I Warriors che non ti aspetti: ora non si può più sbagliare
Dopo una regular season storica, conclusa con il nuovo record di 73 vittorie, e dei Playoff filati, bene o male, via lisci (eccetto che per i patemi dovuti al doppio infortunio subito con i Rockets da Curry), nessuno, pur consapevole della forza e della pericolosità di una squadra come i Thunder, si sarebbe aspettato di vedere i Warriors ad un passo dal baratro. Tutti si aspettavano una reazione dopo la scoppola subita in Gara-3 (105-133); invece, la Chesapeake Energy Arena di Oklahoma City si è trasformata nuovamente in una valle di lacrime per Kerr ed i suoi ragazzi, con una nuova, pesante sconfitta (94-118), che getta un ambiente fino all’altro ieri pieno di convinzione e fiducia nei propri mezzi, nello sconforto più totale. Come sottolineato dal vincitore del premio di COTY 2016, i Warriors dovranno vincere (per forza) Gara-5 alla Oracle, per poi cercare un’improbabile (allo stato attuale dei fatti) impresa in casa di OKC, e giocarsi tutto ancora in casa, in un’eventuale Gara-7.
Ma è tutto il resto a spingere al pessimismo. Innanzitutto, finora (9 volte in regular season e 3 volte in questi Playoff) GSW aveva sempre reagito ad un ko con una vittoria, più o meno roboante; stanotte, questa striscia si è interrotta. L’elemento difensivo preoccupa tanto Kerr ed il suo staff: non tanto per i 125.5 punti concessi nelle ultime due partite, quanto per il fatto di aver concesso 72 punti nel primo tempo nelle ultime due uscite, cosa accaduta una sola altra volta in stagione. In generale, ai Warriors non capitava dai Playoff 1972 (Semifinali di Conference) di perdere due partite di seguito in postseason con uno scarto superiore ai 20 punti (all’epoca, GSW perse Gara-2 e Gara-3 contro i Milwaukee Bucks per –25 e –28).
Fa riflettere, poi, come queste due sconfitte si somiglino. Ad un avvio sostanzialmente equilibrato, è seguito un primo forcing dei Thunder intorno alla metà del primo quarto, con un vantaggio oltre la double-digit; quindi, i Warriors, bene o male, tra fine primo periodo ed inizio secondo periodo sono riusciti a rientrare. Ed arriviamo al momento decisivo delle due partite, il momento dove OKC è scappata via senza più voltarsi indietro, ovvero la seconda metà del secondo quarto. Fa sensazione notare come in circa 16′ (sommando Gara-3 e Gara-4), i Warriors siano andati sotto di ben 40 punti (-25 e –15). L’unica variante la si è avuta nel prosieguo del match: mentre in Gara-3 non c’è stata la benchè minima reazione, con i californiani precipitati anche oltre i –40, stanotte, grazie ai 19 punti di Klay Thompson nel terzo periodo, i Warriors sono risaliti fino al –8. Ma ai padroni di casa è bastata una nuova accelerata per chiudere definitivamente il discorso.
Anche i singoli sono un problema, tra percentuali scadenti, nervosismo, problemi di falli e una caterva di tiri liberi concessi agli avversari (ben 40 solo stanotte). Ciò che balza all’occhio sono le difficoltà di Stephen Curry: se da un lato, con le due triple di stanotte, ha allungato a 48 la sua striscia di partite consecutive di Playoff, migliorando ulteriormente il suo record, dall’altro non si può negare che l’MVP stia attraversando una fase difficile, tirando male (6/20 dal campo e 2/10 da tre) ed estraniandosi dal gioco per tratti non brevi della partita, risultando poco incisivo anche in altri aspetti importanti del gioco. Discorso simile per Draymond Green, il quale sta soffrendo tantissimo Adams, risultando troppo nervoso ed incline all’errore (1/7 stanotte, con 6 TO), lontano parente del trascinatore che serve come il pane a Kerr e compagni. Concludiamo con il dato del plus/minus dei quintetti titolari, davvero impressionante: -70 per Golden State (ai quali si può aggiungere il –32 di Iguodala dalla panchina), +90 per Oklahoma City.