Grizzlies, Noah: "Troppe feste a New York. Memphis perfetta per me"
Che l’esperienza di Joakim Noah ai Knicks sia stata fallimentare, soprattutto guardando a quelle che erano le premesse e le aspettative, è un eufemismo. Arrivato nella Grande Mela ad inizio Luglio 2016, forte di un contratto di quattro anni a 72 milioni totali, il giocatore franco-statunitense ha vissuto un biennio terribile, tra infortuni (53 partite appena all’attivo), sospensione per doping e diverbi con l’allora head coach di New York, Jeff Hornacek.
Messo fuori rosa, i Knicks hanno poi deciso di tagliarlo lo scorso mese di Ottobre. Il 4 Dicembre, quindi, ecco l’accordo con i Memphis Grizzlies, terza franchigia nella carriera NBA di Noah. Intervistato al The Chris Vernon Show, su The Ringer, su cosa sia andato storto nella sua avventura newyorkese, Noah ha risposto in maniera molto sincera.
“Non credo sia stata una cosa sola ad andar male, ma un insieme di cose” – spiega Noah – “Ma non ho intenzione di incolpare nessuno. Semplicemente non ha funzionato. Potrei guardarmi indietro e dire che ero pronto ad una città come New York, ma non lo ero, e devo convivere con una cosa del genere“.
“Non è semplicemente un discorso di pressione. Ad esempio, ricordo che, dopo la prima partita con i Knicks avevo in casa qualcosa come 60 persone. Troppo per me” – aggiunge il nativo proprio di New York – “Per un festaiolo come me era troppo giocare in una città come New York City; al contrario, credo che Memphis sia perfetta per me. A Chicago era la stessa cosa, ma essendo più giovane riesci a recuperare molto più in fretta“.
Noah torna sul suo passaggio dai Bulls ai Knicks: “E’ accaduto tutto molto in fretta. Sono passato dal giocare 30-35 minuti a partita con i Bulls, ad avere sempre più infortuni, uno dopo l’altro. Poi arriva questo affare pazzesco con i Knicks e, la cosa successiva di cui vieni a conoscenza, è che non giochi più e vieni cacciato dalla squadra. E’ stato un periodo folle e non ero sicuro di poter tornare nuovamente a giocare“.
“Non volevo che la mia carriera finisse così, non dopo quello che è successo a New York” – conclude l’attuale giocatore dei Grizzlies – “Mi sono fatto il mazzo e ho lavorato duramente nel corso della mia vita per diventare il giocatore di basket che sono diventato, e non volevo lasciare a causa di scelte politiche, per il fatto di essere strapagato o quant’altro. Voglio andarmene alle mie condizioni e voglio essere felice di competere e giocare a basket, perché è quello che faccio“.