartire. La scelta, dura da prendere proprio alla luce di quelle voci che ronzavano attorno a Ricky da parecchio, non è stata semplice, ma alla fine si è deciso di ripartire proprio da Rubio. Arriva una superestensione del contratto, un quadriennale da 56 milioni di dollari. Putiferio mediatico e non: un giocatore che tira col 37% dal campo in 4 stagioni NBA e che segna 10 punti a partita vale 56 milioni di dollari? La risposta non dobbiamo farla noi, per fortuna. Fatto sta che per la maggioranza i soldi spesi per rifondare la franchigia partendo proprio dal playmaker spagnolo sono davvero eccessivi. Leggere sempre gli stessi commenti, per giunta quasi sempre negativi, non ha aiutato il talento di El Masnou. Nella stessa estate dell’estensione del contratto, parliamo quindi del 2014, Rubio ha scelto di allenarsi duramente con quello che lui stesso definisce GURU SHOOTING. Questa persona, ex campione NBA con i Los Angeles Lakers della stagione 2000-2001 e visto in seguito anche in Italia con le maglie della Snaidero Udine, della Bipop Reggio Emilia ma soprattutto con la maglia della Pompea Napoli, risponde al nome di Mike Penberthy. Le sue doti di eccelso tiratore non le scopriamo oggi, soprattutto per chi, come detto, ha avuto modo di poterlo vedere dal vivo nel nostro Paese. Probabilmente uno dei tiratori più incredibili ed efficienti passati nel nostro campionato. In 6 stagioni in Italia, Penberthy ha chiuso con il 50.6% da 2, il 42.9% da 3 (arrivando fino al 52.3 con la Snaidero Udine) e il 91.9% ai liberi. Per quel concetto di “Guru Shooting” ci siamo ampiamente. Nel mese di luglio, dunque, Ricky Rubio decide di lavorare “privatamente” e intensamente con Mike, il suo nuovo guru. Quando ritorna nel centro di allenamenti di Minneapolis, i miglioramenti sono incredibili. Alla domanda di molti compagni di squadra e del suo stesso coach riguardo il suo nuovo tiro, la risposta di Rubio è stata “It’s easy: Mike Penberthy!“. Flip Saunders lo contatta e lo inserisce immediatamente nello staff della squadra. E’ un’occasione da non farsi scappare.
Dopo due settimane dall’inizio della RS, Ricky Rubio si sloga la caviglia ed è costretto a restare lontano dal campo per quasi 3 mesi, un tempo infinito per chi ha da poco assimilato nuovi concetti, nuovi movimenti e nuove tecniche. Ma tra una seduta terapica e l’altra, continuava il costante lavoro con Mike, per rendere quel nuovo movimento ancora più efficace, ancora più pericoloso ed incisivo. All’inizio del lavoro estivo, Penberthy ha capito subito qual’era il lato negativo del tiro di Rubio. Non i piedi, non il gomito, non il movimento di polso, non il rilascio della palla ma l’aspetto mentale del giocatore. Egli stesso ammetterà: “Il primo ostacolo di Ricky è stata la sua mente. Quando si legge per molto tempo che non sei un buon tiratore ci inizi a crede, non ti importa più quanto tu possa essere realmente forte. Inizi a dubitare di te stesso. E’ la paura di fallire il lato psicologico sul quale lavorare. Questa paura si traduce nel linguaggio del corpo e nel modo di tirare. Cambiare mentalità significa cambiare il linguaggio del corpo e far abituare la mente a ciò che è corretto“. La scorsa settimana è tornato in campo, quasi in sordina dal punto di vista mediatico ma non dal punto di vista cestistico. Dopo questo ulteriore lavoro invernale, i miglioramenti sono sotto gli occhi di tutti. Anche il suo coach ammette che questi cambiamenti hanno rivoluzionato tutto: “Il suo tiro è stato praticamente rifatto. Potremmo guardare indietro di un anno e accorgerci che questo stop di 3 mesi sono stati fondamentali per lavorare ancora sul suo tiro, per diventare un tiratore costante“. Le parole le porta via il vento mentre i fatti restano. I fatti sono testimoniati dai numeri che abbiamo come supporto: da quando è tornato, Rubio tira con una percentuale che sfiora il 44% dal campo e nelle ultime 3 gare ha realizzato 3/5 da 3 punti, soluzione che in precedenza veniva considerata davvero troppo poco. Se non siete ancora convinti di tutto ciò, chiedete ai Memphis Grizzlies che, venerdi scorso, hanno lasciato il Target Center con il referto di colore giallo, dopo la sfuriata finale di Ricky con due canestri da 3 punti decisivi negli ultimi 35 secondi di gara. Anche i numeri che ci fornisce la NBA, anche se su un campione ridotto di 8 partite, sono più efficaci di quanto si pensasse: Rubio tira con il 42.5% in situazioni di catch-and-shoot e con il 48& in situazione di pull-up jumper. La scorsa stagione le stesse identiche statistiche si aggiravano sul 34% e sul 28%. Se questo è il nuovo Rubio e se riesce a mantenere quella integrità fisica e quella costanza che latitano da un bel po’ di tempo, i Timberwolves sono da tenere d’occhio fino alla fine della RS non tanto per i PO ma per ciò che può nascere già in vista del prossimo anno.