I Golden State Warriors ad un bivio: SMALL Ball o TALL Ball?
Entusiasmante, viva, intensa, fisica, al cardiopalma. E chi più ne ha più ne metta. Si potrebbe definire in altri cento modi diversi la spettacolare gara 3 svoltasi tra i Golden State Warriors e i New Orleans Pelicans. Una serie che grazie a tanti diversi fattori si sta dimostrando sempre più divertente, affascinante e soprattutto imprevedibile. Oltre ad offrire una qualità del gioco altissima, le due squadre contribuiscono in misura sostanziale ad offrire tanti spunti diversi, sia dal punto di visto spettacolare sia dal punto di vista tecnico-tattico. I due coach, infatti, stanno dando vita ad una sfida nella sfida, una partita a scacchi che al momento vede prevalere lo sfidante meno esperto, visto che a tutti gli effetti possiamo considerarlo un rookie. Ma il bello dei Playoff è anche questo, è veder cambiare le carte in un tempo brevissimo, è scorgere ogni piccolo dettaglio sul quale in poco meno di 48 ore una squadra intera ha riflettuto e ha lavorato. Tanti piccolo accorgimenti che rendono la gara successiva sempre diversa da quella precedente, dimostrandosi e attestandosi a livelli di pallacanestro altissimi.
La nostra analisi verterà proprio sulla sfida tra i due coach, così evidente e così esaltante nel terzo atto della serie che, nel frattempo, si è spostata in Louisiana. Le quantità di minuzie che sono cambiata da gara 1 a gara 3 sono tante, forse troppo per essere elencate ma la prima cosa che balza agli occhi è che Monty Williams ha deciso di cambiar passo: passeggiare contro i velocisti non aiuta e allora se non si può andar piano e gestire il famoso PACE factor (ovvero sia la gestione del numero dei possessi in una partita) tanto vale provare a correre quanto chi predilige questo tipo di gioco. L’esperimento di Williams funziona alla grande e grazie ad un Anthony Davis fenomenale, i Pelicans giocano un primo testo impressionante chiudendo a quota 63 punti realizzati. Tutta farina del sacco dei New Orleans? La risposta più corretta sarebbe “metà” perché dall’altra parte c’è una squadra quasi spiazzata da questa nuova strategia, da questo nuovo approccio e i numeri difensivi lo dimostrano. Anthony Davis attacca con regolarità con ogni arma che ha a disposizione (caratteristica che lo rende unico secondo Stephen Curry, NdR): prima in post basso, poi col jumper micidiale dalla media, in particolare dagli angoli, poi attaccando il canestro fronteggiando e andando forte a rimbalzo. Green, suo difensore designato, commette molto preste 2 falli e nel primo quarto è già costretto a sedersi. Kerr prova Iguodala ma i risultati sono miseri; Davis continua a macinare gioco e punti, mentre la miglior difesa della RS non riesce a porre rimedio ad un attacco in gran serata. La zona più vulnerabile è l’area pitturata, dove GS concede la bellezza di 42 punti, lasciando poco protetto il suo ferro e permettendo a giocatori come Evans e Cole di penetrare con una disarmante facilità. New Orleans va negli spogliatoi in pieno controllo della gara, mentre Kerr escogita qualcosa per dare una scossa ad una squadra che ha giocato un primo tempo sottotono, soprattutto nella propria metà campo.
