Duello all'OH Corral: LeBron James vs Steph Curry
Se cercate tra le 100 città più famose degli Stati Uniti d’America, di certo non la troverete. Sulle mappe viene segnalata dalla fine del 1984, quando mamma Gloria mise al mondo, in condizioni piuttosto particolari, LeBron Raymone. Il prescelto, colui che nasce per cambiare il Gioco, colui che sarà chiamato a dominare la Lega più bella del mondo. Insomma, di nomi così significativi ad Akron, OH, non se ne vedono. Mentre LeBron è costretto a condurre un’infanzia non proprio felice, dormendo da amici e conoscenti perché non nella situazione economica sufficiente per permettersi un tetto sulla testa, nello stesso ospedale 3 anni dopo nasce, da papà Dell e da mamma Sonya, Stephen Wardell II, non propriamente un “prescelto” o un predestinato. Figlio d’arte, sempre ligio al dovere familiare e da sempre super tifoso di papà Dell che, intanto, con Jazz, Hornets, Bucks, Raptors e Cavaliers si mette in mostra per una spiccata dote: il tiro da 3 punti. Le vite dei due vanno avanti: il primo sempre sotto la luce dei riflettori, sempre carico di responsabilità, sempre al centro di tutto come fosse un evento mediatico in forma umana; il secondo, dal canto suo, sottovalutato, talentuoso ma non sufficientemente pronto fisicamente ad un dominio stile “LeBron” e soprattutto non sempre accondiscendente con i propri allenatori (vedesi Davidson College). Raccontare la storia di entrambi sarebbe straordinariamente interessante ma non è questo il momento più adatto. Le loro vite sono andate avanti in maniera piuttosto differente, tra successi, cadute, delusioni, sconforto e anelli. Le loro gesta le conosciamo: 2 anelli per LBJ, che nel frattempo è diventato il Re della Lega, 1 per il ragazzo d’oro, nel frattempo diventato MVP della stesa Lega, premio vinto già 4 volte dal figlio di Gloria. La domanda ora è: chi è il miglior talento di Akron, Ohio?
PERCHÈ STEPHEN CURRY – 40, 25, 53, 30, 31, 34, 24, 22, 28 e 46, per un totale di 33.3 punti di media. Potremmo giocarli al Superenalotto e diventare milionari ma il vero sogno è quello di essere come lui. Lasciate perdere l’MVP dell’anno scorso, perché siamo davanti ad un giocatore in continua evoluzione. La passata stagione l’ha giocata avendo un feeling con il gioco pari, non so, a 90/100. Sembrava perfetto e gli rimaneva solo un piccola salto da compiere. I numeri tendono a confermare questo miglioramento ma non dicono tutto. Dire che tira con quelle cifre, aggiungendoci il 53.2% dal campo, il 92.6% dai liberi, i 5.6 assist che distribuisce e i 2.6 recuperi a gara ci fa solo distogliere lo sguardo da un qualcosa che solo chi ha giocato a questo meraviglioso Gioco può capire. La strada che lo ha portato fin qui è stata sempre minata da ostacoli non così comodi da superare. Quando le sue caviglie erano praticamente marce, nessuno credeva che si potesse rialzare meglio di com’era prima. Quando Ellis lo oscurava per percentuali, punti, assist e altre classifiche nessuno poteva pensare ad una sua permanenza e una sua rinascita. Quando la franchigia non era ai fasti in cui si trova ora e, anzi, frequentava spesso i bassifondi della Western Conference, nessuno pensava che una sua crescita poteva far scaturire qualcosa di storico.
