ICYMI - Last call, last ride
Se esiste realmente un popolo che per antonomasia è “senza storia” è proprio quello americano. La gioventù di una civiltà non è tanto un dato anagrafico, non si misura in anni e nemmeno in battaglie. La storia, per quanto breve possa essere, rimane storia e la sua importanza la riscontriamo ogni giorno, nelle piccole cose, nei nostri gesti, nelle nostre parole. Se partiamo da due assiomi di incalcolabile interesse, però, la questione ci accompagna in una direzione diversa, proprio dove vogliamo andare. Se sono vere le parole di Robert Anson Heinlein, cioè che “una generazione che ignora la storia non ha passato né futuro“, allora potremmo considerare gli attuali Stati Uniti d’America una terra senza futuro, senza prospettive, senza una minima coscienza dei giorni che verranno. L’autore americano di inizio ‘900, scomparso nel lontano ’78, dovrebbe ammirare la sua patria ora, per redimersi quasi all’istante. E poi c’è il secondo assioma: “La storia è scritta dai vincitori“. Quasi per assurdo queste due concezioni sembrano essere molto distanti tra loro ma in un certo qual senso ci aiutano ad inquadrare il nostro personaggio. Perché parliamo di un vincente, perché parliamo di una mente superiore, perché parliamo di uno che ha scritto la storia dello sport moderno, uno che conosce la parola sconfitta ma la “pratica” veramente molto poco. Se è vero, allora, che la storia la scrivono i vincenti, aspettiamo di trovarci nei prossimi libri di storia Michael William Krzyzewski. No, non vi riempiremo di numeri, perché i numeri risultano quasi offensivi per questo genere di personalità. Un luminare: studia e si laurea nel 1969 a West Point e, naturalmente, gioca per la U.S. Military Academy. Servirà ancora l’esercito, per altri 6 anni, in concomitanza con la sua prima esperienza da allenatore a Indiana University. Nel ’75 ritorna letteralmente alla base e ha il suo primo incarico da capo allenatore a West Point. Cinque anni più tardi, Duke. La storia potrebbe fermarsi qui perché ora, alla Sir Alex Ferguson, siede ancora su quella panchina e catechizza i suoi allievi proprio come li catechizzava 35 anni fa. Non è cambiato nulla. Campionati vinti, record infranti, inserimenti nell’Hall of Fame dei grandissimi e del College basketball sono solo delle piccole tacche sulla sua infinita cintura. E poi ci sono le medaglie. Dal 1979 è in orbita Team USA, prima come assistente, poi come consulente speciale e poi HC fino ad oggi, o meglio fino al prossimo anno. Una vita data per la bandiera americana, una vita fatta di W e pochissime L, riconosciuta da tutti, avversari compresi.
Qualche giorno fa l’annuncio che oltreoceano aspettavano già da qualche tempo: “Ora lo posso dire con certezza. Rio 2016 rappresenterà la mia ultima apparizione come allenatore di Team USA. È una decisione definitiva. Penso sia giunto il momento di andare avanti. Durante la prossima stagione ci saranno una serie di decisioni da prendere riguardo il futuro di Team USA sia per il roster che per l’allenatore. Le mie decisioni ora riguardano esclusivamente i giocatori da convocare per i giochi olimpici poi la Federazione sceglierà l’allenatore migliore, che venga dalla Nba o dal campionato universitario, perchè si continui a vincere“.
C’era ai tempi del Dream Team del 1992, c’è stato ai tempi del Reedem Team del 2008, c’è stato quando la sua squadra ha fallito in Grecia, c’è stato quando c’era da festeggiare con i più forti e con i meno forti, quando c’erano i migliori dei piani alti e i migliori dei piani bassi. Ha visto crescere in nazionali talenti sconfinati, aiutandoli anche in termini di mentalità, non solo di tattica e di tecnica. Ha lavorato accanto a tutti i migliori giocatori che la storia del Gioco riesca a ricordare, dagli anni ’80 in poi. Ma la domanda che sorge spontanea ora è: “Chi parteciperà alla sua prossima e ultima corsa? Chi risponderà alla sua ultima chiamata?”. Una sicurezza c’è e sarà una delle più belle emozioni che questo sport ci ha regalato negli ultimi anni: usciranno di scena insieme un vincente come coach K e una leggenda come Kobe Bryant. E uno mettiamolo da parte (insieme ai miliardi di kleenex che serviranno quel giorno). Dopo un piccolo ma percettibile ridimensionamento tra la squadra di Londra 2012 e Spagna 2014, ci si chiede chi realmente vorrà onorare la carriera di coach K con la sua presenza, chi vorrà far parte dell’ultima spedizione di Mike Krzyzewki. LeBron James? Kevin Durant? Il suo pupillo Anthony Davis? Siamo in un’epoca in cui non decidono più gli allenatori, in cui gli impegni e le fatiche fisiche si sono moltiplicate, in cui sono gli stessi giocatori a rendersi disponibili per portare in alto i colori della loro bandiera. Assistere ad un mix dei migliori giocatori che coach K ha avuto a disposizione nelle ultime 4 edizioni (tra Campionato del Mondo e Giochi Olimpici) sarebbe la miglior conclusione, sarebbe l’ennesima dimostrazione di stima e rispetto per un uomo fuori dal normale. Vi avevamo promesso zero numeri ma uno dobbiamo fornirvelo per forza: è l’1, come il numero di sconfitte di coach K sulla panchina di Team USA. La nazionale statunitense, infatti, è 75-1 nel conto di vittorie/sconfitte e occorreranno i migliori per permettere a Michael William Krzyzewski di andare in pensione tranquillo e orgoglioso.