Golden State Warriors, Durant: "Il titolo NBA per me è tutto"
La terapia olimpica l’ha guarito dalle critiche. Kevin Durant a Rio si è messo al collo il secondo oro a cinque cerchi della sua carriera, una terapia per un giocatore finito nell’elenco dei cattivi della Nba dopo la scelta di lasciare Oklahoma City per Golden State, il nuovo “Dream Team” con cui inseguire record e titoli che gli sono mancati nei primi 9 anni di carriera. Il 26 settembre comincerà ufficialmente la terza vita di KD in NBA: non più talentuosa matricola dei Supersonics o leader dei Thunder, ma stella nella galassia Warriors, una squadra che lo scorso anno ha vinto 73 partite battendo il record dei Bulls del ’96 ed è arrivata ad un successo dal titolo, con cui spera di togliersi quelle soddisfazioni che con Oklahoma City ha solo sfiorato.
“L’inseguimento al titolo NBA significa tutto – racconta KD durante il lancio della Nike Tech Fleece Collection autunno 2016 di Nike Sportswear -. Tutti i premi individuali sono fantastici, ma il basket è uno sport di squadra e l’obiettivo finale è quello di vincere il campionato non solo per te ma anche per la tua città, per la tua squadra, per la tua famiglia. Non vedo l’ora di provare quella sensazione con la mia squadra e continuerò a lottare per provarla”.
L’integrazione tra Durant e le altre star sarà fondamentale per i Warriors, sulla carta il super team del West con ambizioni di dominio simile alla passata stagione. L’MVP 2014 non sarà il leader di Golden State, anche se dopo 8 anni a OKC ha imparato cosa vuol dire: “Un buon leader è qualcuno che una volta era un seguace, che ha trovato un modello e ha imparato da qualcuno. È così che scopri quali sono le qualità che servono per guidare gli altri. Un leader mantiene il gruppo unito e forte attraverso l’incoraggiamento e il sostegno. L’incoraggiamento è la forza più grande che posso offrire come leader. Incoraggiandoli porto davvero un impatto positivo sui miei compagni di squadra. Li aiuto a dare il loro meglio ogni singolo giorno”.
Nella maturazione di Durant c’è l’esperienza maturata nei primi 9 anni di carriera. “È davvero difficile credere che siano già passati dieci anni da quando sono arrivato in NBA. E’ come se il draft del 2007 sia stato solo un paio di giorni fa – dice KD del momento in cui cominciò l’avventura tra i pro’ come seconda chiamata assoluta dietro Greg Oden -. È stato un viaggio divertente che voglio continuare. Ho imparato così tanto in questi anni e non vedo l’ora di scoprire che cosa succederà in seguito. Penso di essere cresciuto molto perché ho commesso degli errori. Ho affrontato alcune avversità e sono stato in grado di rialzarmi e imparare da esse. Penso che sia davvero l’unico motivo per cui sono ancora qui e sto ancora giocando. Vorrei continuare a diventare migliore e più forte”.
La parentesi di Rio è servita a riconciliarlo col basket. Nel torneo olimpico, KD è stato il miglior realizzatore di Team USA, mettendo in mostra tutto il suo sconfinato talento nei 30 punti in finale contro la Serbia, stesso bottino nella finale per l’oro di 4 anni prima: “Le Olimpiadi significano tutto per me. Si tratta di una straordinaria occasione, per sfruttare il mio talento atletico, per rappresentare il mio paese nei confronti di altri grandi atleti provenienti da tutto il mondo. Partecipare alle Olimpiadi, contro diversi Paesi, diverse credenze, diverse etnie, culture diverse, è molto divertente. Ti fa apprezzare davvero le capacità atletiche di tutto il mondo”.