Durant a ruota libera: "Agli Warriors ero ben voluto, ma non sarò mai uno di loro"
Dopo il grave infortunio al tendine d’Achille della gamba destra, rimediato in Gara-5 delle scorse NBA Finals contro i Toronto Raptors, Kevin Durant è impegnato in un lungo percorso di riabilitazione che, con elevata probabilità, dovrebbe vederlo tornare in campo soltanto nella stagione 2020/21.
Nel frattempo, KD ha lasciato i Golden State Warriors, con i quali ha vinto due anelli ed altrettanti titoli di MVP delle Finals, accasandosi ai Brooklyn Nets. Negli ultimi mesi si è scritto e detto tanto sui motivi che lo hanno spinto a lasciare la Baia; a fare chiarezza ci pensa il diretto interessato, in un’intervista concessa a J.R. Moehringer, di WSJ. Magazine.
“Sono arrivato ai Golden State Warriors desideroso di entrare in un gruppo, in una famiglia; e devo dire che mi sono sentito accettato sin da subito” – ha commentato KD – “Con il passare del tempo, però, ho cominciato a rendermi conto di essere diverso dagli altri ragazzi. Non in un’accezione negativa, però, solo riguardo le mie circostanze e come sono giunto nella Lega. Come se non bastasse, i media parlavano di noi sempre come KD e gli Warriors; era come se nessuno potesse accettarmi completamente“.
“Io non sarò mai come gli altri ragazzi di Golden State. Steph Curry, Klay Thompson e Draymond Green sono stati draftati; Andre Iguodala è stato l’MVP del primo titolo della loro dinastia; gli altri nella Baia hanno rivitalizzato le loro carriere” – aggiunge Durant – “Perché ho scelto i Nets? Negli anni, ogni volta che mi sono recato al Barclays Center i fan locali mi hanno sempre manifestato grande affetto, e ciò ha lasciato un forte segno in me. Inoltre, potrò giocare con Kyrie Irving, il mio miglior amico in NBA“.
La stoccata pesante, pesantissima, Durant la rivolge a tutto l’ambiente che circonda gli Oklahoma City Thunder: “C’è una specie di veleno tossico nell’aria quando torno in quella città. Non ho più parlato con nessuno da quando me ne sono andato, né con l’organizzazione né con il general manager; nemmeno staff e magazzinieri mi parlano, ce l’hanno con me. Davvero siamo arrivati a questo punto? Tutto perché ho lasciato una squadra e ne ho scelta un’altra?“.
Il nativo di Washington continua: “Ci sono state persone che sono venute a casa mia per distruggere i cartelli con cui mettevo in vendita la casa, altre che si sono fatte riprendere mentre bruciavano la mia maglia e mi insultavano in tutti i modi. Avrei voluto tornare in città e fare parte della comunità, ma non mi fido più di nessuno. Per questi motivi non sarò mai più attaccato a quella città“.
La chiusura è dedicata alla Lega: “Ci sono giorni nei quali odio davvero la NBA. Non sopporto il fatto che i giocatori lascino che il business della NBA e tutta la fama che ne derivi alteri la loro percezione del Gioco“.