Eppure Curry (e non solo) è stato artefice di una storia che rimarrà per sempre come una delle più incredibili. Quando raggiungi certi livelli, come il “90” detto in precedenza, e non sei ancora contento perchè sai che puoi arrivare al 100, capisci che sei davanti a qualcuno di veramente speciale. Del resto, se il motto di una vita è I can do all things (tratto dalla Bibbia e di solito scritto con un pennarello sulle sue Under Armour) allora è lecito aspettarci davvero di tutto. Il confronto con LeBron non reggerebbe per diversi motivi, ma non si possono non considerare le fatiche doppie, se non triple, di un giocatore che non dotato di un fisico scolpito e marmoreo come quello di James. Il suo segreto? Molto semplice: Ahava the olam it nichashelet. Detto così probabilmente vi suonerà strano. E’ una frase ebraica tratta dalla prima lettera dei Corinzi che ha tatuata sul polso sinistro. La traduzione in inglese corrisponde a Love never fails ed è questo che spinge Curry ad essere unico, ad essere il migliore. Perchè Curry, dunque? Semplicemente perchè AMA questo gioco come nessun altro al mondo. Il suo sorriso mentre irride sportivamente gli avversari, il suo ghigno dopo una giocata incredibile, il suo costante ringraziamento al Lord che lo assiste sono tutti indizi che portano Curry a essere definito il miglior talento del mondo.
PERCHÈ LEBRON JAMES – Non c’è bisogno di nasconderlo. Se per un motivo o per un altro John Kasich dovesse dimettersi dalla carica di e si candidasse James, siamo quasi sicuri che il 70% dell Stato si fiderebbe di lui. La sua missione ha commosso il mondo, anche se non è stata completata, e il cuore che lo ha portato alla The Decision 2.0 e all’ I’m coming home gli ha permesso di tornare ad essere una divinità in quel di Akron. Dopo qualche ritorno da ex riempito dai “boo” di tifosi che avrebbero dato un rene per lui e che poi sono stati delusi in quell’estate del 2010, l’impresa sfiorata lo scorso anno proprio contro il suo rivale cittadino ha fatto accrescere ulteriormente il suo ruolo di leader anche a livello sociale in un territorio storicamente disagiato e pieno di problemi. Tutte le azioni di James sono rivolte a quella popolazione che da piccolo lo ha aiutato a diventare l’uomo che è, che fin dall’inizio gli ha mostrato riconoscenza senza voler nulla in cambio. Siamo più che convinti che fino a qualche anno fa il Re indiscusso di Akron era uno solo ma, ora, il regno di LeBron deve proteggersi dall’insediamento di un guerriero esile ma potente, sorridente ma spietato, amico ma sempre rivale. La forza di James sta in una leadership diversa da quella di Curry. Da un lato abbiamo Steph, silenzioso ma sempre influente, che ti trascina con la forza delle sue giocate, con la forza di chi sa coinvolgerti e metterti in partita. Dall’altro un leader che ama farsi sentire dai compagni, ama dar consigli, ama coinvolgere tutti in modo attivo, ama saper impostare tutto anche su un concetto gerarchico che prevede l’importanza di tutti ma la necessità di nessuno. I suoi Cleveland Cavaliers non sono 10-0 come i suoi avversari diretti per il titolo ma hanno perso una sola partita finora. Non è al top della forma, per sua stessa ammissione, ma i 25.3 punti che regala a sera, i 6.6 assist che distribuisce ogni volta che allaccia le sue scarpette e i 2 recuperi abbondanti sono sintomo di una volontà che va oltre ogni ostacolo.
Questo è, forse, il segreto di LeBron James: avere dei limiti e superarli, avere degli obiettivi e raggiungerli, in ogni modo possibile. E se non si riesce nei propri intenti, riprovare, riprovare e riprovare fino a rompersi la testa. Se è vero che il tatuaggio di Steph ci dice molto, James ne ha qualcuno in più (41 in più per la precisione). Da Hold my own a Chosen1 scritto a caratteri cubitali sulle spalle, dal What we do in life echoes in eternity di gladiatoresca memoria al No one can see through what I am except for the one that made me, passando per i nomi dei figli e della madre. Ma è forse il più piccolo il più significativo: sull’avambraccio destro, quasi nascosto, c’è il numero 330, il prefisso nazionale per riconoscere Akron, Ohio. Già, perchè la forza di un vero campione è non dimenticarsi mai da dove si viene, da dove tutto è partita e dove si deve tornare per essere felici.
Probabilmente non sapremo mai chi tra James e Curry è il miglior rappresentante cestistico dell’Ohio. Da una parte leadership, amore per la terra natia e voglia di portarla in alto, dall’altro un ragazzo che con il suo sorriso ti attrae e poi ti finisce, che con la sua (apparente) poca forza è riuscito a conquistare il mondo. Voi da che parte state?