Ed ecco che arriviamo alla situazione che vogliamo analizzare, quello che ci ha impressionato di più e quella che rende coach Kerr ancora una volta protagonista inaspettato di una gara che potrebbe decidere in parte la serie (sotto 3-0 nessuna squadra è riuscita mai a rimontare e a ribaltare il risultato della serie). Anche il terzo quarto scorre via, senza che i 10 giocatori inseriti in rotazione potessero porre rimedio al dominio dimostrato da Davis e da un Ryan Anderson che quasi non ti aspetti. Le percentuali restano altissime per i Pelicans e alla fine dei primi 36 minuti di gara il passivo per i Warriors è di 20 punti. La mossa di coach Kerr è chiara e serve soprattutto per dare quella scossa che non è arrivata nel corso del terzo quarto: si va in campo con lo SMALL BALL, ovvero sia il quintetto con tutti “esterni” e zero lunghi di ruolo. Infatti, l’allenatore di Golden State decide di schierare Livingston, Barnes, Barbosa, Green e Thompson (scegliete voi i ruoli) per affrontare lo stesso quintetto messo in campo da coach Williams (Holiday, Evans, Pondexter, Anderson, Davis). A 7 minuti dalla sirena finale i Warriors sono ancora sotto di 18 lunghezze e Kerr è costretto a mettere in campo Curry, anticipando il suo ritorno sul parquet. Da qui in poi cala letteralmente il buio sulle due fasi di gioco dei padroni di casa. Green, Barnes e Livingston prendono qualsiasi rimbalzo si possa prende in entrambe le metà campo e non a caso l’inerzia della gara gira su tap-in schiacciato di Harrison Barnes.
Gli “pseudo-esterni” (Livingston 201cm, Barnes e Green 202cm) riescono ad imporre il proprio gioco e gli esterni, quelli veri, dei Pelicans, come Anderson, Gordon ed Evans non riescono a tagliar fuori i rinati giocatori giallo-blu. Questa “contro-strategia” disorienta anche coach Williams che in un primo momento si affida a Davis ma, dopo più di 40’ senza sosta, il #23 dei Pelicans perde lucidità ed è costretto ad un paio di giri di riposo in panca. La partita gira, dunque, senza l’utilizzo di lunghi per coach Kerr che riesce a riaprire i giochi nel finale, tornando sotto la doppia cifra di svantaggio. Bogut ed Ezili guardano l’intero quarto finale dalla panchina, mentre Speights viene adoperato da Kerr soprattutto per la sua qualità dei blocchi, capaci di smarcare due killer come gli Slash Brothers. Il parziale nell’ultimo quarto è di 39-19 GSW ma sono altri i numeri che fanno impallidire: con un quintetto “Small Ball” viene catturata la maggior parte dei totali 22 rimbalzi offensivi e vengono realizzati ben 25 punti (su 30 finali) da seconda chance! L’esempio più lampante è il rimbalzo catturato da Livingston a 21.3 secondi dalla sirena finale con Golden State sotto di 4 lunghezze. Lo stesso Speights contribuisce con un rimbalzo offensivo fondamentale, prima di affidarsi ai pennelli che ha al posto delle mani Stephen Curry, il quale dipinge la parabola perfetta per il tiro che vale il pareggio e l’OT.
La partita, come detto, è completamente ribaltata: l’inerzia è completamente dalla parte dei Warriors quando terminano i regolamentari e chiunque si sarebbe aspettato lo stesso quintetto per proseguire sull’onda dell’entusiasmo e sulle ali della rimonta. Coach Kerr ancora una volta sorprende tutti e rimette in campo il TALL BALL, ovvero sia il quintetto con i lunghi di ruolo. Soprattutto ritorna Bogut, congelato in panchina per l’intero quarto periodo. Curry e Thompson in attacco la spiegano, aiutati anche da un Green che di li a poco abbandonerà il campo per raggiunto limite di falli, ma la partita difensivamente la vince proprio chi non ti aspetti, l’aborigeno scelta n°1 al draft del 2005. Andrew Michael Bogut. Con Green out e Iguodala in netta difficoltà contro Davis, Kerr affida l’alieno dei Pelicans all’australiano che lavora in maniera splendida contro di lui. Davis continuerà a segnare dalla media ma l’azione che decide la gara è lo sfondamento che nell’ultimo possesso subisce Bogut proprio contro AD23. Golden State fa sua partita e probabilmente serie ma Bogut con un OT di grande spessore “mette nei guai” il suo capo allenatore. La domanda sorge spontanea: Steve Kerr continuerà con lo Small Ball (ovvero sia con il quintetto senza lunghi e con esterni atipici) oppure ritornerà sul normale Tall Ball (con centri di ruolo come Bogut, Ezeli e Speights)? Solo gara 4 potrà risponderci.